Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16685 del 09/08/2016

Cassazione civile sez. trib., 09/08/2016, (ud. 04/02/2016, dep. 09/08/2016), n.16685

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3796-2009 proposto da:

MARGHERA 36 SRL IN LIQUIDAZIONE in persona del liquidatore e legale

rappresentante pro tempore, G.G. quale socio,

elettivamente domiciliati in ROMA PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE 22,

presso lo studio dell’avvocato GUIDO MARIA POTTINO, rappresentati e

difesi dall’avvocato ALBERTO BUCOLO giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 2/2008 della COMM.TRIB.REG. della Lombardia,

depositata il 15/02/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/02/2016 dal Consigliere Dott. LUCIO LUCIOTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato POTTINO in sostituzione con

incarico verbale dell’Avvocato BUCOLO che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato FIORENTINO che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La Commissione tributaria regionale della Lombardia con sentenza n. 24 del 15 febbraio 2008 accogliendo l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate riformava la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano confermando gli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società Marghera s.r.l. (già Drogherie G.) per recupero a tassazione, ai fini Iva, Irpeg ed Irap relativamente agli anni di imposta 1998 e 1999, di costi non deducibili perchè relativi a fittizie operazioni commerciali poste in essere con operatori anche comunitari, secondo uno schema che, dalle verifiche fiscali effettuate dalla G.d.F. e compendiate in apposito processo verbale di constatazione, vedeva la società contribuente effettuare cessioni di merci, in particolare vini e liquori, in favore di due società comunitarie (la Americo Handels con sede in Austria e la Estrella de Comercio Europeo con sede in Spagna), che a loro volta rivendevano le stesse merci, sottofatturandole, a società italiane, le quali le rivendevano ad un’altra società (la Ala s.r.l. di (OMISSIS)) che, quindi, le cedeva nuovamente alla prima società (Marghera 36 s.r.l.).

In particolare, per quanto qui di interesse, la Commissione tributaria regionale:

– rigettava l’eccezione sollevata dalla società in ordine alla produzione in giudizio del p.v.c. della G.d.F. reputando corretta l’analoga decisione di rigetto pronunciata dalla CTP;

– rigettava l’eccezione sollevata dalla società con riferimento alla presunta “mutazione, da analitiche ad induttive, delle prospettazioni dell’Ufficio”, ritenendo, da un lato, che le contestazioni analitiche non erano mai state abbandonate e, dall’altro, che l’ipotizzato disegno criminoso era uno sviluppo logico dell’accertamento iniziale;

– riteneva infondata l’eccezione di giudicato formatosi per omessa impugnazione di parte della sentenza di primo grado, in particolare in relazione alla commercializzazione di prodotti a prezzi concorrenziali, in quanto l’Ufficio, richiamando analiticamente le riprese iniziali, aveva inteso censurare l’intera sentenza;

– riteneva che, oltre ad una serie di analitici riscontri dell’inattendibilità di singole operazioni, gli accertamenti ed il richiamato verbale della G.d.F. evidenziavano numerosi elementi presuntivi, specificamente elencati, dotati di precisione, gravità e concordanza, attestanti la fittizietà delle operazioni commerciali poste in essere per il conseguimento di illeciti vantaggi tributari.

Avverso detta statuizione propone ricorso per cassazione la società contribuente, deducendo otto motivi. Non svolge difese l’Agenzia che chiede, però, di partecipare all’udienza.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la società ricorrente deduce l’omessa, insufficiente ed incongrua motivazione su un punto controverso ed decisivo della controversia costituito dalla “mancata verifica ed individuazione della “causa simulandi”, idest della ragione e finalità del preteso ordito simulatorio”.

Nel momento di sintesi che segue l’esposizione del motivo la ricorrente precisa che “il fatto controverso e decisivo del giudizio, in relazione al quale la motivazione della Commissione Tributaria Regionale risulta omessa e/o insufficiente ed incongrua, è quello relativo alla ricostruzione del preteso meccanismo fraudatorio e della inerente causa simulandi, che dovrebbe giustificare l’asserito ordito simulatorio”.

