Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16683 del 09/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 09/08/2016, (ud. 04/02/2016, dep. 09/08/2016), n.16683

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24394-2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.G. titolare dell’omonima Ditta, elettivamente

domiciliato in ROMA VIALE ANGELICO 78, presso lo studio

dell’avvocato ANTONIO IELO, che lo rappresenta e difende giusta

delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 165/2009 della COMM.TRIB.REG della Sicilia

SEZ.DIST. di CALTANISSETTA, depositata il 13/07/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/02/2016 dal Consigliere Dott. PAOLA VELLA;

udito per il ricorrente l’Avvocato GALLUZZO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato IELO che si riporta ai

motivi del controricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA che ha concluso per l’inammissibilità o rigetto

del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, avverso la sentenza n. 165/21/09 del 13.7.2009 con cui la Commissione tributaria regionale della Sicilia, accogliendo l’appello dell’imprenditore edile C.G., ha riformato la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Enna (parzialmente favorevole al contribuente) ed ha dichiarato illegittimo l’avviso di accertamento emesso a titolo di Irpef, Irap ed Iva per l’anno di imposta 2003, nel quale l’amministrazione aveva contestato, tra l’altro, come ricavi le rimanenze finali di immobili ultimati e non venduti, ma locati a terzi, in quanto ritenuti estranei all’esercizio dell’impresa.

I giudici d’appello hanno affermato: 1) che l’attività di un’impresa di costruzioni, normalmente diretta alla vendita degli immobili, non esclude la possibilità della loro locazione; 2) che in tal caso non si versa nelle ipotesi di autoconsumo secondo le ipotesi previste dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, p. 5; 3) che la locazione di immobili da parte di un’impresa edile non comporta automaticamente e necessariamente la destinazione del bene a finalità estranee all’esercizio dell’impresa, potendo essere invece destinata a conseguire utili da impiegare nell’esercizio dell’impresa medesima; 4) che nel caso in esame gli immobili locati sono strumentali per natura, non essendo suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni, risultano iscritti nell’inventario e quindi, per il combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 43 e 65, sono beni appartenenti all’impresa e non destinati all’autoconsumo.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’unico motivo di ricorso, si deduce la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, n. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

2. Osserva l’amministrazione ricorrente che – a fronte della contestazione dell’Ufficio per cui “la locazione dei fabbricati ultimati e non venduti dalla Ditta di costruzione e vendita immobili di sua titolarità rientrava tra le finalità estranee all’esercizio dell’impresa, con conseguente assoggettabilità ad IVA, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, n. 5” – la C.T.R. avrebbe “statuito apoditticamente che l’appartenenza degli immobili locati all’impresa sia fattore idoneo e sufficiente a escludere che la locazione avesse finalità estranee all’esercizio dell’impresa”, così però errando, “in quanto la soggezione o meno della locazione all’imposta deve essere affermata in base a una concreta valutazione – cui la CTR si è sottratta – delle peculiarità del singolo contratto, con particolare riferimento alla durata del rapporto di locazione e alla destinazione dei ricavi”.

3. Il motivo merita accoglimento.

4. Per consolidato orientamento di questa Corte, infatti, “ricadono nella nozione di attività propria dell’impresa ai fini della riduzione percentuale dell’ammontare detraibile dell’IVA, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 per effetto del compimento di operazioni “attive” esenti, non solo gli atti che tipicamente esprimano raggiungimento del fine produttivo dell’impresa individuale o collettiva, come definito nel negozio costitutivo, ma anche gli ulteriori atti che configurino strumento normale per il conseguimento di quel fine secondo parametri di regolarità causale, o siano comunque ad esso legati da un nesso di carattere funzionale non meramente occasionale. Ne consegue che la locazione di un fabbricato o di una sua porzione da parte dell’imprenditore che lo ha realizzato e che si prefigga l’obiettivo di venderlo devesi qualificare, ai fini previsti dalla norma citata, atto compreso nell’attività d’impresa, se rimane sul piano della gestione conservativa durante un periodo di stasi del mercato”, ovvero in attesa del momento più proficuo per la vendita, ivi compresa “l’opzione della temporanea devoluzione del godimento del bene a terzi, dietro corrispettivo, in relazione a valutazioni imprenditoriali sui tempi prevedibili per l’alienazione e sui vantaggi dell’una e dell’altra alternativa” (Cass., sez. 5, nn. 6194/01, 9762/03, 11073/06; cfr. Cass. sez. 5, nn. 912/06, 6574/08, 5970/14; conf., da ultimo, Cass. sez. 5, n. 4613/16).

5. I giudici d’appello non si sono attenuti ai suddetti principi, essendosi limitati ad esprimere sostanzialmente un giudizio di compatibilità – in astratto tra la locazione di immobili e l’esercizio di un’impresa edile, trascurando la necessaria valutazione – in concreto – delle caratteristiche della locazione posta in essere, per verificare se si tratti di operazione effettivamente riconducibile alla specifica attività d’impresa.

6. In conclusione, la sentenza va cassata e la causa va rimessa al giudice d’appello che, in diversa composizione, provvederà a verificare le peculiarità della fattispecie concreta, alla luce del principio di diritto sopra richiamato, nonchè a regolare le spese processuali del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Sicilia, che provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2016

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