Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16665 del 06/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 06/07/2017, (ud. 06/06/2017, dep.06/07/2017),  n. 16665

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. SPAZIANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19185-2014 proposto da:

COMPAGNIA LAVORATORI PORTUALI SCARL, in persona del Presidente del

Consiglio di Amministrazione dott. T.C., elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA BAINSIZZA 1, presso lo studio

dell’avvocato MAURO SABETTA, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato FRANCESCO ELIA giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.M., S.P., S.F., elettivamente

domiciliati in ROMA VIA DOMINICI 6, presso lo studio dell’avvocato

LOREDANA PIATTONI, rappresentati e difesi dagli avvocati SILVIO

PUCCI, MIRRO PUCCI giusta procura a margine del controricorso;

SMEPP SPA in persona dei propri legali rappresentanti pro-tempore

ing. N.L. e sig. C.F., considerata

domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ANGELO DI PIETRO

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

FONDIARIA SAI SPA, REALE MUTUA ASSICURAZIONI SPA, P.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n, 709/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 30/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/06/2017 dal Consigliere Dott. PAOLO SPAZIANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI CORRADO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato BARBARA SIMONETTI per delega;

udito l’Avvocato SILVIO PUCCI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto notificato il 7 luglio 1997, S.R. – premesso che in data 27 agosto 1996, mentre assisteva alle operazioni di posizionamento di un’ancora commemorativa in una piazza di (OMISSIS), era stato violentemente colpito dal monumento, il quale era caduto dal carrello elevatore che lo stava movimentando; che le operazioni di trasporto e posizionamento dell’ancora erano state eseguite dalla Compagnia Lavoratori Portuali s.c.a.r.l. di (OMISSIS) a mezzo di un proprio incaricato e dalla Smepp s.p.a. a mezzo di un proprio dipendente; e che in seguito a tale incidente aveva riportato gravi lesioni personali – convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Livorno la Compagnia Lavoratori Portuali s.c.a.r.l. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni.

Il contraddittorio fu integrato nei confronti di P.F. (l’incaricato che aveva materialmente eseguito la manovra di pozionamento) e della Smepp s.p.a..

Le due società chiamarono in causa i rispettivi assicuratori (la Reale Mutua di Assicurazioni e la Fondiaria Assicurazioni s.p.a.) formulando nei loro confronti domanda di garanzia condizionata all’eventuale soccombenza.

Deceduto S.R. in ragione delle lesioni riportate in seguito all’incidente, il processo fu proseguito da Sa.Pi., S.F. e S.M., qualificatisi come suoi eredi, e costituitisi con memoria del 29 novembre 2001, con la quale fu invocata la condanna dei convenuti al risarcimento del danno iure hereditatis, con riserva di agire in separato giudizio per il danno iure proprio.

Con atto di intervento adesivo autonomo del 26 febbraio 2003, gli stessi Sa.Pi., S.F. e S.M. domandarono la condanna dei convenuti al risarcimento del danno da loro subito iure proprio.

Con sentenza del 15 maggio 2007, il Tribunale, esclusa la responsabilità della Smepp s.p.a. e di P.F., condannò la Compagnia Lavoratori Portuali s.c.a.r.l. a risarcire a Sa.Pi., S.F. e S.M. il danno richiesto iure hereditatis e dichiarò inammissibile, in quanto tardiva, la domanda relativa al risarcimento del danno iure proprio. Provvide inoltre sulla domanda di garanzia formulata dalla società condannata nei confronti della Reale Mutua Assicurazioni.

Con sentenza del 30 aprile 2014, la Corte di appello di Firenze – adìta con appello principale da Sa.Pi., S.F. e S.M. e con appello incidentale dalla Compagnia Lavoratori Portuali s.c.a.r.l. -, accertato il concorso colposo della vittima nella misura del 20 per cento, ha invece escluso quello della Smepp s.p.a., ha riliquidato le somme dovute dall’appellante incidentale a titolo di risarcimento del danno iure hereditatis e l’ha condannata in favore degli appellanti principali al risarcimento anche del danno iure proprio, sulla base, per quanto ancora interessa, dei seguenti rilievi:

