Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16683 del 06/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 06/07/2017, (ud. 21/03/2017, dep.06/07/2017),  n. 16683

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7406-2015 proposto da:

CREDITO EMILIANO S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

VIRGILIO, 8, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MUSTI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO FOSSATI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

N.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA NOMENTANA 257, presso lo studio dell’avvocato ANDREA

CIANNAVEI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

PIETRO BAGALA’, PAOLO NASTASI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 176/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 22/09/2014 R.G.N. 1792/2012.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza pubblicata il 22.9.14 la Corte d’appello di Milano rigettava il gravame proposto da Credito Emiliano S.p.A. contro la sentenza n. 6323/11 con cui il Tribunale della stessa sede aveva dichiarato illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato il 2.3.11 da, Credito Emiliano S.p.A. a N.M. pochi giorni dopo la reintegra nel posto di lavoro della lavoratrice avvenuta in ossequio a precedente sentenza dell’A.G. milanese che aveva dichiarato illegittimo un primo licenziamento intimato (da Abaxbank S.p.A., società poi incorporata da Credito Emiliano S.p.A.) alla medesima lavoratrice – nell’ambito d’una procedura di riduzione di personale ex lege n. 223 del 1991 – il 15.7.09;

che per la cassazione della sentenza ricorre Credito Emiliano S.p.A. affidandosi a due motivi;

che N.M. resiste con controricorso;

che le parti depositano memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

che il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione L. n. 604 del 1966, art. 3 e art. 2118 cod. civ. per avere la Corte territoriale giudicato illegittimo il licenziamento per mancata prova dell’impossibilità di adibire la lavoratrice, all’esito della riorganizzazione produttiva addotta dalla società, alle stesse mansioni o ad altre equivalenti a quelle precedentemente espletate;

che con il secondo motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 3 (in relazione all’art. 2103 cod. civ.) e L. n. 300 del 1970, art. 18, artt. 115, 116 e 421 cod. proc. civ., nonchè di omesso esame d’un fatto decisivo, avendo la sentenza impugnata ritenuto che la società non avesse provato che la controricorrente avesse una professionalità non fungibile rispetto a quella di altre dipendenti adibite ad analoghe mansioni;

che ritiene il Collegio che i due motivi di ricorso – da esaminarsi congiuntamente perchè connessi – non intaccano il nucleo della ratio decidendi della sentenza, consistente nella mancata prova dell’impossibilità del c.d. repechage della lavoratrice mediante attribuzione di mansioni equivalenti a quelle espletate prima dell’atto di recesso;

che, in particolare, la sentenza ha accertato in punto di fatto che è risultata smentita l’allegazione della società – formulata a sostegno dell’asserita impossibilità del repèchage – secondo cui la professionalità della ricorrente non sarebbe stata fungibile con quella di altri suoi colleghi addetti alla contabilità generale;

che le contrarie considerazioni svolte nei due motivi di ricorso sconfinano nel merito, giacchè in sostanza, ad onta dei richiami normativi in essi contenuti, sollecitano una rivisitazione della vicenda e delle risultanze istruttorie affinchè se ne fornisca un diverso apprezzamento in punto di fatto; si tratta di operazione non consentita innanzi a questa S.C., ancor più ove si consideri che in tal modo il ricorso finisce con il riprodurre (peraltro in maniera irrituale: cfr. Cass. S.U. n. 8053/14) sostanziali censure ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nuovo testo (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, convertito in L. n. 134 del 2012, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, cioè alle sentenze pubblicate dal 12.9.12 e, quindi, anche alla pronuncia in questa sede impugnata), che rende denunciabile per cassazione solo il vizio di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

che, con orientamento (cui va data continuità) espresso dalla sentenza 7.4.14 n. 8053 (e dalle successive pronunce conformi), le S.U. di questa S.C., nell’interpretare la portata della novella, hanno statuito che non è più consentito denunciare un vizio di motivazione se non quando esso dia luogo, in realtà, ad una vera e propria violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (ravvisabile solo in caso di mancanza grafica della motivazione, o di motivazione del tutto apparente, oppure di motivazione perplessa od oggettivamente incomprensibile, oppure di manifesta e irriducibile sua contraddittorietà e sempre che i relativi vizi emergano dal provvedimento in sè, esclusa la riconducibilità in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione medesima mediante confronto con le risultanze probatorie);

che, per l’effetto, il controllo sulla motivazione da parte del giudice di legittimità diviene un controllo ab intrinseco, nel senso che la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 deve emergere obiettivamente dalla mera lettura della sentenza in sè, senza possibilità alcuna di ricavarlo dal confronto con atti o documenti acquisiti nel corso dei gradi di merito;

che, sempre secondo le S.U., l’omesso esame deve riguardare un fatto (inteso nella sua accezione storico-fenomenica e, quindi, non un punto o un profilo giuridico o la maggiore o minore significatività del fatto medesimo) principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), senza che però ciò implichi la possibilità di denunciare ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 anche l’omesso (o insufficiente od illogico) esame di determinati elementi probatori;

che ancora le S.U. precisano gli oneri di allegazione e produzione a carico del ricorrente ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4: il ricorso deve non solo indicare chiaramente il fatto storico del cui mancato esame ci si duole, ma deve indicare il dato testuale (emergente dalla sentenza) o extra-testuale (emergente dagli atti processuali) da cui risulti la sua esistenza, nonchè il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti e spiegarne, infine, la decisività, il che non risulta rispettato nel caso in oggetto;

che, in conclusione, il ricorso è da rigettarsi e che le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, devono seguire la soccombenza;

che sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 21 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2017

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