Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16681 del 11/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 11/06/2021, (ud. 16/03/2021, dep. 11/06/2021), n.16681

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2842/2018 proposto da:

R.E., nata a Milano il (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)) e residente

in Agrate Brianza (MB) alla (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

Roma, alla Via dei Lauri n. 11, presso lo studio dell’Avv. Giorgio

De Angelis, unitamente all’Avv. Pasquale Tarricone (C.F.: TRR PQL

61M05B619A) del Foro di Benevento, che la rappresenta e difende in

virtù di mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI AGRATE BRIANZA (C.F.: (OMISSIS)), con sede in Agrate

Brianza (MB), alla Via San Paolo n. 24, in persona del Vice Sindaco

pro tempore S.S. (C.F.: (OMISSIS)), autorizzato a stare in

giudizio con Delib. Giunta Comunale 1 febbraio 2018, n. 30,

rappresentato e difeso, anche in via tra loro disgiunta, dagli

Avv.ti Luca Arigò (C.F.: RGALCU67H26F257J) e Antonella Giglio

(C.F.: GGLNNL58P45L682T) ed elettivamente domiciliato presso l’Avv.

Antonella Giglio, con studio in Roma, alla Via A. Gramsci n. 14,

come da procura su foglio separato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2651/2017 emessa dalla CTR Lombardia in data

14/06/2017 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Penta

Andrea;

letto il parere del Sostituto Procuratore Generale Dott. De

Augustinis, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Il Comune di Agrate Brianza impugnava la sentenza n. 9998/24/15 della CTR Milano, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla contribuente avverso l’avviso di accertamento n. 120627/2013 relativo all’Imposta Comunale sugli Immobili per l’anno 2008, accertando un debito ICI pari ad Euro 2.664,00, oltre sanzioni, per complessivi Euro 3732,00. L’avviso di accertamento aveva ad oggetto tre terreni edificabili ubicati in Agrate Brianza, in relazione ai quali il Comune aveva individuato il valore commerciale in Euro 1.522.500,00, applicando la relativa sanzione.

Il valore assunto a base dell’accertamento era stato desunto dalla Delib. di Giunta Comunale n. 223 del 2008, con la quale il Comune si era avvalso della facoltà di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59, comma 1, lett. g), per la determinazione periodica del valore di zone fabbricabili omogenee, tenendo presente che le aree avevano acquisito una vocazione edificabile nel 2008, in seguito all’adozione del Piano di governo del territorio, avvenuta con Delib. Consiglio comunale 15 ottobre 2008, n. 62.

La contribuente aveva proposto, in sede di accertamento, un valore delle aree di 87,00 Euro/mq per 1662 mq. (ossia di Euro 144.594,00) e, in sede di giudizio, aveva presentato una valutazione di parte che stimava il valore dell’area in Euro 275.250,00. Il Comune aveva contestato l’attendibilità dei dati.

La commissione di primo grado aveva accolto la tesi di parte contribuente, secondo cui il Comune non aveva corroborato la propria stima dell’immobile.

Lamentava il Comune appellante la carenza di motivazione e il difetto di istruttoria del giudizio di primo grado, per avere questi ignorato tutta la documentazione prodotta dall’amministrazione a supporto della propria stima di valore dell’immobile, limitandosi ad aderire alle tesi di parte contribuente.

Lamentava, inoltre, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59, comma 1, lett. g), per aver il giudice di prime cure ignorato che il disposto normativo consente di qualificare fabbricabile l’area che tale si presenta in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi, senza necessità che il contribuente sia titolare di un titolo edilizio. Sosteneva che, avendo adottato la delibera prevista dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59, aveva di fatto individuato un indice presuntivo di valore del terreno, idoneo ad operare anche retroattivamente e ad invertire l’onere della prova quanto alla dimostrazione di un diverso valore del bene.

Si doleva, ancora, della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, in quanto, pur a fronte della deliberazione di giunta comunale, erroneamente, a suo dire, il giudice di primo grado aveva addossato all’amministrazione un ulteriore onere della prova; in ogni caso, la particolare modalità edificatoria – tramite piano attuativo era stata considerata, attribuendo ai beni il valore previsto dalla delibera comunale, inferiore a quello risultante dal borsino della camera di commercio.

