Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16662 del 09/08/2016


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Cassazione civile sez. III, 09/08/2016, (ud. 15/07/2016, dep. 09/08/2016), n.16662

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24394-2013 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio pro tempore (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso

dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: (OMISSIS));

– ricorrente –

nei confronti di:

B.T. (C.F.: (OMISSIS));

M.F.A. (C.F.: (OMISSIS));

M.M.C. (C.F. dichiarato: (OMISSIS)):

rappresentati e difesi, giusta procura in calce al controricorso,

dagli avvocati Francesco Ventura (C.F. dichiarato: FRN VTR 72B04

D0868) e Maria Rosaria Coschignano (C.F.: CSC MRS 68547 D086D);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza pronunziata dalla Corte di Appello

di Roma n. 4082/2012, depositata in data 10 settembre 2012;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

15 luglio 2016 dal Consigliere Dr. Augusto Tatangelo;

uditi:

l’Avvocato dello Stato Ettore Figliolia, per parte ricorrente;

l’avvocato Francesco Ventura, per i controricorrenti;

il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale

Dott. De Renzis Luisa, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.T., M.A.F. e M.M.C., medici Iscritti a corsi di specializzazione in anni accademici anteriori al 1991/1992, deducendo di non avere ricevuto la remunerazione prevista dalle Direttive CEE n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76, hanno agito in giudizio nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri per ottenere il risarcimento del danno derivante dalla mancata attuazione delle suddette direttive comunitarie.

La domanda è stata rigettata dal Tribunale di Roma, per intervenuta prescrizione.

La Corte di Appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, ha invece accolto parzialmente le domande proposte, condannando la Presidenza del Consiglio dei Ministri a pagare i seguenti importi (maggiorati degli interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo): Euro 40.000,00 in favore del B.; Euro 32.000 in favore di M.A.F.; Euro 24.000 in favore dei M.M.C..

Ricorre la Presidenza del Consiglio, sulla base di quattro motivi.

Resistono con controricorso B.T., M.A.F. e M.M.C..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2947 c.c., art. 20, paragrafi 1 e 2 e art. 288 comma 3 Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Con il secondo motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

I primi due motivi di ricorso, relativi alla durata ed alla decorrenza della eccepita prescrizione dei diritti fatti valere dagli attori, sono connessi e possono essere esaminati congiuntamente.

Essi sono infondati.

La corte di appello ha correttamente ritenuto che il termine di prescrizione dei diritti fatti valere dagli attori avesse durata decennale e decorresse dal 27 ottobre 1999, e cioè dalla data di entrata in vigore della L. 19 ottobre 1999, n. 370.

Ha in tal modo fatto applicazione dei principi di diritto ormai consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, secondo i quali:

a) “in caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici socializzandi), sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione “ex lege” dello Stato, di natura indennitaria; tale responsabilità – dovendosi considerare il comportamento omissivo dello Stato come antigiuridico anche sul piano dell’ordinamento interno e dovendosi ricondurre ogni obbligazione nell’ambito della ripartizione di cui all’art. 1173 c.c. – va inquadrata nella figura della responsabilità “contrattuale”, in quanto nascente non dal fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c. bensì dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, sicchè il diritto al risarcimento del relativo danno è soggetto all’ordinario termine decennale di prescrizione” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10813 del 17/05/2011, Rv. 617336; tra le molte successive conformi: Sez. 3, Sentenza n. 10814 del 17/05/2011, Rv. 617339; Sez. 3, Sentenza n. 17350 del 18/08/2011, Rv. 619123; Sez. 3, Sentenza n. 1917 del 09/02/2012, Rv. 621204; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 17066 del 10/07/2013, Rv. 628541; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 6606 del 20/03/2014, Rv. 630184);

