Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16691 del 03/07/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 16691 Anno 2013
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

SENTENZA

sul ricorso 495-2010 proposto da:
TRAFILERIE EMILIANE SUD SPA in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA VIA A. FARNESE 7, presso lo studio
dell’avvocato BERLIRI CLAUDIO, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ANNA RITA DANZA giusta

2013

delega a margine;
– ricorrente –

734
contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;
– intimato –

avverso la sentenza n. 63/2008 della COMM.TRIB.REG. di

Data pubblicazione: 03/07/2013

L’AQUILA, depositata 1’11/11/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 28/02/2013 dal Consigliere Dott. MARIA
GIOVANNA C. SAMBITO;
udito per il ricorrente l’Avvocato BERLIRI che ha
chiesto l’accoglimento;

Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Agenzia delle Entrate, ufficio di Teramo, ha rettificato
la dichiarazione dei redditi presentata dalla S.p.A. Trafilerie

sanzioni, contestando la legittimità: 1) della contabilizzazione e
deduzione di merci non destinate all’attività commerciale e
ritenute non inerenti; 2) della perdita fiscale dichiarata, perché
derivante dal computo del reddito esente in base
all’agevolazione territoriale, di cui all’art 14 della L. n 64 del
1986. Il ricorso della contribuente accolto in primo grado in
relazione alla prima ripresa è stato integralmente respinto dalla
CTR dell’Aquila, che, con sentenza n. 63/5/2008, depositata
1’11.11.2008, ha ritenuto, per quanto ancora interessa, l’atto
impositivo compiutamente motivato e corretto nel merito, in
quanto l’esenzione del reddito dovuta all’agevolazione ex lege n.
64 del 1986, non poteva generare una perdita fiscale, tanto più
che il contribuente non aveva tenuto un’adeguata contabilità
separata. I giudici d’appello hanno, inoltre, ritenuto il costo
d’acquisto delle merci privo del requisito dell’inerenza tenuto
conto dell’antieconomicità dell’operazione, per essere dei beni
stati acquistati al prezzo di mercato e reimmessi nel ciclo
economico ad un valore assai minore.
Per la cassazione della sentenza, ricorre la contribuente
con quattro motivi. L’Agenzia delle Entrate non ha depositato
difese.

Emiliane Sud- TES, per l’anno 1999 ed addebitato le relative

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione
e falsa applicazione degli artt. 7 della I. n. 212 del 2000 e 42 del

affermando che l’Ufficio aveva disatteso le memorie e le
precisazioni da lei opposte nella fase prodromica all’emissione
dell’avviso. In conclusione la ricorrente formula il seguente
quesito di diritto: “giudichi la Suprema Corte se sia
adeguatamente motivato -in relazione al disposto di cui agli artt.
42, DPR 600/1973 e 7, L 212/2000- l’avviso d’accertamento
emesso dall’Ufficio nel quale quest’ultimo non giustifichi
minimamente le ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento
della rettifica della perdita operata in capo alla Società con
riferimento alle osservazioni presentate da quest’ultima ex art
12, L 212/2000 a seguito dell’emanazione del processo verbale
di constatazione emesso nei suoi confronti”. 2. Il motivo è
inammissibile. L’impugnata sentenza ha infatti accertato che “la
motivazione dell’atto impositivo ha tenuto conto, quand’anche
non condividendole, le osservazioni del soggetto
d’imposizione”. Il contrario assunto da cui muove la ricorrente,
non solo difetta di autosufficienza, non essendo riportato il
tenore delle osservazioni presentate, e solo, uno stralcio (la pag.
3, si dice) dell’atto impositivo, ma tende ad una diversa
valutazione del contenuto dell’atto impositivo, inammissibile in
sede di legittimità, potendo la relativa delibazione del giudice del

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dPR n. 600 del 1973, in relazione all’ari 360, 10 co, n. 3 cpc,

merito esser censurata (e non lo è stato) per vizio di motivazione
o per violazione dei canoni ermeneutici. 3. Senza dire, ad ogni
modo, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n.

