Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16662 del 11/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 11/06/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 11/06/2021), n.16662

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4785-2014 proposto da:

EUSEBIO ENERGIA SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

VENTIQUATTRO MAGGIO 43, presso lo studio dell’avvocato CORRADO

GRANDE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO

GUIDO ANTONINI;

– ricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 78/2013 della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA,

depositata il 04/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/01/2021 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

Eusebio Energia S.p.A. impugnava l’avviso di rettifica e liquidazione ai fini dell’imposta di registro n. (OMISSIS) notificato dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Gallerate con cui veniva rettificato il valore dichiarato nel contratto stipulato in data 10 dicembre 2008, a rogito Notaio G.A., e registrato presso l’Ufficio di Gallerate il 15 dicembre 2008 al n. 8409, serie T, concluso con la società Elettrica S.r.l. Il contratto aveva ad oggetto la cessione del ramo di azienda di Elettrica esercente l’attività di produzione, trasporto e distribuzione di energia idroelettrica attraverso le due centrali di “(OMISSIS)” e di “(OMISSIS)” site in provincia di Brescia e detenute da Elettrica attraverso due contratti di leasing, al prezzo di Euro 31.075.224,70. Secondo l’Ufficio nella determinazione del prezzo di cessione le parti non avevano attribuito alcun valore all’avviamento, pertanto si provvedeva a rideterminarlo ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52 nella misura di Euro 11.274.672,00 utilizzando i metodi statistici – matematici in genere applicati per la valutazione dell’avviamento commerciale, in particolare quelli basati su dati riscontrati nel triennio precedente la cessione di cui al D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2, comma 4. A seguito di tale rideterminazione, l’Ufficio accertava una maggiore imposta di registro di Euro 338.240,00 oltre interessi e sanzioni. La società lamentava invece di avere considerato nell’atto di compravendita l’avviamento avendo attribuito allo stesso il valore di Euro 26.310.000,00 rispetto al valore delle centrali idroelettriche, e contestava i due metodi di quantificazione dell’avviamento adottati dall’Ufficio nell’avviso impugnato. La Commissione Tributaria Provinciale di Varese, con sentenza n. 11/5/02, accoglieva il ricorso.

L’Ufficio proponeva appello, rilevando che il valore di avviamento non era stato conteggiato dalle parti contrattuali nel prezzo di cessione delle centrali idroelettriche, considerato che l’avviamento, costituendo un costo, non era stato indicato nel bilancio da parte dell’acquirente. La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 78/24/13, accoglieva l’appello sulla base del rilievo che le parti non avevano attribuito in contratto alcun valore di avviamento, e che l’Ufficio lo aveva quantificato correttamente. Eusebio Energia S.p.A. propone ricorso per cassazione, svolgendo due motivi, illustrati con memorie. L’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine della eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa, ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 43, comma 1, lett. a), art. 51, comma 4, e art. 52, comma 2 bis, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La società ricorrente lamenta che i giudici di appello sarebbero giunti ad affermare che l’Ufficio ha proceduto correttamente alla determinazione del valore dell’avviamento del ramo d’azienda ceduto, per il solo fatto che tale valore non è stato esplicitamente indicato nè nell’atto negoziale e nemmeno nel bilancio relativo all’annualità di cessione, così fissando la regola secondo la quale tutte le volte in cui il valore di avviamento non viene formalmente e specificamente contemplato in un contratto di cessione di azienda o nel bilancio dell’impresa acquirente, per ciò solo l’Ufficio sarebbe legittimato a presumere che tale valore non sia computato ai fini della determinazione dell’imposta di registro relativa al contratto di cessione, laddove nessuna norma stabilirebbe che l’avviamento debba necessariamente avere una ben determinata rappresentazione contabile. Non si comprenderebbe come, secondo la ricorrente, a fronte della riconosciuta inessenzialità dell’esplicitazione del valore di avviamento nel bilancio dell’acquirente, i giudici di appello avrebbero desunto apoditticamente che tutte le volte in cui l’avviamento non sia indicato si presume che non sia conteggiato. Tale presunzione di fatto introdurrebbe un onere per il registrante, ossia quello di evidenziare specificamente l’avviamento dell’azienda oggetto della cessione, pena l’esposizione a rettifica automatica, non prescritto da alcuna norma. La società, inoltre, rileva che l’Amministrazione finanziaria non avrebbe assolto all’onere motivazionale in ordine alla sussistenza dell’avviamento in modo rigoroso, non dando adeguatamente conto delle ragioni che l’avrebbero indotta a rettificare e, quindi, a quantificare il valore di avviamento, non essendo consentito ricorrere a formule astratte e generali o a meccanismi presuntivi.