In via subordinata, l’appellante censurava la sentenza impugnata per avere integralmente annullato l’avviso di accertamento, anzichè rideterminare il quantum della pretesa tributaria, in violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Da ultimo, il Comune deduceva che non era condivisibile l’assunto secondo cui la deliberazione comunale non sarebbe stata utilizzabile in quanto approvata dopo la scadenza del termine di approvazione del bilancio 2008 e che la sua valenza di indice presuntivo di valore, anche retroattivo, era pacifica.

Si costituiva la contribuente, riproponendo le contestazioni sollevate in primo grado.

Con sentenza del 14.6.2017, la CTR Lombardia accoglieva l’appello e, per l’effetto, rigettava il ricorso della contribuente, sulla base delle seguenti considerazioni:

1) premesso che, ai fini ICI, un’area può considerarsi edificabile sulla base della sua astratta vocazione urbanistica e prescindendo dal rilascio in capo al proprietario di titoli edilizi, ovvero dall’approvazione di piani attuativi, la vocazione edificatoria delle aree di proprietà della contribuente era pacifica e, peraltro, negli anni immediatamente successivi, la contribuente aveva realizzato un ampio piano attuativo;

2) la deliberazione adottata ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59, comma 1, lett. g), costituiva un idoneo indice presuntivo del valore venale del bene; nè aveva alcun rilievo che la deliberazione non fosse stata approvata nei termini di approvazione del bilancio comunale, proprio perchè rilevava unicamente la stima presuntiva che se ne poteva ricavare, che prescindeva dalla tempistiche formali della delibera in questione;

3) la detta delibera, pur non avendo natura imperativa, integrava, pertanto, una fonte di presunzioni idonea a costituire, anche con portata retroattiva, un indice di valutazione per l’Amministrazione ed il giudice, con funzione analoga agli studi di settore;

4) l’avviso di accertamento risultava motivato, individuando i parametri (pubblici ed agevolmente rinvenibili) utilizzati per la stima ed, inoltre, il valore indicato dalla citata deliberazione di giunta era inferiore al valore di analoghi terreni desumibile dal borsino immobiliare;

5) l’assenza di uno strumento attuativo (peraltro poi pacificamente sopravvenuto) non poteva essere considerata ostativa al calcolo del valore venale sulla base di parametri di edificabilità;

6) la stima di parte redatta dall’ing. D.S. e prodotta in primo grado era inattendibile, in nessuna parte del documento essendo dato comprendere da quali termini di paragone fossero stati desunti i valori attribuiti agli immobili;

7) la stima non spiegava perchè ai mappali 41 e 146, per una superficie di quasi 2500 mq, fosse stata attribuita la qualificazione di “pertinenziali”;

8) non si ravvisavano poi ragioni per mandare la contribuente esente da sanzioni, tanto più che la R. era l’ingegnere che aveva redatto e sottoscritto la proposta di piano attuativo, dunque soggetto qualificato in materia.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso R.E., sulla base di due motivi.

Il Comune di Agrate Brianza ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale la resistente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Preliminarmente, va escluso che, sulle questioni oggetto del presente giudizio, si sia formato un giudicato esterno a seguito dell’ordinanza di questa Corte n. 27651 del 28.10.2019 e della sentenza n. 4002 emessa dalla CTR Lombardia in data 15.10.2019 e non impugnata (come da attestazione della cancelleria in calce).

Invero, nel processo tributario, l’effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche, opera soltanto quando riguardi fatti integranti elementi costitutivi della fattispecie (ossia il titolo dell’azione e il bene che ne è oggetto), che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumono carattere tendenzialmente permanente o pluriennale, non anche quando risolva la controversia sotto il profilo formale dell’atto opposto o attenga a elementi variabili, destinati a modificarsi nel tempo.

Orbene, nel caso di specie, mentre la pronuncia dei giudici di legittimità ha rigettato la censura sul piano motivazionale sollevata dalla contribuente, quella della CTR si fonda su differenti profili (la qualificazione giuridica della violazione) e richiama per relationem altra sentenza della stessa CTR, di cui, però, non riporta i passaggi logico-giuridici essenziali.

2. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59, comma 1, lett. g), e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la CTR considerato che il Comune di Agrate Brianza, nell’emettere l’accertamento impugnato, non avrebbe correttamente tenuto conto della effettiva e prossima utilizzabilità (vale a dire, delle peculiarità), a scopo edificatorio, dei terreni per cui è causa.

