Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16681 del 09/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 09/08/2016, (ud. 04/02/2016, dep. 09/08/2016), n.16681

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9572-2010 proposto da:

REKORDS SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA SICILIA 66, presso lo studio

dell’avvocato EDOARDO BELLI CONTARINI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato AUGUSTO FANTOZZI giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE SEDE CENTRALE in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 117/2009 della COMM.TRIB.REG. del LAZIO

SEZ.DIST. di LATINA, depositata il 19/02/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/02/2016 dal Consigliere Dott. PAOLA VELLA;

udito per il ricorrente l’Avvocato BELLI CONTARINI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA che ha concluso per l’inammissibilità o rigetto

del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con ricorso affidato a quattro motivi, la società REKORDS s.r.l. ha impugnato la sentenza n. 117/39/09 del 19.2.2009, con cui la Commissione tributaria regionale del Lazio ha accolto parzialmente l’appello della contribuente, e rigettato quello incidentale dell’amministrazione finanziaria, avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale di Latina, la quale aveva ridotto del 35% i maggiori ricavi accertati dall’amministrazione finanziaria, tenendo conto che la percentuale di ricarico, applicata nella misura del 100%, era stata calcolata a partire dai prezzi di vendita al pubblico delle merci (articoli di alta moda femminile), i quali erano però imposti dalle ditte fornitrici, mentre il prezzo effettivamente praticato restava condizionato dalle contingenti e mutevoli realtà del mercato.

Il giudice d’appello, nel condividere tale rilievo, aggiungeva che le percentuali di maggiori ricavi applicate non apparivano congrue e proporzionate alle reali capacità contributive della società, e che i dati posti a confronti risalivano all’anno 2005, mentre l’imposta atteneva alle annualità 2002-2003.

Pertanto, riduceva ulteriormente i maggiori ricavi accertati nella misura del 55%, respingendo invece l’appello incidentale dell’ufficio.

L’intimata Agenzia delle entrate non ha resistito con controricorso, costituendosi in giudizio ai soli fini della partecipazione alla pubblica udienza.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo, il ricorrente denunzia la “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, per avere il giudice d’appello “ritenuto parzialmente illegittimo l’operato del fisco, che, nella rideterminazione dei maggiori ricavi imputati alla contribuente, ha utilizzato quale unico strumento presuntivo, privo di predicati di “gravità precisione concordanza”, la percentuale di ricarico del 100%, desunta per di più dai cartellini di vendita, applicata su tutti i prodotti, erroneamente calcolata con il metodo della media matematica invece che con il (corretto) metodo della media ponderata, prendendo in considerazione solamente i prezzi di vendita di alcuni beni riferiti all’anno 2005, e legittimamente applicata in modo retroattivo a prodotti compravenduti negli anni 2002 e 2003″.

1.1. Il motivo è inammissibile, in quanto, pur essendo proposto come questione di diritto, entra nel merito degli accertamenti di fatto, peraltro riproponendo all’esame di questa Corte circostanze già valutate dai giudici di primo e secondo grado, in forza delle quali la percentuale di ricarico era stata già conseguentemente ridotta in misura, rispettivamente, del 35% e del 55%.

2. Con il secondo mezzo il ricorrente denunzia la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.: omessa pronuncia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”, chiedendo a questa Corte (testualmente) se sussista il vizio dedotto “qualora, come nella specie, il giudice di appello, a fronte di una ricostruzione dettagliata della vicenda in giudizio e, in particolare, delle illustrazioni dei molteplici motivi di doglianza dedotti dalla contribuente, non abbia poi deciso su alcuni capi della domanda autonomamente apprezzabili, limitandosi piuttosto generiche e astratte (e immotivate) considerazioni di principio”.

2.1. La censura è inammissibile, perchè corredata da un quesito di diritto assolutamente generico e peraltro carente di autosufficienza circa i capi di domanda sui quali il giudice non si sarebbe pronunciato.

3. Il terzo motivo veicola la doglianza di “contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, per avere il giudice d’appello (testualmente) “individuato gli elementi su cui è basato il proprio convincimento, nella specie, la congruità (meramente asserita non dimostrata) delle percentuali dei maggiori ricavi imputati alla contribuente e i prezzi di vendita delle merci, e, al contempo, implicitamente riconosciuto l’illegittimità delle percentuali medesime, affermando che i prezzi di vendita, unico elemento sulla base del quale dette percentuali erano state calcolate, non potevano essere ritenuti elementi certi ai fini della predetta ricostruzione, in quanto influenzati sia dal mercato sia della clientela, e poi concluso per un ulteriore abbattimento delle ritenute “congrue” percentuali dei maggiori ricavi del 55%”.

3.1. Il motivo è inammissibile, poichè non coglie l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, presupponendo che la C.T.R. abbia ritenuto la “congruità” delle “percentuali di maggiori ricavi accertati”, mentre nel corrispondente passaggio motivazionale si legge, al contrario, “che le percentuali di maggiori ricavi accertati non appaiono congrue e proporzionate alle reali capacità contributive della Contribuente” (di qui, coerentemente, l’ulteriore riduzione dei maggiori ricavi accertati, in misura del 55%).

4. Il quarto ed ultimo motivo prospetta/infine la “Omessa motivazione, nella specie motivazione apparente, su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”, poichè il giudice d’appello, pur individuando “gli elementi su cui ha basato il proprio convincimento, nella specie, la congruità (meramente asserita non dimostrata) delle percentuali dei maggiori ricavi accertati, e i prezzi di vendita, abbia poi omesso radicalmente qualsivoglia esame di tali elementi e considerazione al riguardo, operando un’arbitraria e forfettaria riduzione di tali ricavi, e impedendo in tal modo di comprendere quale sia il ragionamento sotteso alla composizione del caso di specie”.

4.1. Anche quest’ultimo motivo è affetto da vari profili di inammissibilità.

4.2. Esso invero, oltre a prospettare una censura motivazionale in termini di “motivazione apparente” – che integra invece il più radicale vizio di nullità della sentenza per inesistenza della motivazione, riconducibile all’ipotesi di error in procedendo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4) – risente del limite già evidenziato con riguardo al terzo motivo, di cui in effetti ripropone, sotto diversa prospettiva, il medesimo contenuto; ed infatti anche questa doglianza fraintende il contenuto della pronuncia, avendo il giudice d’appello in realtà ritenuto “non” congrue le “percentuali di maggiori ricavi accertati”.

4.3. Peraltro, l’ulteriore riduzione dei maggiori ricavi accertati, nella misura del 55%, risulta espressamente motivata con riferimento alle “doglianze della contribuente in ordine ai prezzi di vendita” ed alla circostanza “che i dati a confronto sono quelli relativi all’anno 2005 mentre l’imposta attiene agli anni 2002 e 2003”, sicchè la censura sembra piuttosto integrare una contestazione sul merito della decisione, in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il controllo di adeguatezza e logicità del giudizio di fatto consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella versione vigente ratione temporis – non può sostanziarsi nella revisione del ragionamento decisorio, altrimenti risolvendosi in una vera e propria riformulazione del giudizio di fatto, incompatibile con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudizio di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 959, 961 e 14233 del 2015), spettando in via esclusiva al giudice di merito la selezione degli elementi del suo convincimento (cfr. Cass. n. 26860 del 2014, n. 962 del 2015).

5. In conclusione, il ricorso va respinto, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibili i motivi primo, secondo e quarto, rigetta il terzo e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.400,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2016

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