2. Con il secondo motivo si denuncia omessa e comunque insufficiente motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dall’avvenuto computo dell’avviamento da parte dei contraenti nel valore del ramo d’azienda dichiarato ai fini della determinazione dell’imposta di registro, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo ante riforma di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito dalla L. n. 134 del 2012. I giudici di appello avrebbero utilizzato una motivazione del tutto apparente, omettendo l’esame in relazione all’unico fatto controverso e decisivo per il giudizio, ovvero l’accertamento del computo del valore dell’avviamento da parte dei registranti ai fini della determinazione dell’imposta di registro. La ricorrente rileva che, ai fini della decisione della controversia, fosse controverso e decisivo solo stabilire se il valore dell’avviamento fosse stato o meno computato dai registranti ai fini della determinazione della base imponibile soggetta all’imposta. Rispetto a tale fatto, i giudici di appello avrebbero semplicemente dato per presupposto che il valore di avviamento non fosse stato implicitamente computato dai contraenti nella determinazione del prezzo di cessione del ramo d’azienda, affermando che diversamente “trattandosi di un atto avente natura onerosa e non di liberalità, non vi sarebbe uno scarto di ben 11.274,672,00 dal calcolo percentuale riferito ai redditi prodotti nelle ultime tre annualità”. Il passaggio motivazionale sarebbe privo di consistenza sul piano logico – giuridico, in quanto invertirebbe i termini della questione controversa. I giudici del gravame, inoltre, avrebbero omesso di motivare in relazione all’infondatezza della ricostruzione del prezzo di cessione del ramo d’azienda fornita dai ricorrenti, i quali avrebbero documentato in entrambi i gradi di giudizio che un plusvalore, riconducibile all’avviamento, era stato inglobato nel prezzo di cessione alla “voce cessione diritti di subentro”.

3. I motivi di ricorso, in quanto inerenti alla medesima questione, vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione logica.

Le censure sono infondate per i principi di seguito enunciati.

3.1. L’avviamento viene definito come la capacità dell’azienda di conseguire redditi nel tempo, rappresentando la sua attitudine ad ottenere utili. Esso è costituito da un insieme tipicamente indistinto di condizioni immateriali (l’immagine e il prestigio aziendale, la clientela, l’organizzazione, il management, la qualità dei prodotti, la rete commerciale ecc…) che esprimono, qualificandola, la capacità competitiva dell’impresa sul mercato. L’avviamento deriva o da fattori specifici che, pur concorrendo positivamente alla produzione del reddito ed essendosi formati nel tempo in modo oneroso, non hanno un valore autonomo, ovvero da sinergici incrementi di valore che il complesso dei beni aziendali acquisisce rispetto alla somma dei valori dei singoli beni, in virtù dell’organizzazione degli stessi in un sistema efficiente ed idoneo a produrre utili.

La dottrina ha anche definito l’avviamento come un elemento complementare del complesso economico aziendale, ossia la condizione o l’insieme delle condizioni che consentono di ritenere un’azienda idonea a fruttare nel futuro un sopraprofitto.

La nozione giuridica dell’avviamento è strettamente legata a quella di azienda ex art. 2555 ss. c.c., anche se nelle norme che definiscono l’azienda non si trova alcun espresso riferimento all’avviamento. Il coordinamento funzionale dei beni aziendali (mobili, immobili, fungibili e infungibili, materiali e immateriali), definibile ai sensi dell’art. 2555 c.c. come complesso di beni organizzati, auspicabilmente determina un aumento di valore degli stessi beni considerati unitariamente rispetto all’utilità che tali beni avrebbero se fossero considerati singolarmente.

In sostanza, l’impiego organizzato dei beni determina che il valore di utilizzo degli stessi superi il valore di scambio, espresso dal prezzo di compravendita.

3.2. Non è contestato che il valore di avviamento non sia stato indicato nel bilancio della società acquirente, nè risulta essere stato espressamente precisato come voce autonoma nel prezzo di compravendita.

La società ricorrente deduce però di avere evidenziato nel corso del giudizio che il valore di avviamento era stato inglobato nel prezzo di cessione in quanto se non fosse stato riconosciuto da parte dell’acquirente alla parte venditrice plusvalore alcuno la voce cessione “diritti di subentro” sarebbe stata valutata Euro 15.225.224,70 (Euro 56.550.000,00 valore dei beni, Euro 40.514.485,59 debiti residui in conto capitale, Euro 810.289,71 penale per riscatto anticipato). La contribuente precisa che la voce “diritti di subentro” invece è stata dichiarata in atto in Euro 41.535.224, 70, e quindi è stato attribuito alla stessa un plusvalore di Euro 26.310.000,00 che rappresenterebbe l’avviamento riconosciuto dall’acquirente al venditore. Inoltre, ha eccepito che il valore di avviamento è stato determinato con riferimento all’intera azienda e non al solo ramo oggetto del contratto di compravendita.

