Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16662 del 06/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 06/07/2017, (ud. 06/06/2017, dep.06/07/2017),  n. 16662

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14942/2014 proposto da:

F.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GREGORIO VII 466,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE SALVATORE COSSA,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARISA MARMOTTINI giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MABO HOLDING SPA, SOC. MILANO ASSICURAZIONI SPA (ORA UNIPOL SPA);

– intimate –

avverso la sentenza n. 991/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 03/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/06/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

p.q.r. in particolare al 1^ motivo del ricorso;

udito l’Avvocato GIUSEPPE SALVATORE COSSA per delega non scritta.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. F.P. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Arezzo – sezione lavoro Mabo Prefabbricati s.p.a. chiedendo il risarcimento del danno, quantificato in Euro 155.781,81 oltre accessori, conseguente alla caduta da un carrello ove l’attore si trovava per espletare le proprie mansioni alle dipendenze della società convenuta. Si costituì la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda e chiamando in causa l’assicuratore.

2. Il Tribunale adito rigettò la domanda. In sede di appello venne dichiarata la nullità della sentenza di primo grado. Riassunto il giudizio, il ricorso venne nuovamente respinto dal Tribunale.

3. Avverso detta sentenza propose appello F.P.. Si costituì la parte appellata chiedendo il rigetto dell’appello.

4. Con sentenza di data 3 dicembre 2013 la Corte d’appello di Firenze rigettò l’appello. Premise il giudice di appello il principio di diritto secondo cui incombe al lavoratore che lamenti di avere subito a causa dell’attività lavorativa svolta un danno alla salute l’onere di provare il danno, la nocività dell’ambiente di lavoro ed il nesso tra l’uno e l’altro, dovendo il datore di lavoro solo all’esito di tale prova dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie. Osservò quindi la Corte che, avendo il F. allegato di svolgere mansioni di preparazione e pulizia dei ganci dei pannelli, tardiva era l’allegazione di aver svolto anche mansioni di addetto allo sgancio dei pannelli dall’argano, sicchè non poteva ritenersi provato che l’appellante fosse salito sul carrello in forza della prassi riferita dai testi secondo cui lo sgancio dei pannelli dall’argano veniva effettuato sopra il carrello. Aggiunse il giudice di appello che comunque non era stato confermato lo svolgimento di operazioni di sgancio, essendo stato l’appellante adibito solo a mansioni di pulizia, e che le parti da pulire del polistirolo si trovavano a circa mt. 1,60 di altezza, sicchè erano facilmente raggiungibili da terra. Osservò inoltre che costituiva mera ipotesi la circostanza che il F. potesse essere stato costretto a salire sul carrello per sganciare i c.d. cantonali, non potendosi quindi ritenere provata l’adibizione ad attività lavorativa da svolgersi su un piano rialzato e così in una situazione di pericolo, e che non era comunque ravvisabile l’ipotesi del posto di lavoro con piano rialzato superiore a mt. 1,50. Concluse il giudice di appello nel senso che in difetto di prova di una situazione di nocività della mansione era escluso l’onere probatorio a carico del datore di lavoro e che non era provato un nesso causale fra l’infortunio e un’eventuale carenza di formazione sui rischi lavorativi, con assorbimento del motivo di gravame avente ad oggetto l’esclusione dell’illecito da parte del pubblico ministero e degli ispettori della USL quale ritenuta conferma dell’insussistenza dell’obbligazione risarcitoria.

5. Ha proposto ricorso per cassazione F.P. sulla base di nove motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2087 e 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè motivazione insufficiente, illogica e contradditoria, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva il ricorrente che era stata provata la violazione delle norme antinfortunistiche ed il nesso fra il danno e la detta violazione (mansioni cui i lavoratori erano adibiti, assenza di dispositivi antiinfortunistici, omissione di idonea informazione sui rischi) e che il datore di lavoro non aveva assolto il proprio onere probatorio.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva il ricorrente che il giudice di merito aveva omesso di statuire in ordine alle richieste istruttorie, quali l’ordine di esibizione di documenti e la CTU.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva il ricorrente che viziato di ultrapetizione era il rilievo della tardività dell’allegazione circa le mansioni svolte, non essendo stata sollevata la relativa eccezione in senso stretto.

4. Con il quarto motivo si denuncia motivazione insufficiente, illogica e contradditoria, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva il ricorrente che era contrario alle risultanze processuali ritenere che il F. fosse stato adibito esclusivamente a mansioni di preparazione e pulizia, avendo dovuto svolgere anche le operazioni connesse, ivi compreso lo sgancio dei pannelli e dei cantonali dall’argano (che perciò non era stato meramente ipotizzato dal teste).

