Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16673 del 25/06/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 16673 Anno 2018
Presidente: D’ASCOLA PASQUALE
Relatore: SCARPA ANTONIO

ORDINANZA
sul ricorso 3927-2017 proposto da:
SENES ANDREA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA APPIO
CLAUDIO 289, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO
GERMANI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro
CONDOMINIO VIA VENEZIA 5 LADISPOLI, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE SOMALIA 35, presso lo studio
dell’avvocato ANDREA CARANCI, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente avverso la sentenza n. 4646/2016 della CORTE D’APPELLO di
ROMA, depositata il 21/07/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 10/04/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Data pubblicazione: 25/06/2018

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Andrea Senes ha proposto ricorso in cassazione articolato in tre
motivi avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n.
4646/2017 del 21 luglio 2016.
Resiste con controricorso il Condominio di Via Venezia n. 5,

Andrea Senes impugnò la deliberazione dell’assemblea 16
settembre 2006 del convenuto Condominio di Via Venezia n. 5,
Ladispoli,

assumendo di

aver conferito delega

per

quell’adunanza all’amministratrice Maria Luisa Biancospino e di
essere stato invece rappresentato da Vincenzo Solofra, con
conseguente invalidità della delibera per difetto dei quorum.
Avendo il Condominio prodotto delega sottoscritta da Andrea
Senes per la partecipazione a quella assemblea, diversa da
quella invece esibita dall’attore, il Senes all’udienza del 26
ottobre 2001 riconobbe la sua firma, ma replicò che la stessa
delega allegata dal Condominio convenuto fosse stata in realtà
da lui rilasciata in bianco e per un’assemblea diversa da quella
del 15/16 settembre 2006. Venne così revocata l’ordinanza di
ammissione di ctu grafologica

(rectius:

calligrafica) e il

Tribunale di Civitavecchia, con sentenza del 23 maggio 2012,
rigettò la domanda.
Proposto appello da Andrea Senes, lo stesso venne respinto
dalla Corte d’Appello di Roma, affermando che doveva essere
l’appellante a dimostrare l’illecita compilazione della delega
prodotta da Condominio, la cui sottoscrizione era stata
riconosciuta dal Senes. Inoltre, i giudici di appello motivarono
la superfluità dell’espletamento della ctu calligrafica, come
anche di quella comparativa con precedenti deleghe
condominiali.

Ric. 2017 n. 03927 sez. M2 – ud. 10-04-2018
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Ladispoli .

Il primo motivo del ricorso di Andrea Senes deduce la
violazione degli artt. 216 c.p.c. e 1175 c.c., l’insufficiente e
contraddittoria motivazione in ordine alla revoca dell’ordinanza
ammissiva della ctu “grafologica” ed alla produzione di altra
delega da parte del Condominio, come alla presenza di due

conto che la delega prodotta dall’attore era stata disconosciuta.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt.
88 c.p.c. e 1175 c.c., ovvero l’erronea applicazione dei principi
di lealtà e probità, insistendosi sulla diversità tra la delega
allegata dal Condominio e quella invece esibita dall’attore
all’atto della sua costituzione.
Il terzo motivo di ricorso deduce, infine, la violazione dell’art.
216 c.p.c. per la mancata verificazione della delega posta a
base del ricorso.
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse
essere rigettato per manifesta infondatezza, con la
conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c.,
in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., il presidente ha
fissato l’adunanza della camera di consiglio.
Il ricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380 bis,
comma 2, c.p.c.
Devono disattendersi le eccezioni del controricorrente di
inammissibilità del ricorso, in quanto la procura dello stesso,
giacché rilasciata a margine della pagina che contiene la
sottoscrizione del difensore e prima della relata di notifica,
soddisfa il requisito della specialità di cui all’art. 365 c.p.c.;
come pure rispettato è il requisito della esposizione sommaria
dei fatti di causa, visto che il ricorrente riproduce una
sufficiente narrativa della vicenda processuale, e rende
comprensibile l’oggetto della pretesa ed il tenore della
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deleghe diverse per la stessa assemblea, dovendosi tener

sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi
di censura.
I tre motivi di ricorso vanno poi esaminati congiuntamente, per
la loro connessione, e si rivelano in parte inammissibili, e
comunque infondati.

motivazione” in quanto l’invocato parametro dell’art. 360,
comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n.
83 del 2012, convertito in legge n. 134 del 2012, contempla
soltanto il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale
o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o
dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo. Tale ultimo
attributo è, nella specie, da negare, perché è intendere in tal
senso decisivo solo un fatto che, se esaminato dal giudice,
avrebbe

ex se

portato ad una diversa soluzione della

controversia, laddove l’omesso esame di elementi istruttori non
si risolve nella corretta prospettazione di un vizio ex art. 360,
comma 1, n. 5, c.p.c., ove i fatti storici siano stati comunque
presi in considerazione nella sentenza impugnata, ancorché
essa non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie
(Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).
Altrettanto inammissibili sono le censure rivolte avverso
l’ordinanza istruttoria di revoca della CTU, trattandosi di
provvedimento di natura tipicamente ordinatoria, con funzione
strumentale e preparatoria rispetto alla futura definizione della
controversia, privo come tale di qualunque efficacia decisoria
ed insuscettibile, pertanto, di essere oggetto di immediate
censure in sede di legittimità.
D’altro canto, la consulenza tecnica non è un mezzo istruttorio
rimesso alla disponibilità delle parti, ma rappresenta
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E’ inammissibile la doglianza di “insufficiente e contraddittoria

l’espressione di un potere (propriamente discrezionale) del
giudice, cui è rimessa la facoltà di valutarne la necessità o
l’opportunità, con la conseguenza che, pur dopo la sua
ammissione, al giudice stesso ne è consentita la revoca, in
base ad una diversa e sopravvenuta valutazione dei fatti di