La tesi non può essere condivisa.

Va premesso che il contratto ha avuto ad oggetto la cessione ad Eusebio Energia del ramo d’azienda di Elettrica, esercente l’attività di produzione, trasporto e distribuzione di energia idroelettrica attraverso le due centrali di “(OMISSIS)” e di “(OMISSIS)” detenute da Elettrica attraverso due contratti di leasing.

Secondo il principio contabile nazionale OIC 24 (nella fattispecie non essendo applicabile “ratione temporis” il nuovo testo del n. 6 dell’art. 2436 c.c. in tema di iscrizione in bilancio e di ammortamento dell’avviamento, applicabile a partire dai bilanci dell’anno solare 2016), esistono due differenti tipi di avviamento. L’avviamento originario, che è il frutto di una gestione aziendale efficiente nella organizzazione tanto del complesso dei beni aziendali, materiali ed immateriali, il quale non può essere capitalizzato. Contabilmente, l’avviamento di un’azienda che nella sua evoluzione non è stata mai acquistata e non ha eseguito delle operazioni societarie straordinarie, quali una fusione o una cessione, non avrà nel suo bilancio evidenziato il valore di avviamento. L’avviamento originario non è altro che quello intrinseco di ogni impresa, cioè quello che sorge da una gestione aziendale efficiente e dall’organizzazione di tutti i beni aziendali oltre alle risorse umane. Oltre all’avviamento originario vi è l’avviamento derivato, ovvero acquisito a titolo oneroso, il quale va capitalizzato e deriva da una acquisizione di un’azienda, acquisto o permuta, o di una partecipazione oppure da un’operazione di conferimento di azienda, di fusione o di una scissione. In sintesi, l’avviamento originario è una componente di ogni azienda ed impresa, anche se non visibile contabilmente, mentre solo quando questa è acquisita si potrà quantificare, anche contabilmente, il valore dell’avviamento originario che per l’acquirente è avviamento derivato, che avendo un valore ben definibile, va iscritto in bilancio. Per iscrivere l’avviamento in contabilità, esso deve rispettare specifiche caratteristiche: a) l’avviamento deve avere un valore quantificabile, incluso nel corrispettivo pagato per l’acquisizione di un’azienda o di un ramo d’azienda; b) l’avviamento deve essere costituito da oneri e costi a utilità differita nel tempo, cioè garantire dei benefici economici futuri; c) l’avviamento non deve avere vita indipendente dal complesso aziendale, e non può essere considerato un bene immateriale a sè stante, oggetto di diritti e rapporti autonomi.

Secondo i principi OIC 24 solo l’avviamento oneroso ha un valore quantificabile, in quanto è incluso nel corrispettivo pagato per l’acquisizione di un’azienda o di un ramo d’azienda o di una partecipazione. Il valore di avviamento che la società acquirente è tenuta ad iscrivere nel bilancio di esercizio si determina per la differenza fra il prezzo complessivo sostenuto per l’acquisizione dell’azienda (o il valore di conferimento della medesima) e il valore corrente attribuito agli altri elementi patrimoniali attivi e passivi che la compongono.

Ne consegue che l’avviamento oneroso deve essere riportato nei bilanci della società acquirente.

Ai sensi dell’art. 2424 c.c., che disciplina il contenuto dello stato patrimoniale, l’avviamento va iscritto fra le immobilizzazioni immateriali, alla voce dell’attivo B.I.5..

L’art. 2426 c.c., n. 6, dispone che “l’avviamento può essere iscritto nell’attivo con il consenso, ove esistente, del collegio sindacale, se acquisito a titolo oneroso, nei limiti del costo per esso sostenuto e deve essere ammortizzato entro un periodo di cinque anni. E’ tuttavia consentito ammortizzare sistematicamente l’avviamento in un periodo limitato di durata superiore, purchè esso non superi la durata per l’utilizzazione di questo attivo e ne sia data adeguata motivazione nella nota integrativa”.