– dall’istruttoria era risultato che il carrello elevatore utilizzato per lo scarico e il posizionamento dell’ancora monumentale era di proprietà della Compagnia Lavoratori Portuali s.c.a.r.l. che aveva svolto le predette operazioni (durante le quali si era verificato l’evento dannoso) attraverso un suo incaricato ( P.F.), mentre la Smepp s.p.a. si era occupata unicamente della precedente fase del trasporto, durante la quale nessun danno era stato prodotto; doveva quindi rigettarsi l’impugnazione incidentale della Compagnia Lavoratori Portuali nella parte in cui aveva invocato l’accertamento della concorrente e prevalente responsabilità della Smepp s.p.a.;

– tale impugnazione andava respinta anche con riguardo alla parte in cui aveva invocato il rigetto della domanda di risarcimento del danno iure hereditatis (che anzi andava riliquidato in aumento in accoglimento dell’appello principale sul punto), atteso che, diversamente da quanto sostenuto dalla Compagnia Lavoratori Portuali, la legittimazione a domandare il risarcimento di questa tipologia di danno era stata debitamente provata dagli attori (che avevano dimostrato il decesso del congiunto mediante deposito di certificato di morte e la loro qualità di eredi mediante deposito di un atto notorio) e non era stata tempestivamente contestata dalla convenuta;

– doveva invece accogliersi l’impugnazione principale avverso il capo della sentenza di primo grado che aveva dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento del danno iure proprio, atteso che, diversamente da quanto ritenuto dal tribunale, tale domanda non poteva reputarsi tardiva, avuto riguardo al disposto dell’art. 268 c.p.c., che ammette l’intervento volontario nel processo sino al momento di precisazione delle conclusioni.

Avverso la sentenza della Corte fiorentina propone ricorso per cassazione la Compagnia Lavoratori Portuali s.c.a.r.l., sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso la Smepp s.p.a.. Resistono altresì con controricorso Sa.Pi., S.F. e S.M., i quali hanno anche depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo (“Art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Falsa applicazione delle norme di diritto – art. 2697 c.c. – Onere della prova dello status di erede – Rilevabilità d’ufficio – Limiti applicabilità principio di non contestazione – Inapplicabilità art. 115 c.p.c. novellato nel 2009 – Limite produzione documentale ex art. 184 c.p.c. vigente anteriormente al 2005 – Illogicità e contraddittorietà della motivazione – Sussistenza”) concerne il rapporto processuale tra la Compagnia Lavoratori Portuali s.c.a.r.l., da un lato, e Sa.Pi., S.F. e S.M. dall’altro.

La Compagnia censura la sentenza impugnata nella parte in cui, riconoscendo il diritto di Sa.Pi., S.F. e S.M. al risarcimento del danno iure hereditatis (danno addirittura riliquidato in aumento in accoglimento dell’appello principale sul punto) ha ritenuto assolto l’onere della prova dello status di erede.

Deduce che, al contrario, questo onere non sarebbe stato debitamente assolto in quanto nessuna efficacia probatoria della relazione parentale (presupposto per la delazione legittima) avrebbe potuto attribuirsi all’atto di notorietà, peraltro depositato tardivamente dopo che erano maturate le preclusioni istruttorie, e senza che potesse attribuirsi alcun rilievo, in senso contrario, al proprio contegno di mancata tempestiva contestazione, sussistendo un simile onere soltanto in relazione ai fatti noti non anche in relazione ai fatti ignoti.

Sostiene che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe, sul punto, contraddittoria, giacchè essa, pur ammettendo (mediante puntuale richiamo della giurisprudenza di legittimità) che la mancata prova della qualità di erede è rilevabile d’ufficio, avrebbe nondimeno fatto indebita applicazione del principio di non contestazione.

1.1. Il motivo è in parte inammissibile in parte infondato.

E’ inammissibile nella parte in cui deduce vizi di motivazione, omettendo di considerare che, ai sensi della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – applicabile alle sentenze pubblicate dopo il giorno 11 settembre 2012 e dunque anche alla pronuncia impugnata con il ricorso in esame, depositata il giorno 30 aprile 2014 – il controllo sulla motivazione plò investire soltanto l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, la quale sussiste nelle sole ipotesi di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, sicchè il sindacato sulla motivazione è possibile solo con riferimento al parametro dell’esistenza e della coerenza, non anche con riferimento al parametro della sufficienza (Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 08053 e 08054; v. anche Cass. 08/10/2014, n. 21257).