1.1. Il motivo è inammissibile.

1.2. E’ preliminare il rilievo, fondato su un consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 21122 del 2015; id. n. 29153 del 2014), che la denuncia di omessa motivazione, formulata – come nel caso in esame – congiuntamente con la denuncia di motivazione insufficiente o contraddittoria, affetta da insanabile contrasto logico, non potendo il primo di tali vizi coesistere con gli altri, in quanto come desumibile dalla formulazione alternativa e non congiuntiva delle ipotesi in questione contemplate nell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – una motivazione mancante non può essere

insufficiente o contraddittoria, mentre la insufficienza e la contraddittorietà presuppongono che una motivazione, della quale appunto si ci duole, risulti comunque formulata.

A rendere palese l’esistenza sub specie del contrasto logico tra i vizi denunciati sono le affermazioni della ricorrente secondo cui, nonostante lo “schema tipo” delle operazioni commerciali descritto negli avvisi di accertamento fosse stato “sinteticamente richiamato nella denunziata sentenza” e “confermati dal Giudice Tribuatario”, che quindi condivideva le considerazioni svolte negli atti impositivi circa i vantaggi fiscali conseguiti dalla contribuente mediante quel meccanismo (pagg. 65 e 66 del ricorso), sostiene poi (a pag. 68) che la sentenza sarebbe viziata dalla “più totale e completa omissione di motivazione” per non avere il giudice di merito nè individuato nè ricercato “la causa simulandi, la ragione giustificatrice delle numerose operazioni fittizie”.

1.3. Ma il motivo in esame presenta un ulteriore profilo di inammissibilità.

Premesso che nella concreta fattispecie applicabile ratione temporis l’art. 366 bis c.p.c., il motivo deve essere ritenuto inammissibile anche per violazione di detta norma. Invero, il motivo che denunci, come nel caso in esame, un vizio di motivazione deve concludersi a pena di inammissibilità con un momento di sintesi, dal quale deve risultare chiaramente, in modo sintetico, evidente e autonomo, senza che si renda necessaria la lettura dell’intero motivo, il fatto controverso rispetto al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, così come le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (cfr. Cass. sez. un, 1 ottobre 2007, n. 20603; id. n. 3441/2008, n. 2697/2008, n. 13368/2014). Non risponde a tale principio la “sintesi del fatto controverso” contenuta a pag. 69 del ricorso, la cui incongruenza rispetto alla decisione impugnata è evidente ma è anche immediatamente percepibile sia quando ritiene,

invero erroneamente, che costituisca fatto controverso e decisivo la “ricostruzione del preteso meccanismo fraudatorio”, essendo invece pacifiche tra le parti le modalità esplicative della “circuitazione” delle merci attuata dalla ricorrente, sia quando non consente di individuare il nesso eziologico tra la denunciata lacuna motivazionale ed il fatto che la ricorrente ritiene determinante ai fini della decisione a sè favorevole.

Deve ancora rilevarsi che quelle indicate dalla ricorrente come fatti controversi ex art. 366 bis c.p.c. (“ricostruzione del preteso meccanismo fraudatorio” e la “inerente causa simulandi) non possono ritenersi precisi accadimenti o precise circostanze in senso storico-naturalistico, ma “questioni” o “argomentazioni” che, come tali, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità della censura perchè irritualmente formulata (in termini, Cass. n. 21152 del 2014; id. ord. n. 2805 del 2011).

2. Con il secondo motivo la ricorrente prospetta due distinti vizi, di violazione di legge (primo profilo) ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 2697 c.c., e vizio logico di motivazione (secondo profilo), ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.1. In relazione al primo dei vizi dedotti la ricorrente, dolendosi del fatto che la CTR abbia posto a carico di essa società contribuente l’onere di fornire la prova dello svolgimento di attività commerciale “in loco” da parte della corrispondente società austriaca, Amerigo Handels Gmbh, “principale ditta estera cui venivano inviate le merci” dalla contribuente, ha chiesto a questa Corte, con il quesito di diritto formulato a pag. 72 del ricorso, di dire “se l’onere della prova volta dimostrare la effettiva operatività o, al contrario, il difetto di effettiva operatività della società austriaca, controparte delle operazioni commerciali ritenute simulate o fittizie dall’Ufficio delle Entrate, compete all’Ufficio, che assumeva la fittizi età delle operazioni, o alla società contribuente, che resisteva alla pretesa tributaria dell’ufficio stesso”.