1973, dettato in materia imposte sui redditi, richiede che l’avviso
di accertamento indichi i “presupposti di fatto” e le “ragioni
giuridiche” che lo hanno determinato. La disposizione, com’è
nozione ricevuta, persegue il fine di porre il contribuente in
condizione di conoscere la pretesa impositiva in misura tale da
consentirgli sia di valutare l’opportunità di esperire
l’impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare
efficacemente l’an ed il quantum. Detti elementi conoscitivi
devono essere forniti all’interessato, non solo tempestivamente (e
cioè inserendoli ab origine nel provvedimento impositivo), ma
anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità che
permetta al medesimo un esercizio non difficoltoso del diritto di
difesa. 4. Assolti tali requisiti -che la ricorrente non contesta
ricorrere- l’obbligo di motivazione dell’atto impositivo resta
soddisfatto, non essendo, in particolare, dovuta alcuna
giustificazione relativa al mancato accoglimento degli elementi
dedotti dal contribuente in sede precontenziosa, che, nel silenzio
dell’atto impositivo, devono intendersi implicitamente disattesi.
5. Col secondo motivo, deducendo violazione e falsa
applicazione degli artt. 26 del dPR n. 601 del 1973, 105 del dPR
n. 218 del 1978, 5 del DL n. 23 del 1979 e 14 della I n. 64 del

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15842 del 2006; n. 23009 del 2009), l’art. 42 del dPR n. 600 del

1986, in relazione all’art. 360, 1° co n. 3 cpc, la ricorrente
lamenta che la CTR ha errato nel non considerare che le perdite
derivavano, tutte, dall’attività di commercio, soggetta ad Irpeg,

in conclusione, il seguente quesito di diritto: “giudichi la
Suprema Corte se sia legittimo con riferimento al combinato
disposto dell’art 26, DPR n. 601/1973, 105, DPR n. 218/1978,
dell’art 5, DL n. 23/1979 nonché dell’art 14 L n. 64/1986, un
avviso d’accertamento in forza del quale l’Ufficio -in presenza di
una società per azioni la quale eserciti un’attività fruente
dell’esenzione totale dall’Irpeg ed un’altra attività non soggetta
ad esenzione- rettifichi la dichiarazione dei redditi da questa
presentata disconoscendo la perdita realizzata dal medesimo
soggetto giuridico nell’esercizio dell’attività non soggetta ad
esenzione”. 6. Col terzo motivo, la ricorrente deduce,
nuovamente la violazione e falsa applicazione dell’art. 26 del
dPR n. 601 del 1973, 105 del dPR n. 218 del 1978, 5 del DL n.
23 del 1979 e 14 della 1 n. 64 del 1986, in relazione all’art. 360,
1° co n. 3 cpc, per avere la CTR affermato necessaria la
redazione di una contabilità separata.
7. I motivi, che per la loro connessione vanno
congiuntamente esaminati, sono infondati. L’art 105 del dPR n.
218 del 1978, come modificato dall’art. 14, co 5, della L. n. 64
del 1986, ha introdotto, com’è noto, l’esenzione totale del
reddito dall’Irpeg in favore delle imprese che si costituiscono in

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da lei svolta in aggiunta a quella industriale esente, e sottopone,

forma societaria ed impiantano nuove iniziative produttive nei
territori del Mezzogiorno. Il reddito prodotto da tali nuove
iniziative concorre tuttavia -come, del resto, riconosce la stessa

comportando, ove il risultato finale è positivo per l’impresa
societaria, che il relativo imponibile risulti, per effetto
dell’esenzione ed ai fini dell’irpeg, pari a zero. Se, invece, il
periodo chiude in perdita, deve escludersi la possibilità di
computare tale perdita in diminuzione del reddito complessivo
dei periodi di imposta successivi, in quanto l’art 102 del TUIR,
nel testo introdotto col DL n. 557 del 1993 convertito in 1. n. 133
del 1994, vigente ratione temporis, dispone che il riporto delle
perdite deve esser diminuito dei proventi esenti da imposta per la
parte del relativo ammontare che eccede i componenti negativi
non dedotti ai sensi dei precedenti artt. 63 e 75, co 5 e 5 bis,
onde, appunto, evitare che un reddito esente possa generare una
perdita negli anni futuri e possa, così, estendere, oltre il previsto
ambito, la portata della norma agevolativa. 8. A tale disciplina,
nulla aggiunge l’art 5, co 2 e 3 della L n. 91 del 1979, di
conversione del DL n. 23 del 1979, secondo cui l’agevolazione
“si intende applicabile anche alle società che, avendo realizzato
nei territori ivi indicati nuove iniziative produttive, esercitino
anche fuori dei territori medesimi altre attività”, precisando che
“in tal caso l’agevolazione si applica limitatamente alla parte di
reddito derivante dalle iniziative produttive del Mezzogiorno”. 9.