1.2. Il motivo è, invece, infondato nella parte in cui deduce la violazione delle regole in materia di onere della prova e di non contestazione in quanto la statuizione della Corte territoriale – che ha ritenuto provata la legittimazione degli attori a domandare il risarcimento del danno iure hereditatis all’esito del deposito dell’atto di notorietà e della mancata tempestiva contestazione della loro qualità di eredi da parte della convenuta – appare pienamente conforme a diritto.

Questa Corte ha infatti chiarito (Cass. 21/07/2016, n. 15031) che il mancato adempimento dell’onere di provare la qualità di erede da parte di colui il quale si costituisce in giudizio come successore a titolo universale di una delle parti, qualora nessuna contestazione sul punto sia stata svolta dalla controparte nelle udienze successive alla costituzione, e neppure in sede di precisazione delle conclusioni, non può essere fatto valere per la prima volta solo nella comparsa conclusionale (come è accaduto nella fattispecie in esame) o nei successivi gradi del giudizio.

Con riguardo all’atto notorio, deve inoltre ribadirsi che esso, pur non dando luogo ad una presunzione legale circa la spettanza della indicata qualità di erede, integra pur sempre una prova indiziaria, suscettibile di essere avvalorata da altri elementi di giudizio (Cass. 29/12/2011, n. 29830), i quali si riscontrano, nella fattispecie in esame, proprio nel prolungato contegno processuale della Compagnia Lavoratori Portuali, che solo nella comparsa conclusionale aveva contestato la sussistenza della legittimazione affermata dagli attori con la memoria del 29 novembre 2001.

Si aggiunga, infine, con riferimento alla dedotta violazione delle regole in materia di preclusioni istruttorie – peraltro fermamente contestata in controricorso – che dall’esame diretto degli atti del giudizio di merito (consentito al giudice legittimità ove sia denunciato un error in procedendo) risulta che l’atto notorio, risalente al 31 ottobre 2000, era già indicato tra i documenti prodotti in calce alla memoria del 29 novembre 2001, depositata all’udienza del 17 gennaio 2002, fissata per le deduzioni istruttorie ai sensi dell’art. 184 c.p.c. applicabile ratione temporis, e dunque in un momento antecedente alla maturazione delle predette preclusioni.

Il primo motivo di ricorso va pertanto rigettato.

2. Anche il secondo motivo (“Art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – Falsa applicazione delle norme di diritto – Inapplicabilità art. 268 c.p.c. – Divieto di mutatio libelli ex art. 183 c.p.c., comma 5 ante 2005 – Sussistenza”) concerne il rapporto processuale tra la Compagnia Lavoratori Portuali s.c.a.r.l., da un lato, e Sa.Pi., S.F. e S.M. dall’altro.

La ricorrente si duole che la Corte territoriale, in accoglimento dell’appello principale proposto sul punto da Sa.Pi., S.F. e S.M., abbia loro riconosciuto anche il diritto al risarcimento del danno iure proprio, richiesto con la comparsa di intervento adesivo autonomo del 26 febbraio 2003.

Deduce che il predetto intervento avrebbe dovuto essere ritenuto inammissibile in quanto con la precedente comparsa del 29 novembre 2001 gli appellanti principali, proseguendo il processo in qualità di successori universali del defunto S.R., avevano acquisito nello stesso la qualità di parti perdendo così la possibilità conformemente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado – di modificare il thema decidendum successivamente alla chiusura della prima udienza di trattazione e dopo la sua eventuale appendice scritta ai sensi della vigente formulazione dell’art. 183 c.p.c., comma 5.

La Corte di merito avrebbe pertanto errato nel ritenere la fattispecie regolata dal disposto dell’art. 268 c.p.c. (che ammette l’intervento volontario del terzo nel processo civile sino al momento della precisazione delle conclusioni, salve le preclusioni istruttorie) in quanto l’applicabilità di questa disposizione presupporrebbe la terzietà – nella specie insussistente – dell’interventore rispetto alle parti già presenti nel processo medesimo.