2.1. Il motivo è inammissibile, oltre che infondato.

Con il motivo in esame, la ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate – allega un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo. Infatti, è appena il caso di rilevare come la combinata valutazione delle circostanze di fatto indicate dalla corte territoriale a fondamento del ragionamento probatorio in concreto eseguito (secondo il meccanismo presuntivo di cui all’art. 2729 c.c.) non può in alcun modo considerarsi fondata su indici privi, ictu oculi, di quella minima capacità rappresentativa suscettibile di giustificare l’apprezzamento ricostruttivo che il giudice del merito ha ritenuto di porre a fondamento del ragionamento probatorio argomentato in sentenza. Nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe dei motivi d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o delle circostanze ritenute rilevanti. Si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato. Ciò posto, i motivi d’impugnazione così formulati devono ritenersi inammissibili, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi (Sez. 3, Sentenza n. 10385 del 18/05/2005, Rv. 581564; Sez. 5, Sentenza n. 9185 del 21/04/2011, Rv. 616892), non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti.

In ogni caso, premesso che in terna di ICI, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11 quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, e del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b), l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi (essendo l’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile; cfr. Sez. U, Sentenza n. 25506 del 30/11/2006 e Sez. 5, Sentenza n. 6702 del 10/03/2020), il Comune ha tenuto conto della circostanza che l’intervento edilizio, all’epoca, era subordinato alla preventiva approvazione di un piano attuativo, indicando nella delibera un valore al mq (di 250,00 Euro) inferiore a quello minimo (di 270,00 Euro) riportato nel borsino (osservatorio del mercato immobiliare) della Camera di Commercio di Milano.

Senza tralasciare che, in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l’an ed il quantum dell’imposta. In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (Sez. 5, Ordinanza n. 26431 del 08/11/2017).

Del resto, sempre in tema di ICI, l’avviso d’accertamento che fa riferimento alla delibera della giunta comunale contenente la determinazione dei valori minimi delle aree edificabili, comprensiva di quella oggetto di imposizione, deve ritenersi sufficientemente motivato, in quanto richiamante un atto di contenuto generale avente valore presuntivo e da ritenersi conosciuto (o conoscibile) dal contribuente, spettando a quest’ultimo l’onere di fornire elementi oggettivi (eventualmente anche a mezzo perizia di parte) sul minor valore dell’area edificabile rispetto a quello accertato dall’ufficio (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 16620 del 05/07/2017).

2.2. Da ultimo, avuto riguardo alle aree asseritamente pertinenziali agli edifici esistenti (cfr. pagg. 9-10 del ricorso), va ricordato il principio consolidato secondo cui, in tema di ICI, il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, nell’escludere l’autonoma tassabilità delle aree pertinenziali, fonda l’attribuzione della qualità di pertinenza sul criterio fattuale correlato alla destinazione effettiva e concreta della cosa al servizio o ornamento di un’altra, in conformità all’art. 817 c.c., con la conseguenza che, per qualificare come pertinenza di un fabbricato un’area edificabile, è necessario che intervenga un’oggettiva e funzionale modificazione dello stato dei luoghi che sterilizzi in concreto e stabilmente lo ius edificandi (condizione che, nella presente fattispecie, non è stata neppure dedotta) e che non si risolva, quindi, in un mero collegamento materiale, rimovibile ad libitum (Sez. 5, Sentenza n. 13742 del 22/05/2019). Pertanto, non deve essere possibile, al fine di evitare l’elusione dell’imposta, una diversa destinazione del bene senza una radicale trasformazione dello stesso (poichè, altrimenti, sarebbe agevole per il proprietario, al mero fine di godere dell’esenzione, creare una destinazione pertinenziale che possa facilmente cessare).

In quest’ottica, va affermato il principio per cui “un’area edificabile limitrofa ad un fabbricato non ne costituisce pertinenza, sol perchè considerata, od anche semplicemente utilizzata, quale giardino dal proprietario del fabbricato stesso, in quanto tale uso – a prescindere dalla insussistenza di una nozione, se non giuridica, almeno tecnico-scientifica di giardino sulla cui base operare una qualificazione corretta – non è sintomatico, in carenza degli elementi concreti richiesti dall’art. 817 c.c., nè della sussistenza di un sicuro e durevole asservimento dell’area al servizio o all’ornamento dell’edificio, nè del fatto che il suo valore sia stato considerato per determinare quello (catastalmente rilevante) del fabbricato”.