Il motivo è inammissibile in quanto la non operatività “in loco” della predetta società austriaca non costituisce ratio decisiva della statuizione impugnata, com’è reso evidente dal fatto che l’affermazione della CTR è un mero inciso (” peraltro non viene provato…”) diretto solo a rafforzare la rilevata e non contestata circostanza della “breve esistenza” della società estera. Considerazione, questa, condivisa anche dalla ricorrente quando ammette (a pag. 70 del ricorso) lo “scarso significato e spessore” dell’elemento presuntivo individuato dal giudice di merito.

2.3. Nel secondo profilo del motivo in esame la ricorrente censura la sentenza impugnata per l’omessa, insufficiente ed incongrua motivazione su un punto controverso e decisivo della controversia individuato nell’effettiva operatività dell’impresa commerciale di diritto austriaco. Sostiene la ricorrente che il giudice di merito aveva trascurato altri precisi elementi probatori quali l’effettività della consegna delle merci alla ditta austriaca, l’esistenza di un deposito della predetta ditta e la rilevantissima entità degli scambi commerciali tra le due società – che, al contrario di quanto affermato in sentenza, evidenziavano l’effettiva operatività della società austriaca.

Anche tale censura non si sottrae a plurimi rilievi di inammissibilità, primo fra tutti quella della inconciliabilità della deduzione del vizio di omessa motivazione unitamente a quella di insufficiente o contraddittoria motivazione (cfr. Cass. n. 21122 del 2015; id. n. 29153 del 2014), già rilevata con riferimento al primo motivo di ricorso.

Inoltre, la ricorrente viene a contrapporre un apprezzamento dei fatti e degli elementi probatori diverso rispetto a quello operato dal giudice di merito – peraltro basata su di una ipotesi che appare priva di fondamento (infatti, l’effettività della consegna delle merci alla ditta austriaca, l’esistenza di un deposito della predetta ditta e la rilevantissima entità degli acquisti compiuti, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, oltre a non essere idonei a smentire l’affermazione della inoperatività “in loco” della predetta società estera, considerando la funzione di mera cartiera a questa attribuita – dalla G.d.F. a pag. 36 del p.v.c. ritrascritto a pag. 11 del ricorso -, sono elementi presuntivi che neanche risultano nelle parti del predetto p.v.c. – pagg. 3, 8 e 9 – cui la ricorrente ha fatto riferimento e che ha in parte ritrascritto nel ricorso (ad esempio a pag. 11), in tal modo richiedendo alla Corte una nuova valutazione del materiale probatorio che non è consentita dal carattere chiuso del giudizio di legittimità confinato ai soli vizi della sentenza impugnata tassativamente indicati nell’art. 360, comma 1, c.p.c. (cfr. Cass. n. 13177 del 2011; n. 21054 del 2013; n. 19432 del 2015). In ogni caso, poi, la ricorrente non ha neanche prospettato che quegli elementi presuntivi cui ha fatto riferimento e che sarebbero stati omessi od inesattamente valutati dal giudice di merito, siano “decisive” ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel senso di essere idonee ad inficiareo contraddire l’efficaciaprobatoria degli indizi valorizzati nella sentenza impugnata sicchè, ove fossero state prese in debita considerazione, avrebbero privato la decisione del supporto logico argomentativo, determinando con certezza una diversa pronuncia nel merito favorevole alla ricorrente (cfr. Cass. n. 19432 del 2015 con numerosi richiami giurisprudenziali). Prospettazione che il principio affermato da questa Corte, in base al quale va escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (Cass. n. 15188 del 2011; n. 8023 del 2009; n. 15737 del 2003), rendeva nella specie oltre modo necessaria.