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ricorrente- a formare l’utile civilistico di un dato anno d’imposta,

Tale norma, espressamente qualificata di interpretazione
autentica (comma 4), ribadisce, infatti, per l’ipotesi di società
che svolga attività in luoghi diversi o più attività, che l’esenzione

fonte -investimenti produttivi- del reddito prodotto (ed a tal fine
è necessaria una contabilità diversificata, a mente dall’art 26, 2°
co del dPR n. 601 del 1973, che è ripresa dall’art. 5 del DL 23
del 1979, in esame) ma non altera il meccanismo agevolativo,
quale sopra enunciato.
10. Col quarto mezzo, si deduce la violazione e falsa
applicazione degli artt. 75 del dPR n. 817 del 1986 (vigente
ratione temporis e 19 del dPR n. 633 del 1972, in relazione

all’art. 360, 1° co n. 3 cpc, per avere la CTR escluso l’inerenza
dei costi, in relazione al requisito dell’antieconomicità
dell’operazione, nonostante fosse incontroverso che l’acquisto
dei beni fosse avvenuto al prezzo di mercato dei beni stessi. In
conclusione, la ricorrente sottopone il seguente quesito:
“giudichi la Suprema Corte se sia corretta la sentenza della
Commissione Tributaria Regionale la quale, con riferimento agli
artt 75, dPR 917/1986 (nella formulazione vigente ratione
temporis) e 19, dPR 633/1972, abbia affermato che -in presenza
di acquisti di profilati di alluminio da parte della Società a
prezzo di mercato successivamente immessi nel ciclo produttivo
della stessa- siffatti acquisti non siano da ritenersi inerenti
all’attività d’impresa in quanto antieconomici, ancorchè

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è riconosciuta in funzione del luogo -meridione d’Italia- e della

l’operazione sia stata effettuata al fine di accelerare la
liquidazione di una società controllata e di scongiurare il
prodursi di successive perdite”. 11. Il motivo è infondato.

2011) ai fini della determinazione del reddito societario,
l’inerenza all’attività di impresa delle singole spese e dei costi
affrontati, indispensabile per ottenerne la deduzione ai sensi del
dPR n. 917 del 1986, art. 75, co 5 (nel testo temporalmente
applicabile alla fattispecie, ora art. 109 dello stesso decreto),
postula la correlazione tra la spesa o il costo sostenuti e
l’esercizio effettivo dell’attività economica dell’imprenditore. La
relativa indagine ha ad oggetto anche la congruità dei costi
stessi, nel senso che l’Ufficio può contestarne la sproporzione in
relazione ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, ed in tal caso l’onere
della prova dell’inerenza dei costi, gravante sul contribuente, ha
ad oggetto anche la congruità dei costi stessi (Cass. n. 4554 del
2010; n. 26480 del 2010). 12. Nella specie, il giudice del merito
si è attenuto a tale principio, avendo accertato che il costo della
merce è sproporzionato rispetto ai ricavi (ricollocamento nel
ciclo produttivo con una perdita di valore pari a circa il 65%),
senza che il relativo accertamento sia stato censurato, come
avrebbe dovuto, sotto il profilo del vizio di motivazione, in
relazione al mancato esame del risparmio connesso
all’accelerazione delle fasi di liquidazione della società
venditrice, controllata dalla contribuente.

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Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 6936 del

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N. 131 TA13.
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13. Il ricorso va, quindi, rigettato, non dovendo
provvedersi sulle spese, in assenza di attività difensiva da parte
dell’intimata.

La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2013, ed, a seguito di
riconvocazione, il 5 giugno 2013.

PQM

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