Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16693 del 03/07/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 16693 Anno 2013
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 3112-2008 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

CESMAC DI MONTANARI URBANO & C. SNC;
– intimato –

avverso la sentenza n. 96/2006 della COMM.TRIB.REG. di
BOLOGNA, depositata il 04/12/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Data pubblicazione: 03/07/2013

udienza del 22/04/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO

VALITUTTI;
udito

per ì1

riporta

ricorrente

l’Avvocato GALLUZZO che

si

al contenuto del ricorso e ne chiede

l’accoglimento;

Generale

Dott. IMMACOLATA ZENO

l’accognmento del ricorso.

che ha concluso

per

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

RITENUTO IN FATTO.
1. Con sentenza n. 96/16/06, depositata il 4.12.06, la
Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate Ufficio di Cesena avverso la decisione di primo grado con
la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla
Cesmac s.n.c. di Montanari Urbano & C. nei confronti della cartella di pagamento, emessa dall’Ufficio ai fini IVA
per l’anno di imposta 1999.
2. La CTR – confermando la decisione di primo grado – riteneva, invero, che la richiesta di rimborso dell’IVA
versata in eccedenza nell’anno 1991 fosse stata proposta
regolarmente dalla Cesmac s.n.c. nella dichiarazione IVA
2000, relativa all’anno di imposta 1999, e che la compensazione tra l’imposta a debito per l’anno in questione ed
il credito relativo all’annualità 1991 fosse stata correttamente operata dalla contribuente.
3. Per la cassazione della sentenza n. 96/16/06 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate affidato a due motivi. L’intimata non ha svolto attività difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO.
l. In data 1.7.03, l’Ufficio competente provvedeva a notificare alla Cesmac s.n.c. di Montanari Urbano & C. (in
prosieguo Cesmac s.n.c.) una cartella di pagamento, con
la quale l’Amministrazione, a seguito di liquidazione
della dichiarazione della contribuente ex art. 54 bis
d.P.R. 633/72, recuperava a tassazione l’IVA che risultava indicata a debito in detta dichiarazione, ma il cui
versamento non risultava effettuato.
1.1. L’atto impositivo veniva, quindi, impugnato dalla
Cesmac s.n.c., la quale assumeva di avere riportato nella
dichiarazione per l’anno 1991, un credito IVA, per acquisti fatti in assenza di operazioni attive, per l’importo
complessivo di £. 50.000.000, chiedendone il rimborso.
Deduceva, inoltre, la ricorrente che, a fronte del mancato adempimento da parte dell’Ufficio, la medesima,
nell’anno 1999, approssimandosi il compimento della prescrizione decennale del diritto al rimborso, si decideva
a scomputare l’importo dall’IVA risultante dalle liquidazioni per ciascun trimestre dell’anno suindicato dal predetto credito di imposta, inserendo, altresì, nella dichiarazione annuale 2000, presentata per l’anno di imposta 1999, la richiesta di compensazione con il credito
maturato nell’anno 1991.
In tal modo, ad avviso della ricorrente, pur non avendo
la Cesmac s.n.c. versato l’imposta dovuta per l’anno
1999, sarebbe stato operato dalla stessa una sorta di
rinnovo della richiesta di rimborso IVA, già esposta nella dichiarazione del 1991.
1.2. Il ricorso della contribuente, fondato sulle ragioni
suindicate, veniva accolto nei due gradi di merito del
giudizio. Avverso la decisione di appello n. 96/16/06,
ha, pertanto, proposto ricorso per cassazione l’Agenzia
delle entrate sulla base di due censure.
2. Con il primo motivo di ricorso, l’Amministrazione denuncia l’omessa motivazione su un fatto decisivo della
controversia, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.

2

2.1. La CTR non avrebbe, infatti, tenuto in alcun conto
quanto dedotto dall’Agenzia delle Entrate – anche mediante produzione della dichiarazione IVA 2000 per l’anno
1999 – circa il fatto che, pur avendo la società contribuente indicato come dovuta, nella predetta dichiarazione, l’imposta in questione per la somma di £. 10.226.000,
tale somma non era stata, tuttavia, versata, provvedendosi illegittimamente dalla Cesmac s.n.c. a scomputare la
stessa dal pregresso credito IVA. Per contro, ove la
Cesmac s.n.c. avesse voluto effettivamente evitare la
prescrizione del diritto al rimborso, avrebbe dovuto correttamente reiterare – a parere dell’Amministrazione – la
richiesta, a suo tempo avanzata, di rimborso del credito
suindicato, e non già omettere, sic et simpliciter, il
pagamento dell’imposta dovuta per l’anno 1999.
La motivazione dell’impugnata sentenza avrebbe, peraltro,
del tutto trascurato tali decisivi elementi di valutazione, sicchè la stessa – a parere della ricorrente – sarebbe inficiata dal denunciato vizio motivazionale.
2.2. Il motivo è inammissibile.
2.2.1. Va osservato, infatti, che è inammissibile, ai
sensi dell’art. 366 bis c.p.c., per le cause ancora ad
esso soggette, il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione qualora non sia stato formulato il c.d. quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del
motivo; e ciò anche quando l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura. Ed invero, va tenuto conto, al riguardo,
della “ratio” che sottende la disposizione suindicata,
associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso
alla Suprema Corte, la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito,
quale sia l’errore commesso dal giudice di merito (cfr.,
ex plurimis, Cass. 8897/08, 24255/11, 5858/13).
2.2.2. Orbene, poichè nel caso concreto la sentenza di
appello è stata depositata in data 4.12.06, ovverosia
nella vigenza del disposto del menzionato art. 366 bis
c.p.c., l’articolazione del motivo di ricorso in esame,
che censura l’impugnata sentenza per omessa motivazione,
priva del momento di sintesi finale, determina – per le
ragioni suesposte – l’inammissibilità della proposta censura.
3. Con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione degli
artt. 30 d.P.R. 633/72 e 2946 c.c., in relazione all’art.
360 n. 3 c.p.c.
3.1. Osserva, invero, l’Amministrazione che il contribuente che abbia esposto un credito di imposta nella dichiarazione dell’anno di competenza, e non lo inserisca,
poi, in quella dell’anno successivo, perde il diritto di
operare la detrazione nell’ambito del sistema delle compensazioni che regola la riscossione dell’IVA, ma non anche il diritto di chiedere il rimborso dell’eccedenza di
imposta, come previsto dall’art. 30, co. 2 d.P.R. 633/72.