3. Con il terzo motivo viene prospettato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio logico di motivazione in ordine a due differenti profili.

3.1. Sotto il primo profilo viene dedotta l’omessa, contraddittoria ed incongrua motivazione in ordine alla fittizietà delle operazioni commerciali contestate dall’Ufficio, ed in particolare la pretesa sistematica reintroduzione della merce sul mercato nazionale.

Contesta la ricorrente la portata dimostrativa degli elementi presuntivi posti dal giudice di appello a fondamento della decisione, per la precisione: a) la breve esistenza della principale ditta estera cui la società contribuente inviava le merci; b) il fatto che le due maggiori società estere coinvolte erano amministrate da soggetti italiani; c) la presenza di intrecci personali tra alcuni soggetti aventi cariche di responsabilità nella Marghera 36 e le ditte che si prestavano a far transitare le merci spedite all’estero e rientrate in Italia; d) il fatto che, nonostante non vi fosse coincidenza tra li importi, le merci vendute all’estero tornavano comunque in Italia.

3.2. Sotto il secondo profilo viene dedotta l’omessa, contraddittoria ed incongrua motivazione in ordine alla tipologia delle operazioni contestate, indicando quali fatti decisivi e controversi quelli relativi: 1) alle operazioni commerciali, pretesamente fittizie, nelle quali il riacquisto delle merci (dopo l’asserita circuitazione fittizia) sarebbe avvenuto da parte di società terze; 2) alla sussistenza e/o insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto per la vendita esenzione di imposta; 3) al rispetto del plafond da parte di essa contribuente per l’acquisto di merci in esenzione di imposta.

3.3. Le censure, anche queste non scevre da Inammissibilità per il contrasto logico rinvenibile nella prospettazione dell’omissione della motivazione congiuntamente a quella insufficiente e contraddittoria, non si sottraggono ad ulteriori profili di inammissibilità.

Invero, con la prima censura la società ricorrente mira ad ottenere da questa Corte una non consentita rivalutazione degli elementi presuntivi che il giudice di merito con argomentazione coerente ha posto a fondamento della propria decisione, non tenendo conto che è principio giurisprudenziale più che consolidato quello secondo cui “il compito di valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza – nonchè di individuare le fonti del proprio convincimento scegliendo tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti – spetta in via esclusiva ai giudice del merito e che, di conseguenza la deduzione con il ricorso per Cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, restando escluso che le censure concernenti il difetto di motivazione possano risolversi nella richiesta alla Corte di legittimità di una interpretazione delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito” (Cass. n. 21122 del 2015; id. n. 15188 del 2011: n. 4766 del 2006).

3.4. La censura proposta sotto il secondo profilo è inammissibile per difetto di autosufficienza, avendo la ricorrente omesso di dedurre e, conseguentemente, di riprodurre nel ricorso per cassazione la parte rilevante degli atti di causa del grado di appello in cui sarebbero state riproposte le questioni indicate come decisive e controverse, di cui ha lamentato la mancata, insufficiente ed incongrua valutazione da parte del giudice di merito, inerenti: 1) alle operazioni commerciali, pretesamente fittizie, nelle quali il riacquisto delle merci (dopo l’asserita circuitazione fittizia) sarebbe avvenuto da parte di società terze; 2) alla sussistenza e/o insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto per la vendita in esenzione di imposta; 3) al rispetto del plafond da parte di essa contribuente per l’acquisto di merci in esenzione di imposta.

