Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16668 del 04/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 04/08/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 04/08/2020), n.16668

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13684-2016 proposto da:

D.A.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

BERTOLONI 44, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE DE VERGOTTINI,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO MANFREDI;

– ricorrente –

contro

M.J., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 48, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CORVASCE, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONELLA DEVOLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 22/03/2016 R.G.N. 519/2014.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con ricorso al Tribunale di Ancona la M. deduceva di aver lavorato come collaboratrice familiare in favore del defunto S.M. dal 2001 al 2010, di non essere stata adeguatamente retribuita e di non aver percepito il t.f.r.; chiedeva pertanto la condanna dell’erede S., d.A. G., al pagamento della somma complessiva di Euro 70.073.

Il Tribunale rigettava la domanda ritenendo sostanzialmente che tra le parti avesse avuto corso un rapporto affectio ac benevolentiae causa che escludeva un rapporto di lavoro subordinato, anche considerato che nel corso del decennio nulla era stato chiesto e corrisposto a titolo di retribuzioni.

Avverso tale sentenza proponeva appello la M.; resisteva la D..

Con sentenza depositata il 22.3.16, la Corte d’appello di Ancona riformava la sentenza di prime cure, accertando l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato part time, condannando la D. al pagamento, in favore della M., delle differenze retributive e di t.f.r. per Euro 34.076,35, condannandola inoltre al pagamento dei 3/4 delle spese del doppio grado.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la D., affidato a tre motivi, cui resiste la M. con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione delle disposizioni codicistiche che regolano il rapporto di lavoro subordinato (in primis l’art. 2094 c.c.), e la mancata considerazione della assoluta mancanza di sicuri indici della subordinazione, dell’obbligo di prestare attività lavorativa e della volontà delle parti.

Con secondo motivo denuncia un vizio di motivazione, avendo riscontrato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato escludendo quello di un rapporto affettivo con convivenza more uxorio.

Con terzo motivo si duole dell’omessa pronuncia sulla eccepita violazione dell’art. 342 c.p.c. per la mancata formulazione con l’atto di appello di critiche specifiche alla decisione di primo grado.

Con quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte di Appello condannato l’odierna ricorrente al pagamento di oneri contributivi, non risultando formulata dalla M. la relativa domanda; ed infine la nullità della sentenza per la mancata evocazione in giudizio dell’ente previdenziale.

Il ricorso è in larga parte inammissibile e per il resto infondato.

Inammissibile è innanzitutto il terzo motivo, non chiarendo la ricorrente le ragioni per cui il ricorso in appello sarebbe irrituale. Occorre infatti ribadire che quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), Cass.sez.un. 22.5.2012 n. 8077; Conformi: Cass. n. 22880/17, n. 7406/17; n. 15817 del 2004, Cass. n. 19410/15; Cass. n. 11738/16) e pertanto con tutte le precisazioni e i riferimenti a ciò necessari (Cass. 2 febbraio 2017, n. 2771). Nella specie l’atto di appello non risulta neppure depositato.

I primi due motivi sono parimenti inammissibili, criticando accertamenti e valutazioni di fatto del giudice di merito non più censurabili in base al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il quarto ed il quinto motivo sono infondati non avendo la Corte di merito condannato la D. al pagamento di contributi previdenziali ma solo, come di regola, al pagamento degli importi a debito lordi dovendosi ribadire che le somme cui è condannato il datore di lavoro in favore del lavoratore debbono essere liquidate al lordo e non al netto delle ritenute fiscali e previdenziali (ex aliis, Cass. n. 10942 del 18/08/2000, Cass. n. 2544 del 21/02/2001, Cass. n. 11121 del 26/07/2002).

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2020

 

 

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