Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16667 del 04/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 04/08/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 04/08/2020), n.16667

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13853-2016 proposto da:

L.G., domiciliato ope legis presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dagli avvocati ENRICO

AZZARELLO, GIOVANNI MANGANO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS),

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, Via Cesare Beccaria 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto rappresentato e difeso dagli avvocati

GIUSEPPE MATANO, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE,

ESTER ADA SCIPLINO, ANTONINO SGROI;

– controricorrente –

e contro

P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 560/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 28/05/2015 R.G.N. 326/2009.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con ricorso al Tribunale di Catania, P.A. esponeva di aver lavorato alle dipendenze di L.G., titolare dell’omonima impresa che svolgeva attività di vendita al dettaglio di prodotti per il condizionamento degli ambienti e per la installazione dei relativi impianti, dal maggio 1999 al marzo 2001 occupandosi della gestione di ogni attività necessaria all’attività commerciale della ditta con le mansioni elencate in ricorso.

L’orario di lavoro osservato era il seguente: dalle 9,00 alle 12,30 e dalle 15,00 alle 19,30.

Aveva ricevuto una retribuzione mensile sempre inferiore a Lire 500.000. Si era dimessa nel marzo 2001 per giusta causa. Il rapporto non era stato regolarizzato.

La retribuzione era insufficiente ex art. 36 Cost. alla luce del c.c.n.l. del settore commercio.

Chiedeva, conseguentemente la condanna al pagamento di L.37.109.000 per differenze retributive e TFR, oltre al versamento dei contributi INPS non versati.

Si costituiva il resistente L.G., ammettendo l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato nel periodo indicato.

Contestava, tuttavia, gli orari di lavoro indicati in ricorso, in quanto la ricorrente aveva lavorato dal lunedì al venerdì dalle 10,00 alle 12,30, contestando anche le mansioni dedotte come svolte.

Su autorizzazione del giudice la ricorrente chiamava in giudizio l’Inps, il quale si costituiva tardivamente, chiedendo la condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi omessi nei limiti della prescrizione. La causa veniva istruita con l’assunzione di prova per testi e decisa con sentenza del 18.03.2008 con cui il Tribunale, in parziale accoglimento della domanda, condannava L.G. a pagare alla P. la somma di Euro 656,00 a titolo di 13^ mensilità anno 2001 e TFR, interessi e rivalutazione, rigettava ogni altra domanda e compensava per intero tra le parti le spese processuali.

Avverso tale sentenza proponeva appello P.A., chiedendo che, in riforma dell’impugnata sentenza, accogliesse integralmente le domande proposte nel ricorso introduttivo.

Resisteva il L..

Con sentenza depositata il 28.5.15, la Corte d’appello di Catania, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava il L. al pagamento della somma di Euro 20.720,17, oltre accessori ed al pagamento delle spese del doppio grado.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il L., affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso il solo INPS, mentre la P. è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo il L. denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte di merito riconosciuto alla lavoratrice un importo superiore (Euro 20.720,17) a quello richiesto (Euro 19.165,20).

Il motivo è fondato in quanto la sentenza impugnata, che pur ha rilevato delle incongruenze nella relazione del c.t.u., non poteva comunque, in mancanza di specifica richiesta di modificazione della domanda, attribuire alla ricorrente una somma maggiore di quella inizialmente richiesta.

Con secondo motivo il L. lamenta una erronea valutazione delle risultanze testimoniali, ma il motivo è pacificamente inammissibile in base al disposto dell’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5 applicabile nella fattispecie.

Il ricorso deve essere pertanto accolto nei limiti di cui in motivazione, la sentenza impugnata cassata, con decisione nel merito da parte di questa Corte, non essendo necessari altri accertamenti.

L’esito complessivo della lite consiglia di lasciare immutata la statuizione sulle spese adottata dai giudici del merito, e la posizione a carico della P. e dell’INPS di un terzo delle spese del presente giudizio, per il resto compensate,liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie parzialmente il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il secondo. Cassa la sentenza impugnata e per l’effetto condanna il ricorrente al pagamento, in favore della P., di Euro 19.165,20, oltre accessori di legge. Conferma la statuizione sulle spese adottate dai giudici del merito e condanna la P. e l’INPS al pagamento di un terzo delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida per l’itero in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2020

 

 

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