Premesso che anche un unico indizio, se dotato dei requisiti di gravità e precisione, può fondare il convincimento del Giudice a ritenere raggiunta la prova presuntiva (cfr. Cass. Sez. 2, n. 19191 del 30/09/2005; id. Sez. 1, Sentenza n. 19088 del 11/09/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 17574 del 29/07/2009; Sez. 5, Sentenza n. 656 del 15/01/2014; id. Sez. 5^, n. 19432 del 30/09/2015), la parte ricorrente introduce degli argomenti considerati dal giudice di primo grado, senza tuttavia fornire la necessaria trascrizione del contenuto rilevante degli atti del secondo grado di giudizio in cui sarebbero state riproposte, essendo appena il caso di osservare che la parte ricorrente avrebbe dovuto provvedere a riprodurre nel ricorso, onde integrare il requisito della autosufficienza ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), il contenuto del documento indicato a supporto di tali allegazioni, non avendo accesso diretto la Corte agli atti e documenti del giudizio di merito, in relazione al tipo di vizio denunciato (cfr. sull’onere di integrale trascrizione del documento: Corte Cass. Sez. L, Sentenza n. 4980 del 04/03/2014; id. SU 24.9.2010 n. 20159; id. 6^ sez. ord. 30.7.2010 n. 17915; id. 3^ sez. 4.9.2008 n. 22303; id. Sez. 3, Sentenza n. 2560 del 06/02/2007; id. Sez. 1, Sentenza n. 15952 del 17/07/2007; id. 3^ sez. 31.5.2006 n. 12984; id. l^ sez. 24.3.2006 n. 6679; id. Sez. 3^, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006; id. sez. lav. 21.10.2003 n. 15751; id. sez. lav. 12.6.2002 n. 8388).

4. Con il quarto complesso motivo la ricorrente deduce, sotto un primo profilo, la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 e artt. 24 e 111 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e, sotto un secondo profilo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata laddove ha ritenuto legittima l’ordinanza con cui la CTP aveva disposto la produzione in giudizio del processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F..

Lamenta che la CTR, nel decidere sull’eccezione sollevata da essa contribuente in relazione all’esercizio dei poteri istruttori da parte dei giudici di primo grado, ha richiamato la motivazione di questi ultimi affermando che il problema era stato “affrontato e risolto correttamente dai primi giudici”, i quali, però, a loro volta avevano statuito che l’esercizio dei poteri istruttori esercitati ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, poteva essere oggetto di censura soltanto all’esito della pronuncia della sentenza da cui potevano emergere eventuali lesioni dei diritti delle parti conseguenti a quella produzione. In tal modo, sostiene la ricorrente, nessuno dei giudici di merito aveva sostanzialmente pronunciato sull’eccezione.

In relazione a tale vizio, ha formulato il quesito di diritto con cui ha chiesto a questa Corte di dire “se i poteri previsti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, (ratione temporis vigente) possano esercitarsi nei limiti dei fatti dedotti dalle parti e se abbiano la funzione di sopperire a deficienze probatorie delle parti o siano meramente integrativi dell’onere probatorio principale, in quanto utilizzati solo qualora sia impossibile o sommamente difficile fornire, da parte di chi vi è tenuto, le prove richieste”.

4.1. Il motivo è inammissibile.

4.2. Premesso che la censura in esame, dedotta come violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, doveva essere sussunto in quello di violazione di norma processuale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, osserva questa Corte che, in forza del principio secondo cui i vizi dell’attività del giudice rilevanti ai sensi della citata disposizione, non sono posti a tutela di un interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma a garanzia dell’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa in dipendenza del denunciato “error in procedendo”, era onere della ricorrente, nella specie non assolto, con conseguente inammissibilità del vizio denunciato, quello di indicare lo specifico e concreto pregiudizio subito, altrimenti l’addotto errore (nella specie individuato nel non corretto esercizio dei poteri istruttori da parte del giudice di primo grado) non acquista rilievo idoneo a determinare l’annullamento della sentenza impugnata (in termini, Cassazione civile sez. 2, 10 giugno 2014 n. 13046; conf. sez. 6^, 9 luglio 2014 n. 15676; sez. lav., 19 marzo 2014 n. 6330). A tale rilievo si accompagna quello del difetto di autosufficienza del motivo di ricorso in quanto, la prospettata carenza di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato per mancanza del p.v.c. e colmata dalla sua produzione in giudizio a seguito dell’ordine all’uopo impartito dalla CTP, è circostanza che non risulta dal contenuto del ricorso, avendo la ricorrente omesso di trascrivere le parti dei predetti atti (avviso di accertamento e p.v.c.) idonei a comprovare l’assunto.