b) “a seguito della tardiva ed incompleta trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari – realizzata solo con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 – è rimasta inalterata la situazione di inadempienza dello Stato italiano in riferimento ai soggetti che avevano maturato i necessari requisiti nel periodo che va dal 1 gennaio 1983 al termine dell’anno accademico 1990-1991; la lacuna è stata parzialmente colmata con la L. n. 370 del 1999, art. 11, che ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore dei beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo; ne consegue che tutti gli aventi diritto ad analoga prestazione, ma tuttavia esclusi dal citato art. 11, hanno avuto da quel momento la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento alla normativa europea; nei confronti di costoro, pertanto, la prescrizione decennale della pretesa risarcitoria comincia a decorrere dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore del menzionato art. 11” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10813 del 17/05/2011, Rv. 617338; tra le molte successive conformi: Sez. 3, Sentenza n. 10814 del 17/05/2011, Rv. 617341; Sez. 3, Sentenza n. 17350 del 18/08/2011, Rv. 619125; Sez. 3, Sentenza n. 17682 del 29/08/2011, Rv. 619542; Sez. 3, Sentenza n. 1917 del 09/02/2012, Rv. 621204, la quale precisa che “in riferimento a detta situazione, nessuna influenza può avere la sopravvenuta disposizione di cui alla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 4, comma 43, secondo cui la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da mancato recepimento di direttive comunitarie soggiace alla disciplina dell’art. 2947 c.c. e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato – trattandosi di norma che, in difetto di espressa previsione, non può che spiegare la sua efficacia rispetto a fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore, e cioè dal 1 gennaio 2012”; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 1156 del 17/01/2013, Rv. 625214: Sez. 3, Sentenza n. 16104 del 26/06/2013, Rv. 626903; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 17066 del 10/07/2013, Rv. 628541; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 6606 del 20/03/2014, Rv. 630184).

3. Con il terzo motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.p., n. 3”.

Il motivo è infondato.

La pronunzia impugnata fa corretta applicazione delle norme in tema di distribuzione dell’onere della prova e, in particolare, del principio affermato da questa Corte con riguardo alla materia in esame, per cui, al fine di ottenere il risarcimento per la mancata attuazione delle direttive comunitarie, il medico deve solo provare di avere frequentato un corso di specializzazione rientrante tra quelli ricompresi negli elenchi previsti dalle direttive comunitarie, nel periodo compreso tra il 1 gennaio 1983 e l’anno accademico 1991/1992 senza ricevere adeguata remunerazione, mentre spetta allo Stato convenuto di provare eventuali fatti Impeditivi del sorgere del diritto, sia con riguardo alle concrete modalità di svolgimento del corso, sia con riguardo al contemporaneo svolgimento di eventuali diverse attività remunerate (si vedano in proposito, tra le tante, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23577 del 11/11/2011, Rv. 620495: “la mancata trasposizione, nel termine prescritto, della direttiva 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive 75/362/CEE e 75/363/CEE, ha determinato in capo allo Stato – e in favore dei soggetti che abbiano seguito corsi di specializzazione medica dal 1 gennaio 1983 sino all’anno accademico 1990-1991 – una responsabilità per inadempimento di obbligazione “ex lege”, per non aver assicurato. in relazione alle specializzazioni contemplate negli elenchi degli artt. 5, n. 2, e art. 7, n. 2, della direttiva 75/362/CEE, le modalità di svolgimento di detti corsi secondo Quanto stabilito dall’art. 2, n. 1, art. 3 e relativo Allegato – ai punti 1 e 2, concernenti, rispettivamente, la formazione a tempo pieno e quella a tempo parziale – della direttiva 82/76/CEE, in condizioni tali che, se quest’ultima fosse stata tempestivamente e correttamente adempiuta, i frequentanti avrebbero acquisito il diritto all’adeguata remunerazione; ne consegue che lo specializzando che faccia valere la pretesa risarcitoria per siffatto inadempimento è tenuto a dimostrare, quale fatto costitutivo del danno evento costituito dalla perdita dell’adeguata remunerazione, solo la mera frequenza di un corso ricadente negli elenchi predetti potendo le concrete modalità di svolgimento del corso stesso venire in rilievo, al più, quali circostanze incidenti sulla quantificazione del pregiudizio, ove la scelta dell’una o dell’altra opzione – tempo pieno o parziale sia dipesa dalla scelta dello specializzando, ma non già ove il corso medesimo sia stato organizzato soltanto con modalità in fatto corrispondenti al tempo parziale, in ragione di quanto deciso dalla singola università in base alla legislazione statale irrispettosa della disciplina dettata dal diritto comunitario”; in senso conforme: Cass., Sez. 6 – 3, Sentenza n. 17068 del 10/07/2013, Rv. 627676; Sez. 3, Sentenza n. 1182 del 27/01/2012, Rv. 620494; Sez. 3, Sentenza n. 1917 del 09/02/2012; cfr. anche Sez. 3, Sentenza n. 23296 del 09/11/2011, non massimata, secondo la quale “lo specializzando non deve provare altro che la frequenza di una scuola di specializzazione, gravando sul debitore l’onere di provare eventuali fatti impeditivi del sorgere del diritto, tenuto anche conto che l’impossibilità di frequentazione di una scuola di specializzazione in conformità della direttiva era una delle conseguenze dell’inadempimento del legislatore italiano”; nel medesimo senso, non massimate sul punto, tra le tante: Sez. 3, Sentenza n. 21498 del 18/10/2011; Sez. 3, Sentenza n. 23275 del 09/11/2011; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 1064 del 20/01/2014).