Sez. 3, 11/08/2000, n. 10707).
I motivi di ricorso rivelano altresì scarsa specificità e riferibilità
alla ratio decidendi dell’impugnata sentenza.
Ove un condomino impugni una deliberazione dell’assemblea,
assumendo che la stessa sia stata adottata in forza del voto di
un proprio “falso” (o “infedele”) delegato, voto che abbia inciso
sulla regolare costituzione dell’assemblea, o sul
raggiungimento della maggioranza deliberativa prescritta dalla
legge o dal regolamento (non trovando nella specie
applicazione, ratione temporis, quanto ora stabilito dall’art. 67,
commi 1 e 5, disp. att. c.c., in seguito alle modifiche introdotte
dalla legge n. 220 del 2012), occorre considerare come i
rapporti tra il rappresentante intervenuto in assemblea ed il
condomino rappresentato vadano disciplinati in base alle regole
sul mandato. Solo, dunque, il condomino delegante e quello
che si ritenga falsamente rappresentato sono legittimati a far
valere gli eventuali vizi della delega o la carenza del potere di
rappresentanza, e non anche gli altri condomini, perché
estranei a tale rapporto (Cass., Sez. 2, 30/01/2013 , n. 2218;
Cass. Sez. 2, 07/07/2004, n. 12466).
In forza dell’originaria formulazione dell’art. 67, comma 1, c.c.
(avendo soltanto la Riforma del 2012 imposto la forma scritta
della delega), era del resto consolidato l’orientamento
giurisprudenziale secondo cui il potere rappresentativo
conferito dal condomino ad un altro soggetto per la
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causa (normalmente sottratta al sindacato di legittimità: Cass.

partecipazione all’assemblea condominiale potesse essere
attribuito anche verbalmente; pertanto la prova dell’esistenza,
dell’oggetto e dei limiti del mandato poteva essere acquisita
con ogni mezzo, anche con presunzioni (Cass. Sez. 2,
14/07/1972, n. 2416; Cass. Sez. 2, 28/06/1979, n. 3634).

convenuto da Andrea Senes, che chiedeva di invalidare la
deliberazione dell’assemblea 16 settembre 2006, assumendo di
aver conferito delega per partecipare alla stessa
all’amministratrice Maria Luisa Biancospino e non a Vincenzo
Solofra, produsse una delega sottoscritta dal Senes che ne
avrebbe comprovato il valido conferimento di rappresentanza
proprio a chi risultava essere suo delegato in quella adunanza.
A questo punto, Andrea Senes, pur riconoscendo la
sottoscrizione (dal che discende la totale irrilevanza della CTU
calligrafica), dedusse che tale delega era stata rilasciata in
bianco e per un’assemblea diversa da quella del 15/16
settembre 2006. In sostanza, l’attore, poi appellante, ora
ricorrente, ha effettuato una denunzia di abusivo riempimento
da parte di un terzo (nella specie, il delegato) di un foglio
firmato in bianco, esponendo che il riempimento fosse
avvenuto

“contra pacta”.

A nulla valeva, quindi, il

disconoscimento, giacché esso non costituisce mezzo
processuale idoneo a dimostrare l’abusivo riempimento del
foglio in bianco, sia che si tratti di riempimento
pactis”,

“absque

sia che si tratti (come appunto qui dedotto dal

ricorrente) di riempimento

“contra pacta”,

dovendo, nel

secondo caso, in particolare, essere fornita la prova di un
accordo dal contenuto diverso da quello del foglio sottoscritto
(Cass. Sez. 3, 16/12/2010, n. 25445; Cass. Sez. 2,
12/06/2000, n. 7975). Il Senes, allora, non ha dato prova di
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Nel caso in esame, il Condominio di Via Venezia n. 5, Ladispoli,

quale diverso contenuto dovesse avere la delega esibita dal
Condominio proprio relativamente all’assemblea del 16
settembre 2006. Non rivela, invece, alcuna decisività
soffermare le censure di legittimità sulla diversa delega che il
ricorrente sostiene di aver prodotto in giudizio, avendo la Corte

scritta che il Condominio aveva conservato agli atti e poi
esibito al momento della sua costituzione, per dimostrare la
valida partecipazione dei condomini che si erano fatti
rappresentare nell’assemblea del 16 settembre 2006.
Il ricorso va perciò rigettato e il ricorrente va condannato a
rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di
cassazione.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1,
comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha
aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento,
da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione
integralmente rigettata.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare
al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di
cassazione, che liquida in complessivi C 3.200,00, di cui C
200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di
legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del
2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del
2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a

i

Ric. 2017 n. 03927 sez. M2 – ud. 10-04-2018
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d’Appello giustamente fondato la propria decisione sulla delega

titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso,
a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2
Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 10 aprile
2018.

Dott. Pasquale D’Ascola

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DEPOStTATO IN CANCEILERIA

……..
Roma, …….. ……. I . 2911
11 Funzionario Giudiziario

Il Presidente

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