4.3. La censura si presta al rilievo dell’ulteriore profilo di inammissibilità rinvenibile nell’assoluta genericità del quesito di diritto che la conclude. Questa Corte ha più volte ribadito (ad esempio in Cass. S.U. n. 21672 del 2013, ma anche in S.U. n. 3519 del 2008) che il quesito di diritto che deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica unitaria della questione, onde consentire alla corte di cassazione l’enunciazione di una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata – è inammissibile tanto se sorretto da un quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (Cass. n. 7197 del 2009), quanto che sia destinato a risolversi (Cass. n. 4044 del 2009) nella generica richiesta rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma o come la stessa debba interpretarsi o (come nella specie) applicarsi.

4.4. La censura in esame, dedotta come vizio logico di motivazione, incorre nella medesima inammissibilità già rilevata con riferimento al primo e secondo (profilo del secondo) motivo di ricorso, per l’inconciliabilità della deduzione del vizio di omessa motivazione unitamente a quella di insufficiente o contraddittoria motivazione (cfr. Cass. n. 21122 del 2015; id. n. 29153 del 2014).

Peraltro la censura è del tutto infondata posto che la motivazione resa sul punto dalla CTR rinviava a quella della CTP, la quale è del tutto esaustiva, avendo i giudici di primo grado affermato che l’acquisizione del p.v.c. della G.d.F. non aveva “la funzione di integrare le carenze dell’accertamento, ma soltanto quello di conoscere meglio i fatti che lo hanno originato” (pag. 80 del ricorso) e che l’esercizio dei poteri istruttori esercitati ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, poteva essere oggetto di censura soltanto all’esito della pronuncia della sentenza da cui potevano emergere eventuali lesioni dei diritti delle parti conseguenti a quella produzione. Alla stregua di tale motivazione, fatta propria dalla CTR, la società ricorrente non ha provato, ma neanche dedotto la sussistenza di lesioni alla propria posizione processuale, e tanto meno che quel p.v.c. sia stato utilizzato per integrare l’accertamento fiscale.

5. Con il quinto complesso motivo la ricorrente deduce sotto un primo profilo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. e cioè del principio della domanda e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, implicitamente richiamati dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, attribuiti al giudice di merito laddove ha sostenuto, rigettando l’eccezione sollevata sul punto, che non vi era stata alcuna “mutazione, da analitiche ad induttive, delle prospettazioni dell’Ufficio, poichè, da una parte, non sono state abbandonate le contestazioni analitiche riportate da P.V.C. citato, e, dall’altra, l’ipotesi in mero al disegno criminoso messo in atto dalla società appellata risulta essere uno sviluppo logico del contenuto dell’accertamento iniziale”.

5.1. Sotto un secondo profilo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata in ordine alle “eccezioni formulate… sulla mutazione, da analitiche ad induttive, delle prospettazioni dell’Ufficio”.

5.2. Tale complesso motivo si presta a plurimi profili di inammissibilità.

5.3. Innanzitutto perchè non coglie la ratio decidendi della statuizione in esame, posto che la CTR ha confermato la natura analitica delle contestazioni mosse dall’Ufficio sulla base delle risultanze del processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F., sostenendo che il disegno criminoso messe in sviluppo iniziale”, ravvisato nelle operazioni commerciali atto dalla società costituiva solo “uno logico del contenuto dell’accertamento non incidente sulla natura (analitica) di quelle contestazioni.

E comunque il motivo difetta di autosufficienza in quanto la ricorrente non trascrive nè indica le parti degli atti del giudizio di merito in cui rinvenire la dedotta “mutazione” della natura dell’accertamento che sarebbe stata avallata dal giudice di merito.