2.1. Il motivo è fondato.

La formulazione del giudizio di ammissibilità in ordine alla domanda di risarcimento del danno iure proprio proposta da Sa.Pi., S.F. e S.M. con la comparsa di “intervento adesivo autonomo” del 26 febbraio 2003, dopo che gli stessi si erano costituiti in giudizio quali successori universali di S.R. con comparsa del 29 novembre 2001, presupponeva la soluzione di due diverse questioni: la prima attinente alla legittimazione ad intervenire nel processo da parte del soggetto che ha già proseguito (o nei cui confronti è stato proseguito) il processo medesimo in qualità di successore universale della parte venuta meno per morte o per altra causa; la seconda attinente all’individuazione del momento in cui maturano le preclusioni in ordine all’attività assertiva del terzo interveniente volontario.

La prima questione costituiva un prius logico rispetto alla seconda in quanto l’accertamento della legittimazione ad intervenire deve precedere quello della tempestività dell’intervento effettivamente spiegato.

2.2. La Corte di appello ha omesso di considerare la prima questione e ha affrontato soltanto la seconda risolvendola conformemente al consolidato orientamento di questa Corte sul punto (Cass. 11/07/2011, n. 15208; Cass. 26/05/2014, n. 11681; Cass. 22/12/2015, n. 25798) – nel senso che deve ritenersi ammissibile la formulazione da parte del terzo interveniente, sino al momento della precisazione delle conclusioni, di domande nuove ed autonome rispetto a quelle giàproposte dalle parti originarie, trattandosi di attività coessenziale all’intervento stesso (art. 268 c.p.c., comma 1), mentre la preclusione di compiere atti che al momento dell’intervento non sono pù consentiti ad alcuna altra parte (art. 268 c.p.c., comma 2), deve reputarsi limitata alle richieste istruttorie.

In tal modo la Corte di merito ha ritenuto tempestivo l’intervento adesivo autonomo spiegato durante la fase istruttoria del giudizio di primo grado da Sa.Pi., S.F. e S.M. (ed ha conseguentemente ritenuto ammissibile la domanda di risarcimento del danno iure proprio da loro proposta), senza preventivamente prendere in considerazione il problema se tali soggetti fossero dotati della legittimazione ad intervenire o se tale legittimazione dovesse ritenersi esclusa dalla circostanza che essi erano precedentemente entrati nel processo medesimo in qualità di successori universali della parte venuta meno.

2.3. Al riguardo deve osservarsi che, ai sensi dell’art. 105 c.p.c., l’intervento volontario è consentito nel processo che si sta svolgendo “tra altre persone” per far valere in confronto di tutte le parti (intervento principale) o di alcune di esse (intervento adesivo autonomo o litisconsortile) un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo oppure per sostenere le ragioni di alcuna delle parti in presenza di un proprio interesse (intervento adesivo dipendente).

Analogamente, nel giudizio di appello, ai sensi del combinato disposto degli artt. 344 e 404 c.p.c., l’intervento è consentito solo quando la sentenza di primo grado sia stata pronunciata “tra altre persone”.

La legittimazione ad intervenire presuppone dunque la terzietà dell’interveniente rispetto alle parti già presenti nel processo e il potere di intervenire si consuma proprio con l’acquisizione (successiva) della qualità di parte in seguito all’atto di intervento.

La predetta legittimazione non può dunque riconoscersi alle persone già presenti nel processo per avere precedentemente acquistato la qualità di parte, sia che si tratti di parti in senso sostanziale (cfr., ad es., Cass. 27/01/1997, n. 826, che ha escluso la legittimazione ad intervenire dei singoli condomini, in quanto parti sostanziali originarie, nel processo iniziato dall’amministratore di condominio a tutela di un diritto comune) sia che si tratti di parti in senso formale (cfr., ad es., Cass. 20/03/1998, n. 2993, che ha escluso la legittimazione all’intervento, in proprio, nel giudizio di appello di colui che aveva agito in primo grado quale rappresentante di una delle parti).

