Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16690 del 14/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/06/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 14/06/2021), n.16690

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17044/2016 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

M.A., rappresentato e difeso nel presente giudizio, in

virtù di procura speciale allegata al controricirso, dall’Avv.

Antonio Guantario, elettivamente domiciliato presso il suo studio in

Andria, Via Firenze, n. 37/b;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Puglia, n. 1167/1/2016, depositata il 25 gennaio 2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 febbraio

2021 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.La Commissione tributaria regionale della Puglia accoglieva l’appello proposto da M.A. avverso la sentenza pronunciata dalla Commissione tributaria provinciale di Bari (n. 2171/2015), che aveva rigettato il ricorso presentato dal contribuente, per gli anni 2010, 2011 e 2012, contro gli avvisi di accertamento emessi per tali anni nei suoi confronti dalla Agenzia delle entrate, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1987, art. 67, comma 1, lett. e); in particolare, l’Agenzia delle entrate aveva ritenuto che il contribuente, con il contratto stipulato l’8 ottobre 2009, avesse concesso in locazione il suo terreno alla concessionaria Guastamacchia S.p.A., per la realizzazione sullo stesso di un impianto fotovoltaico. La Commissione tributaria regionale, invece, riteneva che il contribuente avesse costituito un diritto reale di superficie, ai sensi dell’art. 952 c.c., oltre ad un diritto reale di servitù, in favore della società concessionaria; in particolare, il contratto doveva essere interpretato anche in base al comportamento complessivo delle parti posteriore alla conclusione del contratto e, nella specie, tali comportamenti erano volti a costituire un diritto di superficie e di servitù su un terreno agricolo, dovendosi considerare: l’autorizzazione rilasciata dalla Regione; la trascrizione del diritto di superficie nei pubblici registri immobiliari con efficacia erga omnes; l’accatastamento dell’impianto fotovoltaico in favore del della società superficiaria Guastamacchia S.p.A. e, poi, Solarpolvino; comunicazione alla superficiaria, da parte dell’Agenzia del territorio, della nuova determinazione di classamento e di rendita catastale, con indicazione distinta dell’area di proprietà del ricorrente M. e dell’area di proprietà della società concessionaria Guastamacchia; assoggettamento alla tassazione Ici-Imu per l’area di proprietà della società concessionaria. Trattandosi, quindi, del trasferimento di un diritto reale di godimento, consistente nella possibilità di edificare e mantenere una costruzione al di sopra del fondo di proprietà altrui, e non di un contratto di locazione, finalizzato al godimento di impianti già esistenti, i due istituti non potevano coesistere in un unico contratto; sicchè il reddito prodotto doveva essere classificato correttamente ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, comma 5, e art. 67, comma 1, lett. b), primo periodo.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

3. Resiste con controricorso il contribuente, depositando anche memoria scritta.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con un unico motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67 (Tuir) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto il giudice d’appello sarebbe incorso in errore reputando il corrispettivo percepito dal contribuente, a seguito della costituzione a tempo determinato del diritto di superficie acquisito a titolo originario, quale reddito diverso, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. b. Invero, poichè il diritto di superficie è stato acquisito a titolo originario, senza aver sostenuto, quindi, un costo oggettivamente determinabile e direttamente riferibile al diritto reale, doveva farsi rientrare il corrispettivo tra i redditi diversi, derivanti, però, dalla “assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere” di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. l). Anche la prassi dell’Agenzia delle entrate, espressa con la circolare del 19 dicembre 2013 n. 36/E dimostrerebbe che, qualora un diritto reale di godimento sia costituito in mancanza di un precedente acquisto dello stesso a titolo oneroso, non sarebbe possibile scomputare dai compensi percepiti il costo sostenuto per l’acquisto della piena proprietà dell’immobile, trattandosi di due valori non omogenei. Pertanto, poichè il corrispettivo è stato percepito a seguito della costituzione a tempo determinato del diritto di superficie acquisito a titolo originario, quindi senza aver sostenuto un costo oggettivamente determinabile e direttamente riferibile al diritto ceduto, esso dovrebbe farsi rientrare fra i redditi diversi, derivanti dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere di cui all’art. 67, comma 1, lett. l), senza dare luogo ad alcuna plusvalenza. La costituzione del diritto di superficie non configura, infatti, una vera e propria cessione di beni, ma determina una forte limitazione del potere di disporre e di godere del fondo, che trova la sua causa economico-sociale nell’eventuale corrispettivo pattuito e/o nell’acquisizione della proprietà della costruzione da parte del proprietario allo scadere del termine prefissato. Solo nei casi in cui il diritto di superficie, prima di essere ceduto, sia stato acquistato a titolo oneroso ne deriverebbe una plusvalenza.