3

Non avrebbe potuto, pertanto, la Cesmac s.n.c. portare in
detrazione l’IVA, indicata a rimborso nell’anno 1991,
nella dichiarazione per l’anno 1999, violando i precisi
limiti temporali per la detrazione previsti dall’art. 30
del decreto succitato, ed esponendo, altresì, in detta
dichiarazione, un debito IVA che non provvedeva a versare, operando una non consentita compensazione con il pregresso credito di imposta.
3.2. Il motivo è fondato.
3.2.1. Va – per vero – osservato, al riguardo, che, in
tema di I.V.A. e con riferimento al recupero delle eccedenze d’imposta, l’avvenuto consolidamento del diritto al
rimborso, conseguente all’omessa rettifica della dichiarazione entro il termine previsto dall’art. 38-bis del
d.P.R. n. 633/72, non attribuisce al contribuente la facoltà di portare in detrazione la medesima somma nelle
successive dichiarazioni annuali, con conseguente violazione dell’obbligo di versare quanto effettivamente dovuto in base alle stesse dichiarazioni. Deve, invero, ritenersi che tale operazione contrasti con il principio
dell’alternatività fra la richiesta di rimborso e la detrazione del credito dalla dichiarazione annuale, nonché
con l’obbligo, previsto dall’art. 30, co. 2, del d.P.R.
n.633 cit., di portare l’eccedenza in detrazione nell’anno successivo, al fine di rendere conoscibile e controllabile da parte dell’Ufficio la complessiva posizione del
contribuente nell’arco del biennio di riferimento (cfr.
Cass. 14588/01, 4246/07, 16257/07).
3.2.2. D’altra parte, l’estensione alla materia tributaria dei principi generali del codice civile in tema di
estinzione per compensazione, prevista dall’art. 8 della
dalla 1. n. 212/00, opera soltanto a decorrere dall’anno
d’imposta 2002, previa emanazione di apposita disciplina
di attuazione, restando ferma, per il periodo precedente,
la regola secondo cui la compensazione è ammessa soltanto
nei casi specificamente contemplati. E tra questi – come
dianzi rilevato – non rientra affatto la compensazione
attuata attraverso il suesposto meccanismo della detrazione, applicato a periodi di imposta non contigui, in
violazione del menzionato disposto di cui all’art. 30,
co. 2 del d.P.R. 633/72 (in tal senso, Cass. 14588/01,
4246/07, 12262/07).
3.2.3. Ebbene, nel caso di specie, l’annualità per la
quale si era maturato il credito IVA a favore della
Cesmac s.n.c. era il 1991 come da dichiarazione relativa
a tale anno di imposta. Peraltro, solo nell’anno 1999 il
contribuente operava una detrazione del predetto credito
pregresso dalle somme dovute a titolo di imposta per
quell’anno, omettendo di versare il relativo importo ed
esponendo, nella dichiarazione IVA 2000, presentata per
l’anno 1999, l’intento di chiedere il rimborso del credito di imposta per l’anno 1991.
Per contro, alla stregua di quanto disposto dal succitato
art. 30, co. 2 del d.P.R. 633 cit., la contribuente
avrebbe potuto scegliere tra due alternative: o portare
in detrazione il credito nell’anno di imposta successivo
(1992); oppure proporre istanza di rimborso del credito

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stesso. Ma una volta optato per tale seconda alternativa,
mediante richiesta di rimborso esposta nella dichiarazione IVA 1991, ed una volta consolidatosi il diritto al
rimborso per omessa rettifica della dichiarazione, entro
il termine previsto dall’art. 38 bis dello stesso decreto, da parte dell’Amministrazione finanziaria, la Cesmac
s.n.c. non avrebbe potuto operare una sorta di tardiva
detrazione, mediante compensazione delle somme dovute a
titolo di imposta per l’annualità 1999 con il pregresso
credito, risalente all’anno 1991.
3.2.4. Per tali ragioni, pertanto, l’atto impositivo
emesso dall’ufficio deve reputarsi pienamente legittimo.
4. L’accoglimento del secondo motivo di ricorso comporta
la cassazione dell’impugnata sentenza. Non essendo necesla Corte,
sari
ulteriori accertamenti di
fatto,
nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui
all’art. 384, co. l c.p.c., rigetta il ricorso introduttivo della società contribuente.
5. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno
poste a carico della resistente, nella misura di cui in
dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei giudizi di
merito.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
accoglie il secondo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il primo; cassa l’impugnata sentenza in relazione
al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della società contribuente; condanna
le resistente alle spese del presente giudizio, che liquida in E 2.000,00, oltre alle spese prenotate a debito;
dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di
merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezio e Tributaria, il 22.4.13.

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