2.4. Con specifico riferimento alla fattispecie della successione nel processo, disciplinata nell’art. 110 c.p.c., deve rammentarsi che essa postula, sul piano sostanziale, in caso di morte della parte (se si tratti di persona fisica) o della sua estinzione (se si tratti di persona giuridica), il subingresso di un terzo nella totalità dei rapporti giuridici che ad essa facevano capo.

Per effetto della successione a titolo universale (in universum ius) nei diritti e nelle altre situazioni giuridiche soggettive sostanziali, attive e passive (ad eccezione di quelle intrasmissibili), della persona fisica defunta o della persona giuridica estinta, il terzo (erede, socio) subentra anche nella posizione processuale della stessa.

Il subentro nella posizione processuale del soggetto venuto meno è un effetto della successione sostanziale nei rapporti giuridici ad esso spettanti. Ne consegue che, per un verso, il successore universale resta privo di legitimatio ad processum in relazione ai giudizi in cui siano state dedotte situazioni soggettive sostanziali intrammissibili (cfr., ad es., Cass. 15/06/2003, n. 10065, con riguardo all’ipotesi di morte di uno dei coniugi in pendenza del processo di divorzio); per altro verso, il successore medesimo acquisisce la qualità di parte in senso sostanziale nel processo, che viene da lui continuato o è proseguito nei suoi confronti (art. 110 c.p.c.).

Alla luce di tali considerazioni, deve ritenersi che il successore universale, abbia, nel processo, esattamente gli stessi poteri ed oneri che aveva il suo dante causa e soggiaccia alle medesime preclusioni assertive ed istruttorie: egli dunque non può proporre domande nuove nè può formulare nuove istanze istruttorie se tali facoltà erano già precluse al proprio dante causa.

Inoltre, non essendo terzo rispetto al processo (in relazione al quale ha invece assunto la qualità di parte sostanziale in posizione identica a quella già propria della parte venuta meno), il successore universale non ha la legittimazione a spiegare in esso intervento volontario, ai sensi dell’art. 105 c.p.c., al fine di far valere eventuali diritti, connessi per l’oggetto o per il titolo con quello controverso, di cui egli fosse titolare prima ed indipendentemente dalla successione.

2.5. Nel caso di specie, gli eredi di S.R., costituitisi in prosecuzione con comparsa del 29 novembre 2001, in seguito al decesso del loro dante causa erano subentrati, in qualità di successori universali, nella medesima posizione processuale dell’originario attore.

Di conseguenza, come correttamente ritenuto dal giudice di primo grado, per un verso era loro preclusa la possibilità di ampliare il thema decidendum rispetto alla domanda formulata dal loro dante causa, atteso che la comparsa per la prosecuzione datata 29 novembre 2001, era stata depositata all’udienza del 17 gennaio 2002, dopo la chiusura della fase di trattazione, comprensiva dell’appendice scritta ai sensi della vigente formulazione dell’art. 183 c.p.c., comma 5; per altro verso, neppure era loro consentito spiegare intervento volontario nell’ambito di un processo nel quale avevano già assunto la qualità di parte, al fine di far valere diritti diversi da quelli acquisiti in base alla successione, ancorchè con questi connessi.

La comparsa di “intervento adesivo autonomo”, datata 26 febbraio 2003 e depositata all’udienza istruttoria del 13 marzo 2003, doveva dunque essere dichiarata inammissibile, non potendosi consentire alla parte di un processo di eludere le preclusioni assertive già maturate in suo danno, assumendo indebitamente la posizione di terzo interveniente per fruire del diverso e più favorevole regime di preclusioni previsto per l’intervento.

La Corte di appello ha pertanto errato nel ritenere ammissibile la domanda di risarcimento del danno iure proprio proposta dagli eredi di S.R., con conseguente necessità di cassare la sentenza impugnata nella parte in cui ha pronunciato – accogliendola – su tale domanda.

La cassazione deve avvenire senza rinvio, in quanto si riferisce ad una domanda che non poteva essere proposta (art. 384 c.p.c., comma 3), mentre restano ferme le ulteriori statuizioni della sentenza impugnata.