Sempre in relazione alla natura (analitica o induttiva) degli accertamenti effettuati dall’Amministrazione finanziaria, la ricorrente deduce inammissibilmente la violazione di legge e, cumulativamente, il vizio logico di motivazione (anche in questo caso accomunando la censura di omissione con quella di insufficiente e contraddittoria motivazione) pur prospettando con il motivo in esame la violazione del principio della domanda e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, di cui agli artt. 99 e 112 c.p.c., che, come costantemente ribadito da questa Corte “integrano un difetto di attività che deve essere fatto valere attraverso la deduzione del relativo “error in procedendo” e della violazione dell’art. 112 c.p.c., non già con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, giacchè queste ultime censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente scorretto ovvero senza giustificare o non giustificando adeguatamente la decisione resa” (Cass. n. 329 del 2016; id. S.U. n. 17931 del 2013; Sez. 3^, n. 20943 del 2015; Sez. 5^, n. 7268 del 2012; Sez. 3^ n. 7871 del 2012; Sez. 2^, n. 26598 del 2009).

5.4. In relazione alla censura di violazione di legge, un ulteriore profilo di inammissibilità va ravvisata nell’assoluta genericità del quesito di diritto che la conclude, in quanto, chiedendo a questa Corte di affermare “se il riferimento agli asseriti poteri di accertamento induttivo, non esercitati nè invocati dall’Ufficio delle Entrate possa essere introdotto dal Giudice Tributario, nel difetto di domanda e/o atto di parte in tal senso, e se ciò comporti violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. e dei relativi principi di diritto”, si risolve nella non consentita richiesta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma (Cass. S.U. n. 21672 del 2013, ma anche in S.U. n. 3519 del 2008 e Cass. n. 4044 del 2009).

6. Con il sesto complesso motivo la società ricorrente deduce sotto un primo profilo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, evidenziando la genericità della contestazione mossa dall’Ufficio nel ricorso in appello avverso la statuizione del primo giudice circa l’insussistenza, per difetto di prova, dei presunti vantaggi che dalle operazioni poste in essere, in particolare “dal “giro” delle merci”, la società aveva tratto.

6.1. Sotto un secondo profilo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa, insufficiente ed incongrua motivazione della sentenza impugnata in ordine “ai pretesi successivi passaggi della merce venduta all’estero ed asseritamente riacquistata e del preteso illecito che in ciò ravvisabile”.

6.2. Il motivo è inammissibile.

6.3. E’ inammissibile perchè, analogamente a quanto osservato con riferimento al precedente motivo di ricorso, la società ricorrente anche nella censura in esame, pur prospettando la violazione di norma processuale, e precisamente del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, da censurarsi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, costituente “error in procedendo” e, quindi, difetto di attività del giudice, deduce inammissibilmente la violazione di legge e, cumulativamente, il vizio logico di motivazione (anche in questo caso accomunando la censura di omissione con quella di insufficiente ed incongrua motivazione) che, come osservato da questa Corte, “presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente scorretto ovvero senza giustificare o non giustificando adeguatamente la decisione resa” (Cass. n. 329 del 2016; id. S.U. n. 17931 del 2013; Sez. 3^, n. 20943 del 2015; Sez. 5^, n. 7268 del 2012; Sez. 3^ n. 7871 del 2012; Sez. 2^, n. 26598 del 2009).

6.4 La censura è altresì inammissibile perchè il quesito di diritto che la conclude è generico ed incongruo. Infatti, chiedendo a questa Corte di dire se sia conforme al disposto di cui all’art. 53 della legge sul processo tributario l’atto di appello “che non precisi in alcun modo le prove ritenute mancanti dal primo Giudice, limitandosi ad una generica contestazione del decisum del Giudice medesimo”, il quesito formulato dalla ricorrente si risolve in una generica e, come tale, inammissibile istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo (Cass. S.U., n. 21672 del 23/09/2013). Inoltre, la contestazione dell’affermazione fatta nella prima sentenza di merito – di non condivisione della presunzione dell’Ufficio circa i vantaggi conseguiti dalla società contribuente dalla circuitazione delle merci, per difetto di prova non necessitava della specificazione delle prove ritenute mancanti, in tal senso essendo l’orientamento di questa Corte che ha più volte ribadito in tema di contenzioso tributario, che “la riproposizione, a supporto dell’appello devolutivo pieno, nel processo tributario, dell’appello, mezzo quest’ultimo non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito” (cfr. Cass., sez. 6^, ord. n. 1200 del 22/01/2016; conf. sez. 5^, sent. n. 3064 del 2012, n. 4784 del 2011 e n. 14031 del 2006).

