Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16680 del 09/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 09/08/2016, (ud. 04/02/2016, dep. 09/08/2016), n.16680

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in Roma VIA G. PISANELLI

4, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GIGLI, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIULIO ANTONIO TAGLIABUE giusta delega in

calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE GENERALE in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI GORGONZOLA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6/2009 della COMM.TRIB.REG. della Lombardia

depositata il 27/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/02/2016 dal Consigliere Dott. PAOLA VELLA;

udito per il ricorrente l’Avvocato TAGLIABUE che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato GALLUZZO che si riporta al

controricorso e chiede il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con ricorso affidato a tre motivi, S.G. ha impugnato la sentenza n. 6/35/09 del 27.1.2009 con cui la C.T.R. Lombardia ha accolto l’appello dell’amministrazione finanziaria e riformato la decisione della C.T.P. di Milano, favorevole alla tesi del contribuente per cui la consegna del verbale redatto dalla Guardia di Finanza non potesse equivalere alla sua notifica, ai fini della preclusione alla definizione automatica degli anni pregressi di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9, con conseguente illegittimità del diniego di condono per l’annualità 1998, fondato sulla mancata definizione del p.v.c. semplicemente consegnato dalla Guardia di finanza al contribuente in data 13 maggio 1998.

Il giudice d’appello ha diversamente ritenuto che, per aversi la preclusione di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 14, e art. 8, comma 10, lett. a), non è strettamente necessaria la notifica del p.v.c., ma è sufficiente anche la sua consegna alla parte ad opera della G.d.F., in quanto equivalente alla prima sotto tutti i profili, segnatamente: 1) l’assolvimento ad una pubblica funzione di rilevante discrezionalità tecnica; 2) la richiesta ad altro soggetto di eseguire le operazioni (lettera di incarico della verifica); 3) il rispetto di precise forme atte ad assicurare la legale conoscenza del destinatario; 4) la produzione automatiche di conseguenze giuridiche (preclusione alla produzione dei documenti non esibiti; decorrenza del termine di sessanta giorni per le osservazioni); 5) l’inclusione nel verbale di tutte le deduzioni del contribuente.

L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso ed il ricorrente ha depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo, rubricato “Violazione dell’art. 329 c.p.c., comma 2 – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”, parte ricorrente chiede se abbia violato detta norma il giudice d’appello che, “in presenza di uno specifico motivo di ricorso da parte del contribuente proposto in primo grado di giudizio basato sull’interpretazione di una norma di legge; in presenza di una decisione di primo grado favorevole al contribuente che implicitamente accoglie tale motivo di ricorso; in presenza di un atto di impugnazione da parte dell’appellante che ometta di impugnare specificamente la sentenza in relazione ad uno dei motivi di ricorso prospettati dal contribuente in primo grado; non abbia rilevato d’ufficio l’acquiescenza parziale ed il conseguente giudicato interno sulla questione oggetto del motivo non specificamente impugnato dall’appellante”.

1.1. Il motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.

1.2. Invero, oltre ad essere stato proposto come error in iudicando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), pur prospettando in realtà un error in procedendo disciplinato dal successivo n. 4), esso risulta carente di autosufficienza circa l’effettivo tenore delle difese delle parti e delle statuizioni giudiziali di prime cure in ordine alla competenza della Guardia di Finanza, ed è altresì corredato da un quesito formulato in termini del tutto generici ed astratti.

1.3. Peraltro, dall’esame degli atti non emerge l’esistenza di una statuizione del giudice di primo grado, “implicitamente” dichiarativa dell’incompetenza della G.d.F. ad emettere il p.v.c. consegnato al contribuente, su cui si sia potuto formare un giudicato interno, risultando semmai che la questione, non riproposta in appello, poteva ritenersi rinunciata ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56.