3. Il terzo motivo (“Art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Falsa applicazione delle norme di diritto – art. 2050 c.c.. Insufficiente ed erronea motivazione su un fatto controverso ed essenziale – Potere di controllo – Titolarità formale e sostanziale del rapporto – Sussistenza”) riguarda il rapporto processuale tra la Compagnia Lavoratori Portuali s.c.a.r.l. e la Smepp s.p.a..

La ricorrente si duole che la Corte di Appello abbia respinto la sua impugnazione incidentale omettendo di riconoscere la responsabilità della Smepp s.p.a. nella causazione dell’incidente in seguito al quale era deceduto S.R..

Deduce che il servizio di trasporto e posizionamento dell’ancora commemorativa era stato assunto dalla Smepp s.p.a. nell’ambito di un appalto gratuito concluso con S.R.. Rammenta che, ai sensi della L. 28 gennaio 1984, n. 94, le Compagnie Portuali, anche se costituite in cooperative, erano enti di diritto speciale con la funzione di amministrare e avviare al lavoro le maestranze portuali. Evidenzia che, nella specifica fattispecie, essa si era limitata a fornire alla Smepp s.p.a. la manodopera e il mezzo meccanico necessari per l’espletamento del servizio, senza assumere alcun potere di controllo o di ingerenza nell’esecuzione dello stesso.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Esso infatti non solo ripropone, indebitamente, la censura di insufficiente ed erronea motivazione (non più ammissibile, come si è già evidenziato, alla luce della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5), ma, anche nella parte in cui deduce formalmente violazione di legge, propone nella sostanza un’inammissibile rivalutazione delle circostanze di fatto al fine di suscitare dalla Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello formulato dalla Corte territoriale, la quale, alla luce del motivato apprezzamento delle risultanze istruttorie, ha ritenuto che dovesse escludersi ogni possibile addebito di responsabilità alla Smepp s.p.a. (sul rilievo che essa si era occupata unicamente della fase del trasporto dell’ancora, durante la quale nessun danno era stato prodotto) e che dovesse invece essere chiamata a rispondere unicamente la Compagnia Lavoratori Portuali, la quale si era in concreto occupata delle operazioni di scarico e posizionamento del monumento – durante le quali si era verificato l’evento dannoso – utilizzando un carrello elevatore di sua proprietà ed avvalendosi di un suo incaricato.

L’insindacabilità dell’accertamento compiuto dal giudice del merito – cui compete in via esclusiva non solo la valutazione delle risultanze probatorie, ma anche la scelta di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499) – induce a dichiarare inammissibile il motivo di ricorso per cassazione in esame.

4. Ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 2, deve provvedersi sulle spese dei gradi di merito in relazione al rapporto processuale intercorso tra la Compagnia Lavoratori Portuali s.c.a.r.l. e gli eredi di S.R..

In proposito, le spese del primo grado vanno poste a carico della ricorrente in considerazione della sua prevalente soccombenza e vanno liquidate nella misura già determinata dal tribunale.

Le spese del giudizio di appello e quelle del presente giudizio di legittimità vanno interamente compensate tra le parti in ragione della soccombenza reciproca.

5. Restano invece ferme le statuizioni sulle spese dei precedenti gradi di giudizio in relazione al rapporto processuale intercorso tra la Smepp s.p.a. e la Compagnia Lavoratori Portuali s.c.a.r.l..

Con riguardo al giudizio di legittimità, quest’ultima, in quanto soccombente, deve essere condannata a rimborsare alla prima le relative spese (art. 385 c.p.c., comma 1), nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo e accoglie il secondo; in relazione al motivo accolto cassa senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna della Compagnia Lavoratori Portuali s.c.a.r.l. al pagamento delle somme a titolo di risarcimento del danno iure proprio in favore di Sa.Pi., S.F. e S.M..

Condanna la Compagnia Lavoratori Portuali s.c.a.r.l. al pagamento, in favore di Sa.Pi., S.F. e S.M. delle spese del relativo rapporto processuale concernenti il primo grado di giudizio, liquidate nella misura già determinata dal tribunale; compensa integralmente tra le medesime parti le spese del giudizio di appello e del presente giudizio di legittimità.

Condanna la Compagnia Lavoratori Portuali s.c.a.r.l. al pagamento, in favore della Smepp s.p.a., delle spese del relativo rapporto processuale concernenti il presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 6 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2017

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