Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16693 del 05/08/2020

Cassazione civile sez. I, 05/08/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 05/08/2020), n.16693

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25743/2015 proposto da:

B.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Gabriella Sartiani e

dal Prof. Avv. Claudio Cecchella, elettivamente domiciliati in Roma,

presso lo studio dell’Avv. Claudio Iovane, per delega in calce al

ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

G.M.G., rappresentata e difesa dall’Avv. Paolo

Malasoma ed elettivamente domiciliata presso lo studio di

quest’ultimo in Grosseto;

– intimata –

e

G.M.G., quale madre legale rappresentante del minore;

– intimata –

Ba.Al.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1766/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata in data 29 ottobre 2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/01/2020 dal consigliere Lunella Caradonna.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Ba.Al. proponeva domanda per la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con B.A. che non si opponeva alla domanda riguardante lo status, ma chiedeva un assegno di mantenimento maggiore.

Veniva emessa sentenza non definitiva in ordine alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, ma nel prosieguo del giudizio il Ba. decedeva e la causa, in seguito alla dichiarazione della morte da parte del procuratore, era interrotta.

La B. riassumeva la causa nei confronti del figlio, Ba.Sa., figlio nato dal primo matrimonio, e di G.M.G., seconda moglie dell’attore e genitore esercente la potestà su Ba.Al., figlio del Ba., per chiedere che venisse disposto a carico dell’eredità un assegno periodico a sua favore nella misura stabilita nei provvedimenti provvisori (vecchie lire 2.500.000).

2. Il Tribunale di Grosseto, con sentenza n. 544/13 del 22 luglio 2013, dichiarava la cessazione della materia del contendente, assumendo che erroneamente era stata dichiarata l’interruzione del processo ed altrettanto erroneamente era stata autorizzata la riassunzione, introducendo questioni ereditarie e specificamente la contestazione da parte della G. della validità della rinuncia all’eredità da parte del figlio maggiorenne che non potevano costituire oggetto del processo e che trattandosi di diritti personalissimi e intrasmissibili, la morte di una parte faceva venire meno la materia del contendere.

3. B.A. proponeva appello avverso la superiore sentenza deducendo che la cessazione della materia del contendere non poteva essere dichiarata, poichè la causa era proseguita per la quantificazione dell’assegno divorzile.

4. La Corte di appello di Ancona, con sentenza n. 1766/14 del 10 ottobre 2014, dichiarava l’inammissibilità della domanda proposta dall’appellante, con condanna al pagamento delle spese processuali.

5. B.A. ricorre in cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona con due motivi.

6. G.M.G., anche quale genitore esercente la potestà genitoriale sul figlio minore Ba.Al., e Ba.Sa., non si sono costituiti.

7. B.A. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo B.A. lamenta la violazione degli artt. 99,112 e 189 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, laddove la Corte di appello ha ritenuto rinunciata la domanda originaria, formulata negli atti introduttivi e ribadita nell’atto di riassunzione, dopo il decesso dell’ex marito, destinata ad ottenere l’accertamento del suo diritto ad un assegno divorzile L. n. 898 del 1970, ex art. 5.

2. Con il secondo motivo B.A. deduce la violazione degli artt. 99,112 e 189 c.p.c., laddove la Corte di appello, nell’interpretare la domanda esplicitamente formulata in sede di precisazione delle conclusioni, non ha correttamente interpretato la reale volontà della parte, avuto riguardo alla finalità perseguita nella conclusione ed emergente non solo dalla formulazione letterale delle conclusioni stesse, ma anche implicitamente e indirettamente dall’intero complesso degli atti difensivi, a partire dagli atti introduttivi e in particolare dall’atto di riassunzione, dovendo considerare non la forma, ma la sostanza della pretesa.

3. I motivi, che vanno trattati congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.

Il ricorrente, pur affermando la diversità della domanda di accertamento dell’assegno successorio L. n. 898 del 1970, ex art. 9 bis, rispetto alla domanda volta ad ottenere l’accertamento dell’assegno divorzile ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, tuttavia, espone che la Corte di appello ha errato nel ritenere che attraverso le conclusioni formulate all’udienza di precisazione delle conclusioni, l’appellante avesse rinunciato implicitamente alla domanda formulata originariamente e che la stessa appellante aveva confermato, insistendo su di essa, nell’atto di riassunzione.

La sentenza, che ha espressamente dichiarato l’inammissibilità della domanda, è in continuità con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale “La mancata riproposizione della domanda nella precisazione delle conclusioni comporta l’abbandono della stessa, assumendo rilievo solo la volontà espressa della parte, in ossequio al principio dispositivo che informa il processo civile, con conseguente irrilevanza della volontà rimasta inespressa”. (Cass., 5 luglio 2013, n. 16840).