2. Il secondo mezzo, proposto per l’ipotesi di rigetto del primo, affronta la medesima questione “ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”, in quanto la C.T.R. avrebbe “omesso completamente di motivare” se le disposizioni di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 8, comma 10, lett. a) e art. 9, comma 14, “si riferiscano strettamente, anzi esclusivamente, al p.v.c. redatto dall’Agenzia delle Entrate oppure possano ricomprendere anche i processi verbali di verifica della Guardia di Finanza”.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. In primo luogo, esso viola la prescrizione contenuta nell’art. 366 bis c.p.c., – cui la sentenza impugnata è soggetta, ratione temporis, in forza della disciplina transitoria di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 5 – per cui i motivi riconducibili al n. 5) dell’art. 360 c.p.c., comma 1, devono essere corredati, a pena di inammissibilità, dalla formulazione del cd. “momento di sintesi” (o “quesito di fatto”), consistente in un apposito passaggio espositivo, distinto ed autonomo rispetto allo svolgimento del motivo e che sostanzi un quid pluris rispetto all’illustrazione del mezzo (Cass. s.u. n. 12339 del 2010; Cass. n. 8897 e n. 4309 del 2008; nn. 21194 e 24313 del 2014), finalizzato ad individuare, chiaramente e sinteticamente, il fatto controverso e decisivo per il giudizio in riferimento al quale la motivazione si assume omessa, ovvero insufficiente o contraddittoria, con specifica segnalazione delle ragioni per le quali la motivazione risulta inidonea a giustificare la decisione (ex plurimis, Cass. s.u. n. 20603 del 2007 e n. 11652 del 2008; Cass. n. 27680 del 2009). Nè alla carenza, anche grafica, di tale elemento potrebbe supplirsi attribuendo a questa Corte il potere di individuarne autonomamente una possibile (larvata) stesura nell’ambito dello svolgimento del motivo, poichè ne resterebbe svilita – rispetto ad un sistema processuale che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata la portata innovativa dell’art. 366-bis c.p.c., consistente proprio nell’imposizione della formulazione di motivi contenenti una sintesi autosufficiente della censura, funzionale al miglior esercizio della funzione nomofilattica del Giudice di legittimità (cfr., ex multis, Cass. nn. 16481/14, 24313/14, 22591/13, 20409/08).

2.3. In secondo luogo, lo sviluppo del motivo prospetta a ben vedere questioni di diritto, che avrebbero dovuto essere veicolate come tali ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

2.4. In ogni caso, la sentenza impugnata non fa alcun cenno alla questione della competenza della Guardia di finanza ad emettere processi verbali di constatazione, e d’altro canto è lo stesso ricorrente a dedurre di aver sollevato la questione solo con il ricorso in primo grado; sicchè non potrebbe nemmeno configurarsi (più radicalmente) una omessa pronuncia sul punto, trattandosi semmai, per quanto risulta in atti, di questione che poteva come detto intendersi rinunciata, ai sensi della D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56.

3. Con il terzo ed ultimo motivo, proposto “ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3”, parte ricorrente formula il quesito di diritto “se la causa ostativa la validità della domanda di condono previsto dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 8, comma 10, lett. a) e art. 9, comma 14 costituita da “la notifica alla data di entrata in vigore della legge del processo verbale di constatazione con esito positivo”, possa ritenersi sussistente anche nell’ipotesi di fattispecie equipollente alla “notificazione”, come quella della mera “consegna/comunicazione” del processo verbale di constatazione da parte della Guardia di Finanza”.

3.1. Il motivo è infondato.

3.2. Il Collegio ritiene invero di dare continuità all’orientamento di questa Corte per cui, “In tema di condono fiscale, la consegna al contribuente di un processo verbale di constatazione, redatto all’esito di una verifica della Guardia di Finanza “con esito positivo”, rende inoperante la definizione automatica per l’anno a cui si riferisce, prevista dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, analogamente alla notifica del predetto verbale, atteso che, a tal fine, rileva la funzione e non la provenienza dell’atto, mentre l’attestazione di avvenuta consegna del verbale al contribuente, risultante dalla sottoscrizione per ricevuta, è idonea a soddisfare la medesima esigenza di certezza sottesa alla notificazione, ossia la piena conoscenza dell’atto da parte del destinatario” (Cass. n. 26702/14; conf. nn. 1554/12, 14366/11, 24913/05).

4. In conclusione, il ricorso va respinto ed il ricorrente va conseguentemente condannato alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibili primi due motivi di ricorso, rigetta il terzo e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.250,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2016

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