1.1. Il motivo è inammissibile.

1.2. Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, comma 5 prevede che “ai fini delle imposte sui redditi le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche per gli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento e per i conferimenti in società”.

Tale disposizione, quindi, stabilisce con presunzione assoluta che, ai fini delle imposte sui redditi, la disciplina relativa alle cessioni a titolo oneroso vale anche per gli atti a titolo oneroso che comportano la “costituzione” o il trasferimento di diritti reali di godimento (enfiteusi, superficie, usufrutto, servitù, uso, abitazione ed anche diritto di superficie).

Tra l’altro l’Agenzia delle entrate ha interpretato la norma nel senso che la costituzione del diritto reale di godimento deve essere equiparata alla cessione a titolo oneroso del diritto di proprietà, a prescindere dalla sua durata, determinata o indeterminata (Ris. 7-8-2002, n. 272/E; ris. 10-10-2008, n. 379/E).

Pertanto, il corrispettivo incassato per la cessione di un diritto reale di godimento genera, in ogni caso, una plusvalenza tassabile, ma alle condizioni di cui all’art. 67, comma 1, lett. b) in caso di persona fisica.

Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67 (redditi diversi), al comma 1, lett. b), inserisce tra i redditi diversi, per le cessioni di diritti reali, “le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione… nonchè in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”.

Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. e), inserisce tra i redditi diversi anche “i redditi di natura fondiaria non determinabili catastalmente, compresi quelli dei terreni dati in affitto per usi non agricoli”.

Questa è proprio la norma citata dalla Agenzia delle entrate nei suoi avvisi di accertamento emessi nei confronti del contribuente.

Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. l), inserisce tra i redditi diversi “i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitati abitualmente o dall’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere”.

Quest’ultima è, invece, la norma indicata per la prima volta dalla Agenzia delle entrate nel ricorso per cassazione.

1.3. I fatti di causa possono essere sintetizzati come segue. M.A. ha concluso un contratto preliminare con la Guastamacchia S.p.A., in data 8 ottobre 2009, rubricato come “contratto di locazione e costituzione di servitù e diritto di superficie”. In data 13 aprile 2010 la Guastamacchia S.p.A. ha ceduto alla Solarpolvino Srl, anch’essa amministrata dall’amministratore unico e legale rappresentante Gioacchino Guastamacchia, il suddetto contratto preliminare dell’8 ottobre 2009; la Guastamacchia S.p.A. ha dato comunicazione al contribuente M.A., contestualmente comunicando l’avvenuto inizio dei lavori di realizzazione dell’impianto fotovoltaico da parte del proprietario superficiario. Tale negozio è stato, poi, modificato in data 3 novembre 2011, con la previsione espressa della costituzione del diritto di superficie a carico del proprietario dell’area ed a favore del proprietario superficiario, senza più alcun riferimento ad obblighi di locazione. Con riferimento a tale cessione di diritto reale il contribuente non ha dichiarato alcun reddito. L’Agenzia delle entrate, però, ha ravvisato nel contratto l’efficacia obbligatoria discendente da un negozio di locazione, anzichè l’efficacia reale necessariamente scaturente dalla costituzione del diritto di superficie. Vi sarebbe stata, dunque, la mancata dichiarazione di redditi diversi percepiti, quali canoni di locazione di terreni, per gli anni 2009 (Euro 9090,00), 2010 (18.180,00), 2011 (Euro 18.180,00) e 2012 (18.180,00).

Per tale ragione, sono stati notificati ad M.A. tre avvisi di accertamento rispettivamente per gli anni 2010, 2011 e 2012.

1.4. Pertanto, mentre con gli avvisi di accertamento è stato contestato al contribuente l’omessa dichiarazione di redditi diversi scaturenti dalla percezione di canoni di locazione di terreni, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. e), e tale prospettazione è stata mantenuta anche nel corso del giudizio di primo grado e di quello d’appello, nel giudizio di cassazione, per la prima volta, l’Agenzia delle entrate ha modificato le proprie richieste, chiedendo l’applicazione del D.P.R. n. 917 1986, art. 67, comma 1, lett. l), che si riferisce a redditi derivanti dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere.

Non v’è dubbio, dunque, che vi sia stata una modifica sostanziale della domanda iniziale dell’Agenzia delle entrate, contenuta negli originari avvisi di accertamento, con conseguente inammissibilità della stessa.

2. Peraltro, il motivo di ricorso è inammissibile, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., in quanto la sentenza impugnata ha deciso le questioni di diritto in moda conforme alla giurisprudenza della corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa.