Va ricordato che, in materia, costituiva costante della giurisprudenza di legittimità il principio, invocato dalla ricorrente, secondo cui “affinchè una domanda possa ritenersi abbandonata dalla parte, non è sufficiente che essa non venga riproposta nella precisazione delle conclusioni, costituendo tale omissione una mera presunzione di abbandono, in quanto invece, è necessario accertare se, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte o dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle esplicitamente reiterate, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla domanda pretermessa” (Cass., 16 febbraio 2010, n. 3593; Cass., 3 febbraio 2012, n. 1603).

Tale interpretazione è stata rivisitata da questa Corte, la quale con sentenza n. ‘ 2093 del 29/1/2013, ha affermato il diverso principio secondo cui “la mancata riproposizione della domanda (o eccezione) nella precisazione delle conclusioni comporta l’abbandono della stessa, assumendo rilievo solo la volontà espressa della parte, in ossequio al principio dispositivo che informa il processo civile, con conseguente irrilevanza della volontà rimasta inespressa”.

Più specificamente la Corte ha evidenziato che il percorso ermeneutico è quello già emerso in sede di richieste istruttorie, di abbandono della ricerca ricostruttiva della volontà della parte e ciò mediante la valorizzazione dei principi che esaltano il contraddittorio e il giusto processo come ragionevole durata presenti nell’art. 111 Cost., oltre che tramite l’interpretazione dell’art. 189 c.p.c., come novellato dalle riforme del processo civile intervenute negli anni 1990 – 1995. Ed invero, a seguito delle riforme al codice di procedura civile operate con le novelle del 1990/1995, il potere dispositivo delle parti ha assunto nuovo e più pregnante rilievo, non solo con riferimento alle istanze istruttorie ma anche relativamente alle domande ed eccezioni, laddove, nel vigente ordinamento processuale, il thema decidendum non è più modificabile nel senso dell’ampliamento, ma solo nel senso della limitazione delle conclusioni prese negli atti introduttivi e nell’udienza ex art. 183 c.p.c., con possibilità per le parti di rinunciare ai singoli capi, di procedere a riduzioni delle domande originarie, di rinunciare ad alcune delle domande originarie o intervenute nei termini di cui all’art. 183 c.p.c., mentre al giudice è affidato il ruolo di garante, con valenze pubblicistiche, a presidio del divieto di domande nuove e di domande non rispettose delle preclusioni di cui all’art. 183 c.p.c. (Cass., 5 luglio 2013, n. 16840).

Deve, allora, convenirsi che, tenuto conto del principio dispositivo del processo civile, come modificato dalle richiamate riforme, “diventa irragionevole presumere una volontà diversa da quella espressa e affidare al giudice la ricerca di quella effettiva – ricavabile dagli atti processuali e dalla connessione delle domande valutate avendo presente l’interesse della parte – perchè la parte, in un processo basato sul principio dispositivo, è l’unico dominus dei suoi interessi e se non adempie subisce le conseguenze dell’onere su di essa gravante” (Cass., 29 gennaio 2013, n. 2093).

Più di recente è stato affermato che la rinuncia ad una domanda si può configurare soltanto quando la parte, dopo aver formulato determinate conclusioni nel proprio scritto introduttivo, utilizzi la facoltà di precisazione e modificazione delle stesse prevista dall’art. 183 c.p.c., comma 6, ovvero precisi le conclusioni all’udienza prevista dall’art. 189 c.p.c., senza riproporre integralmente le conclusioni originarie, in tal modo evidenziando la propria volontà di abbandonare le domande non espressamente riproposte (Cass., 9 luglio 2018, n. 18027).

Anche di recente la Corte ha ribadito tale orientamento, richiamando il principio dispositivo del processo civile e dando prevalenza alla volontà espressa della parte (Cass. 13 settembre 2019, n. 22887).

Come affermato anche dalla ricorrente all’udienza di precisazione delle conclusioni del 29 gennaio 2013, le conclusioni sono state precisate in modo preciso e puntuale nel senso che segue: “Voglia l’illustrissimo tribunale adito attribuire alla signora B.A. in ragione del di lei comprovato stato di bisogno un assegno periodico a carico dell’eredità del de cuius sig. B.A., in misura pari all’assegno disposto con provvedimento provvisorio del giudice del divorzio o maggiore o minore somma ritenuta di giustizia”.

Correttamente, quindi, la Corte di appello di Firenze, ha ritenuto che la domanda fosse stata abbandonata.

5. Il ricorso va, conclusivamente, rigettato.

Nulla per le spese processuali, stante la mancata costituzione delle controparti intimate.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti e dei soggetti menzionati.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2020

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