7. Con il settimo motivo la società ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 41, convertito con modificazioni in L. n. 427 del 1993, lamentando che la CTR, nel ritenere legittimi gli atti impositivi, ha ritenuto, in violazione della citata norma, l’imponibilità delle cessioni intracomunitarie tra la società ricorrente e quella avente sede in Austria, la cui effettuazione era incontestata e comunque provata, ed ha altresì disconosciuto la non imponibilità di quelle cessioni a causa di successive operazioni illecite attribuite al concessionario estero.

In relazione a tale censura la ricorrente ha formulato un duplice quesito, chiedendo a questa Corte “a) Se costituiscono “Cessioni non imponibili” ai sensi del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 41 le cessioni, di beni trasportati nel territorio di altro Stato Membro che la ricorrente ha effettuato nei confronti dei cessionari soggetti ad imposta in detto Stato ed in caso di risposta affermativa: b) se la oggettiva non imponibilità della cessione può essere disconosciuta in capo al soggetto ricorrente, con ciò assimilando l’avvenuta cessione ad una cessione effettuata all’interno dello Stato italiano, a causa di successive operazioni ritenute illecite che il cessionario estero, residente in altro Stato membro, avrebbe compiuto dopo essere divenuto proprietario di detti beni”.

7.1. Oltre al rilievo che il presupposto dell’effettività dell’esportazione o, meglio, del trasporto delle merci alla società austriaca, da cui muove la ricorrente nella prospettazione della censura, risulterebbe provato da un verbale della G.d.F. oltre che da una richiesta di rinvio a giudizio le cui parti essenziali non sono state riprodotte nel ricorso (diversamente da quanto affermato dalla ricorrente a pag. 91 del ricorso), con conseguente difetto di autosufficienza del motivo in esame, rileva questa Corte che il motivo è inconferente rispetto alla decisione impugnata che, condividendo la tesi erariale, ha statuito l’inattendibilità delle operazioni commerciali e, quindi, anche delle movimentazioni delle merci, poste in essere dalla società contribuente sia con la società austriaca che con le altre indicate negli avvisi di accertamento, facendone correttamente conseguire l’inapplicabilità a quelle cessioni del disposto di cui al citato D.L. n. 331 del 1993, art. 41.

8. Con l’ottavo ed ultimo motivo la società ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione da parte della CTR del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 1, lett. c), laddove aveva ritenuto imponibili le cessioni di beni effettuate in favore di cessionari che le avevano rilasciato la

dichiarazione scritta prevista in detta disposizione.

In relazione a tale censura la ricorrente ha formulato il seguente quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte: Se costituiscono “Cessioni non imponibili” ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, comma 1, lett. c) del le cessioni di beni che la ricorrente ha effettuato nei confronti dei cessionari che hanno rilasciato la dichiarazione prevista da detta norma in forma scritta e sotto la propria responsabilità”.

8.1. Il motivo deve essere ritenuto inammissibile per inidoneità del quesito di diritto come formulato nei termini dinanzi trascritti.

Esso, infatti, traduce in un non consentito interpello della Corte sulla corretta interpretazione di una norma di legge (cfr., tra le molte, Cass. S.U., ord. 5 febbraio 2008, n. 2658; sez. 1^, 24 novembre 2011, n. 24850; sez. 5^, 7 marzo 2012, n. 3530) avendo del tutto omesso di inserire “a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie” (Cass. n. 601/16; 26104/15; 19769/08), in modo tale da “consentire alla corte di cassazione l’enunciazione di una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata” (Cass. S.U. n. 26020 del 2008).

9. I motivi di ricorso vanno dunque conclusivamente dichiarati inammissibili. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, ai sensi del D.M. Giustizia n. 55 del 2014, tenuto conto che l’Agenzia controricorrente ha solo partecipato all’udienza.

PQM

La Corte dichiara inammissibili i motivi di ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in 12.000,00 euro, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 2 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2016

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