Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1667 del 24/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 24/01/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 24/01/2020), n.1667

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1759/2019 R.G. proposto da:

P.A. e PR.AN., rappresentati e difesi dall’Avv.

Antimo Lucci, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– ricorrenti –

contro

M.L., in qualità di erede di MO.AR.,

rappresentata e difesa dall’Avv. Arnaldo Miglino, con domicilio

eletto in Roma, via della Giuliana, n. 44;

– controricorrente –

e

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI

SALERNO;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno n. 1085/18

depositata il 17 luglio 2018.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 3 dicembre

2019 dal Consigliere Guido Mercolino.

Fatto

RILEVATO

che, con atto di citazione notificato l’8 marzo 2011, P.A. ed Pr.An., in qualità di figli di P.C. (deceduto il (OMISSIS)), convennero in giudizio Mo.Ar., per sentir accertare il rapporto di paternità intercorrente tra quest’ultimo ed il loro genitore;

che, con sentenza del 15 gennaio 2015, il Tribunale di Salerno dichiarò inammissibile la domanda, in quanto proposta successivamente alla scadenza del termine biennale di cui all’art. 270 c.c., comma 2, decorrente dalla morte di P.C.;

che il gravame proposto dagli attori è stato rigettato dalla Corte d’appello di Salerno, che, con sentenza del 17 luglio 2018, ha confermato l’avvenuta scadenza del termine per la proposizione della domanda, ritenendo giustificata la diversità della disciplina dettata dall’art. 270, comma 2, per i discendenti da quella prevista dal comma 1 per il figlio, ed escludendo la possibilità di attribuire efficacia interruttiva alle dichiarazioni rese dal Mo. in uno scambio epistolare intercorso con gli attori, in considerazione dell’indisponibilità del diritto controverso e della conseguente irrinunciabilità del termine di prescrizione;

che avverso la predetta sentenza i P. hanno proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo, al quale ha resistito con controricorso M.L., in qualità di erede del Mo., deceduto nel corso del giudizio d’appello.

Diritto

CONSIDERATO

che con l’unico motivo d’impugnazione i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2937 c.c., censurando la sentenza impugnata per aver affermato l‘indisponibilità del diritto al riconoscimento della paternità, senza considerare che la rinuncia del Morro-ne non aveva ad oggetto tale diritto, ma il termine di decadenza di cui all’art. 270 c.c., comma 2;

che, nel ritenere ininfluenti le dichiarazioni rese dal Mo. nella corrispondenza intercorsa in epoca anteriore all’instaurazione del giudizio, la Corte d’appello non ha considerato che la predetta rinuncia può risultare anche da un fatto incompatibile con la volontà di avvalersi della prescrizione, trattandosi di negozio unilaterale non recettizio, per il quale non è prescritta una forma particolare, nè la notificazione alla controparte o l’accettazione della stessa, ma solo la disponibilità del diritto rinunciato;

che il ricorso è infondato;

che la sentenza impugnata ha correttamente attribuito natura decadenziale al termine previsto dall’art. 270 c.c., comma 2, in conformità del dettato di tale disposizione, che, nel disciplinare la dichiarazione di paternità, distingue l’azione proposta dal figlio, dichiarata imprescrittibile dal comma 1, da quella proposta dai discendenti dello stesso, assoggettata al predetto termine, decorrente dalla morte del figlio (cfr. Cass., Sez. I, 21/09/2001, n. 11934);

che non può condividersi la tesi sostenuta dal ricorrente, che pretende di distinguere tra l’indisponibilità del diritto all’accertamento della paternità e la rinunciabilità del termine di decadenza previsto per la relativa azione, trovando applicazione l’art. 2698 c.c., ai sensi del quale, ove la decadenza sia stabilita dalla legge in materia sottratta alla disponibilità delle parti, come quella riguardante lo stato delle persone, le stesse non possono rinunziarvi;

che, anche a voler attribuire al termine in questione natura prescrizionale, l’indisponibilità dello status di figlio escluderebbe la possibilità di ravvisare una valida rinuncia nelle dichiarazioni rese dal convenuto in epoca anteriore all’instaurazione del giudizio, trovando applicazione l’art. 2937 c.c., comma 1, che non consente di rinunziare alla prescrizione a chi non può disporre validamente del diritto;

che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 270 c.c., nella parte in cui, assoggettando l’azione dei discendenti ad un brevissimo termine di decadenza, comporterebbe, ad avviso dei ricorrenti, un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto al figlio, la cui azione risulta invece sottratta a qualsiasi termine di prescrizione o decadenza;

che, come già affermato da questa Corte, la diversità della disciplina dettata dall’art. 270, primi due commi, trova giustificazione nell’evidente disomogeneità delle situazioni dagli stessi considerate, giacchè l’imprescrittibilità dell’azione riguardo al figlio tutela l’interesse del medesimo al riconoscimento della propria filiazione, interesse che resta integro anche nell’ipotesi di decesso del presunto genitore, mentre il termine decadenziale previsto per l’azione promossa dai discendenti del presunto figlio è giustificato dal fatto che essi sono portatori di un interesse non diretto, ma solo riflesso al riconoscimento della filiazione del loro ascendente (cfr. Cass., Sez. I, 21/ 09/2001, n. 11934);

che inoltre, a differenza di quanto accade per i discendenti, il diritto al riconoscimento di uno status filiale corrispondente alla verità biologica costituisce per il figlio una componente essenziale del diritto all’identità personale, riconducibile all’art. 2 Cost. ed all’art. 8 della CEDU, che accompagna la vita individuale e relazionale, e l’incertezza su tale status può determinare una condizione di disagio ed un vulnus allo sviluppo adeguato ed alla formazione della personalità (cfr. Cass., Sez. I, 29/11/2016, n. 24292);

che il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2020

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