5. Con il quinto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e D.P.R. n. 547 del 1955, art. 11, comma 3, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva il ricorrente che il giudice di merito aveva pretermesso la circostanza della acclarata mancanza di spazio attorno alla pista del carrello e non aveva ricondotto la fattispecie alla norma antinfortunistica che impone la circolazione in modo sicuro sul posto di lavoro e sulle vie utilizzate dai lavoratori. Aggiunge che contraria alle risultanze probatorie era l’esclusione della prassi di salire sopra i pannelli per la mancanza di spazio attorno alla pista.

6. Con il sesto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e D.P.R. n. 547 del 1955, art. 27, comma 3, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè motivazione insufficiente, illogica e contradditoria, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva il ricorrente che il giudice di appello aveva omesso di ricondurre la fattispecie, nella quale il lavoratore operava su un piano sopraelevato superiore a mt. 1,60, nell’alveo dell’ipotesi normativa che esclude la necessità di protezioni solo per i piani di caricamento alti meno di mt. 1,50 e che con motivazione apodittica e contraddittoria aveva da un lato riconosciuto che il dipendente svolgeva le proprie mansioni ad un’altezza di circa mt. 1,60 e dall’altro aveva negato l’applicabilità della norma antiinfortunistica.

7. Con il settimo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 22, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè motivazione insufficiente, illogica e contradditoria, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva il ricorrente che era stato provato che il datore di lavoro non aveva mai fornito adeguata informazione sulle modalità delle mansioni, nè aveva mai vietato di salire sul carrello e fornito i lavoratori di scale e che l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro non viene meno neanche di fronte a prassi operative contra legem.

8. Con l’ottavo motivo si denuncia falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.. Osserva il ricorrente, in ordine alla dichiarazione di assorbimento di motivo di gravame, che erano stati dimostrati l’assenza di giudicato penale efficace nel giudizio civile ed i palesi errori di valutazione dei tecnici A.U.S.L..

9. Con il nono motivo si denuncia falsa applicazione degli artt. 112 e 436 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva il ricorrente che il giudice di appello ha omesso di pronunciare in ordine all’eccepita decadenza della controparte dalla proposizione dell’appello incidentale in ordine alla domanda di accertamento del concorso di colpa del lavoratore.

10. I motivi sono inammissibili, salvo il terzo che è infondato. Le denunce di vizio motivazionale sono formulate in base alla disposizione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non più vigente, non risultando denunciato l’omesso esame di fatto decisivo e controverso, ma un vizio interno al percorso motivazionale, peraltro in modo irrituale, quale cattiva valutazione delle risultanze processuali (fra le tante Cass. 30 marzo 2007, n. 7972).

10.1. Mirano ad una rivisitazione delle risultanze probatorie, che è indagine preclusa nella presente sede di legittimità, i seguenti motivi: il primo, il quarto, il quinto, il sesto (che peraltro non coglie la ratio decidendi, non avendo affermato il giudice di appello che le mansioni venivano svolte ad un’altezza di circa mt. 1,60, ma che le parti da pulire si trovavano a circa mt. 1,60 di altezza, sicchè erano facilmente raggiungibili da terra) e il settimo. In tali motivi si contesta la mancata individuazione, nella situazione di fatto in concreto accertata, della ricorrenza degli elementi costitutivi d’una determinata fattispecie normativamente regolata, che è censura inammissibile quale censura ai sensi dell’art. 360, n. 3, giacchè tale valutazione non comporta un giudizio di diritto ma un giudizio di fatto, da impugnarsi, se del caso, sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. 30 marzo 2005, n. 6653; 29 aprile 2002, n. 6224).

Il settimo motivo è poi privo di decisività in quanto non impugnata è la statuizione di assenza di un nesso causale fra l’infortunio e un’eventuale carenza di formazione sui rischi lavorativi.

10.2. In ordine al secondo motivo va rammentato che spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (Cass. 13 giugno 2014, n. 13485).

10.3. Con il terzo motivo si afferma che, mancando la relativa eccezione da intendere in senso stretto, non poteva essere rilevata la tardività dell’allegazione circa le mansioni svolte. Di contro va affermato che le norme che prevedono preclusioni assertive ed istruttorie nel processo civile sono preordinate a tutelare interessi generali, e la loro violazione è sempre rilevabile d’ufficio, anche in presenza di acquiescenza della parte legittimata a dolersene (Cass. 18 marzo 2008, n. 7270).

10.4. Con l’ottavo motivo viene impugnata irritualmente la valutazione di assorbimento. La censura non ha ad oggetto la statuizione di assorbimento sotto il profilo dei presupposti applicativi e della ricaduta sulla effettiva decisione della causa (cfr. Cass. 12 luglio 2016, n. 14190). Con il motivo di ricorso vengono solo richiamate le circostanze oggetto del gravame di appello dichiarato assorbito, ma resta non impugnata la valutazione di assorbimento.

10.5. L’ultimo motivo, infine, è da considerare assorbito.

Nulla per le spese in mancanza di partecipazione al giudizio della controparte.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2017

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