Dalla piana lettura della norma si desume che va iscritto in bilancio il solo avviamento acquisito a titolo oneroso, con la conseguenza che non è consentito contabilizzare l’avviamento implicito o autogenerato, rilevabile come valore solo nell’ambito di una valutazione negoziale dell’azienda cui si riferisce, per poi acquisire una legittima iscrivibilità in capo alla società acquirente, ovviamente solo nel caso in cui sia acquisito a titolo oneroso. La società acquirente non ha adempiuto all’onere contabile di iscrivere l’avviamento oneroso, in ragione della compravendita, fra le immobilizzazioni immateriali, alla voce dell’attivo B.I.5.. Ne consegue che non appare condivisibile la tesi sostenuta dalla ricorrente quanto alla asserita riconducibilità dell’avviamento alla voce “diritti di subentro”, oltre al fatto che tale voce, generalmente, si riferisce al trattamento contabile del corrispettivo per subentro nel contratto di leasing, che può costituire un costo sospeso ovvero onere da ripartire lungo la durata residua del contratto fino al riscatto. Ciò in ragione del fatto che le centrali oggetto di cessione erano detenute da Elettrica attraverso contratti di leasing.

3.3. Quanto alla valutazione del valore di avviamento, emerge dai fatti di causa (per essere stato specificato in ricorso dal contribuente a pag.8 e dal giudice di appello nella sentenza impugnata) che l’Ufficio ha utilizzato come fonte di raffronto il reddito e i ricavi riferiti al triennio precedente la cessione (anni 2006-2007-2008) dell’azienda cedente, e il metodo dei multipli di mercato applicato alla società acquirente Eusebio Energia S.p.A. nell’anno 2009, anno successivo all’acquisizione, secondo i principi espressi dal D.P.R. n. 460 del 1990, art. 2, comma 4.

Ai sensi del D.P.R. n. 460 del 1990, art. 2, comma 4, il valore di avviamento ai fini dell’imposta di registro nelle cessioni di azienda è determinato sulla base “degli elementi desunti dagli studi di settore o, in difetto, sulla base della percentuale di redditività applicata alla media dei ricavi accertati o, in mancanza, dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi d’imposta anteriori a quello in cui è intervenuto il trasferimento, moltiplicata per 3 (….)”.

L’indirizzo ampiamente condiviso da questa Corte ritiene che: “I criteri per la determinazione del valore di avviamento di un’azienda fissati dall’art. 2 del regolamento reso col D.P.R. n. 460 del 1996, per l’attuazione dell’accertamento con adesione di cui al D.L. n. 564 del 1994, conv. in L. n. 656 del 1994 hanno la funzione di fornire indicazioni minime cui l’Amministrazione finanziaria deve attenersi nella procedura transattiva che conduce ad un accertamento con adesione: se, infatti, è possibile che tale accertamento si realizzi per valori superiori a quelli indicati dall’art. 2 cit., è comunque ovvio che il contribuente vi aderisca quando esso si attesti su un importo inferiore a quello che potrebbe legittimamente emergere con autonomo accertamento ordinario e nel successivo contenzioso; pertanto, se ai detti criteri può attribuirsi un qualche rilievo indiziario, esso è nel senso che il valore effettivo non è inferiore a quello cui si perviene mediante la loro applicazione, con la conseguenza che l’Amministrazione non è tenuta a spiegare i motivi per cui ritiene incongrui nella specie i criteri in questione, ma deve solo fornire gli elementi indiziari sufficienti a giustificare il proprio assunto” (Cass. n. 12305 del 2020; Cass. n. 16705 del 2017).

Nella fattispecie, l’atto di cessione, inoltre, come anche accertato dal giudice del merito, non configura una semplice cessione di beni strumentali, ma si sostanzia in una cessione di ramo d’azienda, con la conseguenza che ai fini della valutazione dell’avviamento occorre tenere conto del valore corrente attribuito agli elementi patrimoniali attivi e passivi dell’azienda medesima. Il giudice del merito, con accertamento in fatto, ha precisato che sulla congruità della determinazione del valore di avviamento “non vi è stata contestazione da parte del contribuente”. Va, inoltre, precisato che questa Corte ha ripetutamente affermato che in presenza di metodi tecnici diversi, per determinare il valore di un’azienda, ivi compreso il valore di avviamento, il detto valore costituisce oggetto di giudizio di fatto rimesso al prudente apprezzamento del giudice del merito e immune da sindacato di legittimità se adeguatamente motivato (Cass. n. 9075 del 2015; Cass. n. 2204 del 2006; Cass. n. 2702 del 2002).

4. Da siffatti rilievi consegue che la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi espressi, nè può essere rilevato alcun vizio motivazionale nell’iter logico seguito dal giudice del merito, il quale, seppure sinteticamente, ha adeguatamente argomentato il percorso giuridico seguito per giungere al proprio convincimento.

In definitiva il ricorso va rigettato. Nulla va disposto per le spese di lite, in mancanza di attività difensiva della parte intimata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello pagato, a norma dell’art. 1, comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021

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