In ogni caso, al contribuente che non abbia evidenziato nella dichiarazione l’esistenza di una pertinenza non è consentito contestare l’atto con cui l’area asseritamente pertinenziale viene assoggettata a tassazione, deducendo solo nel giudizio la sussistenza del vincolo di pertinenzialità (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13017 del 24/07/2012; conf. Sez. 5, Sentenza n. 27573 del 30/10/2018).

3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 3, del D.Lgs. n. 567 del 2000, artt. 151 e 174, del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, e della L. n. 388 del 2000, art. 53, comma 16, (come sostituito dalla L. n. 448 del 2001, art. 27, comma 8), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la CTR considerato, da un lato, che l’avviso impugnato aveva tenuto in considerazione la Delib. 15 ottobre 2008, n. 62, anzichè la precedente Delib. 27 febbraio 2008, n. 46 (che aveva deliberato i valori delle aree edificabili per l’anno 2008 con efficacia dell’1.1.2008), e, dall’altro, che la prima delibera, essendo stata emanata successivamente al termine di legge previsto per il 31.5.2008, non poteva essere utilizzata dal Comune per l’accertamento del valore delle aree fabbricabili.

3.1. Il motivo è infondato.

In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), la delibera con cui la giunta municipale provvede, ai sensi della L. n. 446 del 1997, art. 52, ad indicare i valori di riferimento delle aree edificabili, come individuati dall’ufficio tecnico comunale sulla base di informazioni acquisite presso operatori economici della zona, è legittima, costituendo esercizio del potere, riconosciuto al consiglio comunale dalla L. n. 446 cit., art. 59, lett. g), e riassegnato alla giunta dal D.Lgs. n. 267 del 2000, di determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine della delimitazione del potere di accertamento del comune qualora l’imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato, e, pur non avendo natura imperativa, integra una fonte di presunzioni dedotte da dati di comune esperienza, idonei a costituire supporti razionali offerti dall’Amministrazione al giudice, ed utilizzabili, quali indici di valutazione, anche retroattivamente (Sez. 5, Sentenza n. 15555 del 30/06/2010).

Ciò, pur determinando una sorta di inversione dell’onere probatorio, non esclude ovviamente che il contribuente possa dichiarare anche un valore inferiore a quello stabilito nella delibera, da reputarsi congruo se corrispondente a quello di mercato (recte, ai valori venali in comune commercio delle aree edificabili).

Come, poi, si è avuto modo di evidenziare nell’analisi del primo motivo, è legittimo l’avviso di accertamento emanato sulla base di una siffatta delibera del consiglio comunale che assolve ad una funzione analoga agli studi di settore (Sez. 5, Sentenza n. 5068 del 13/03/2015; conf. Sez. 6 5, Ordinanza n. 15312 del 12/06/2018).

Da ciò consegue che, non avendo la detta delibera lo scopo di determinare la base imponibile del tributo, la sua valenza presuntiva è sganciata dall’iter di approvazione dei bilanci di previsione dei Comuni, potendo, per l’effetto, essere adottata anche successivamente alla scadenza del termine per approvazione degli stessi.

Da non confondere con il caso di specie è il termine, sempre previsto in materia di imposta comunale sugli immobili (ICI), per l’adozione della delibera comunale di approvazione dell’aliquota, che, originariamente fissato al 31 ottobre dell’anno antecedente a quello di riferimento, è stato successivamente differito dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 27, comma 8, alla data di approvazione del bilancio di previsione dell’ente locale. In proposito questa Corte ha chiarito (Sez. 5, Sentenza n. 6724 del 04/05/2012) che la disposizione, pur allungando i termini per l’adozione di tale delibera, non fa retroagire al 1 gennaio dell’anno di riferimento dell’avvenuta approvazione la decorrenza dell’entrata in vigore dei soli regolamenti sulle entrate, essendo limitata la retrodatazione alla detta delibera.

4. In definitiva, il ricorso non merita accoglimento.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna la ricorrente al rimborso, in favore della resistente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 1.600,00, oltre spese prenotate a debito;

– dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della V Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, tenutasi con modalità da remoto, il 16 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021

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