2.11nvero, anche a voler ritenere ammissibile la domanda nuova presentata dall’Agenzia delle entrate solo in sede di legittimità, considerando, dunque, i compensi percepiti dal contribuente quali corrispettivi connessi all’assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. l), tale ricostruzione impatta contro la stratificata giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. 6-5, 18 ottobre 2018, nn. 26147, 26146, 26145, 26144, 26143, 26241; Cass., sez. 6-5, 7 giugno 2018, n. 14847). Si premette che, in base all’art. 952 c.c., il proprietario del fondo può costituire il diritto di fare e mantenere al di sopra del suolo una costruzione a favore di altri, che ne acquista la proprietà (proprietà superficiaria). Pertanto, la peculiarità del diritto di superficie è quella di mantenere distinta la proprietà della costruzione dalla proprietà del suolo.

Con riferimento al trattamento tributario da applicare ai fini delle imposte sui redditi al corrispettivo conseguito dalla cessione a titolo oneroso di un diritto di superficie, questa Corte, superando quanto previsto dalla Agenzia delle entrate con circolare n. 36 del 2013, ha ritenuto che la plusvalenza derivante da cessione infraquinquennale di diritto di superficie non è soggetta a tassazione come “reddito diverso” D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ex art. 81, (ora art. 67), comma 1, lett. b) o l), qualora abbia ad oggetto un terreno agricolo, atteso che, da un lato, la lett. b) è applicabile solo alle aree fabbricabili e, dall’altro, la generale equiparazione del trasferimento di un diritto reale di godimento al trasferimento del diritto di proprietà, prevista dall’art. 9, comma 5, dello stesso decreto, non consente di ricondurre l’obbligo di concedere a terzi l’utilizzo di un terreno agli obblighi “di permettere”, di cui alla lett. l), che si riferiscono a diritti personali piuttosto che a diritti reali (Cass. Civ., 4 luglio 2014, n. 15333).

La Suprema Corte ha sottolineato che il limite posto dei cinque anni evidenzia la volontà del legislatore di tassare solo le plusvalenze aventi natura speculativa. La tassabilità o meno della plusvalenza, quindi, è stata limitata nell’ambito di un quinquennio, mentre, oltre detto periodo, non può presumersi il carattere speculativo dell’operazione di acquisto e successiva vendita del bene.

Si è anche precisato in motivazione che “essendo il diritto di superficie un diritto reale, è pienamente applicabile l’art. 9, comma 5, del TUIR, implicante l’equiparazione della disciplina fiscale relativa alle cessioni a titolo oneroso della piena proprietà degli immobili agli atti che importano la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento”.

Per la persona fisica, il corrispettivo derivante dalla cessione del diritto di superficie costituisce, dunque, reddito diverso ex art. 81, comma 1, lett. b), vecchia numerazione, oggi art. 67, del Tuir, qualora si tratti di area edificabile. In tal caso, la plusvalenza sarà calcolata nella differenza tra il costo, rivalutato e maggiorato delle spese, ed il prezzo di vendita.

In caso di terreno agricolo, invece, nessuna tassazione può essere imposta, salvo che non siano decorsi i cinque anni. Tale reddito non può essere inquadrato, infatti, tra quelli derivanti dalla assunzione di obblighi di permettere di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, lett. l) in quanto, da un lato, la generale equiparazione del trasferimento di un diritto reale di godimento al trasferimento del diritto di proprietà, correlata all’art. 9, comma cinque, del Tuir, non consente, neanche, l’applicazione dell’art. 67, comma 1, lett. I), del Tuir, in relazione all’obbligo di permettere (concedere a terzi l’utilizzo del terreno), e dall’altro, i redditi determinati dall’assunzione di obblighi, cui fa riferimento l’art. 67, lett. l), vanno ricollegati specificamente a diritti personali, e non a diritti reali.

Nel caso di diritto di superficie, ovviamente, si è in presenza di diritti reali.

Inoltre, la stessa Agenzia delle entrate, con circolare n. 6/E del 20 aprile 2018, ha accolto l’impostazione giurisprudenziale di questa Corte.

3. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico dell’Agenzia delle entrate e si liquidano come da dispositivo.

4. Non opera a carico dell’Agenzia ricorrente il raddoppio del contributo unificato (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550; Cass., n. 889/2017).

PQM

rigetta il ricorso.

Condanna l’Agenzia delle entrate a rimborsare in favore del contribuente le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 5.300,00, oltre Euro 200 per esborsi, Iva e cpa, oltre rimborso delle spese generali nella misura forfettaria del 15%.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2021

 

 

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