4. Con il quarto motivo del ricorso si denunzia “violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 2043 e 2056 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 “.

Anche questo motivo è infondato.

La corte di merito ha correttamente liquidato il danno In favore degli attori sulla base del parametro costituito dall’importo riconosciuto dalla già richiamata L. n. 370 del 1999, art. 11 per i medici specializzandi in favore dei quali si era determinato il giudicato in conseguenza delle pronunzie del giudice amministrativo, facendo così applicazione del principio dl diritto ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “in tema di risarcimento dei danni per la mancata tempestiva trasposizione delle direttive comunitarie 75/362/CEE e 82/76/CEE in favore dei medici frequentanti le scuole di specializzazione in epoca anteriore all’anno 1991, deve ritenersi che il legislatore – dettando la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, con la quale ha proceduto ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo delle citate direttive – abbia palesato una precisa quantificazione dell’obbligo risarcitorio da parte dello Stato, valevole anche nei confronti di coloro i quali non erano ricompresi nel citato art. 11; a seguito di tale esatta determinazione monetaria, alla precedente obbligazione risarcitoria per mancata attuazione delle direttive si è sostituita un’obbligazione avente natura di debito di valuta, rispetto alla quale – secondo le artt. 1219 e 1224 c.c. – agli interessi legali possono essere riconosciuti solo dall’eventuale messa in mora o, in difetto, dalla notificazione della domanda giudiziale” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1917 del 09/02/2012, Rv. 621205; conformi, tra le tante: Sez. 3, Sentenza n. 17682 del 29/08/2011, Rv. 619541; Sez. 3, Sentenza n. 21498 del 18/10/2011, Rv. 620244; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 1157 del 17/01/2013, Rv. 625215; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 23635 del 06/11/2014, Rv. 633541; Sez. 1, Sentenza n. 2538 del 10/02/2015, Rv. 634216; Sez, 6 – 3, Ordinanza n. 14376 del 09/07/2015, Rv. 636004).

5. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte dell’amministrazione ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

Il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa, ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile, disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare – ai sensi delle norme appena richiamate – un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, non può infatti aver luogo nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (vedi, per tutte: Cass. 14 marzo 2014, n. 5955 e Cass. 5 novembre 2014 n. 23514).

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso;

condanna l’ente ricorrente a pagare le spese del presente giudizio In favore dei controricorrenti, in solido, liquidandole in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. D.P.R., art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2016

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