Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16660 del 06/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 06/07/2017, (ud. 06/06/2017, dep.06/07/2017),  n. 16660

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10818-2015 proposto da:

R.F., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

BERNARDINO PASANISI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

INTERMITE MUTATA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BOCCA DI

LEONE 78, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PESCE,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE SEMERARO giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 132/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 13/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/06/2017 dal Consigliere Dott. OLIVIERI STEFANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI CORRADO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato BERNARDINO PASANISI;

udito l’Avvocato GIUSEPPE SEMERARO;

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Lecce, con sentenza 13.2.2014 n. 132, decidendo sul giudizio riassunto da Mutata Intermite a seguito di cassazione con rinvio disposta con sentenza 8.3.2011 n. 5427 della Corte di cassazione, accertava il concorso causale della stessa Intermite e di R.F. nella produzione del danno lamentato dalla prima e consistito nel calo della produzione, nell’anno 1999, del fondo agricolo di proprietà e dalla stessa coltivato a vigneto, a causa dell’impiego del fitoregolatore “(OMISSIS)” consigliato dal R. interpellato in qualità di agronomo. La Corte d’appello, sulla base della consulenza tecnica svolta in primo grado e della nuova c.t.u. espletata in grado di appello, perveniva ad accertare che, al calo della produzione, aveva contribuito anche la errata tecnica agraria utilizzata dalla Intermite che, in zona rifornita da acqua irrigua caratterizzata da alto contenuto salino, aveva praticato la incisione anulare sulle piante – funzionale alla stimolazione della crescita – determinando in tal modo un maggior fabbisogno idrico, ed aveva provveduto in conseguenza ad incrementare la quantità di acqua destinata alla irrigazione del fondo determinando un eccesso di salinità che aveva contribuito a rendere improduttive le piante.

La Corte territoriale, sulla scorta dei chiarimenti fornito dal CTU che aveva imputato alla errata tecnica agronomica della proprietaria “una bassa percentuale di incidenza” che non aveva inteso graduare, pervenire a quantificare nella misura dell’80% la concorrente responsabilità dell’agronomo, in quanto la tecnica impiegata dalla Intermite non si diversificava da quelle riscontrate in altri terreni limitrofi a vocazione viticola e per i quali non si erano verificati i cali di produzione accertati sul fondo della danneggiata, sicchè doveva ritenersi che nella zona in questione, pur con tali criticabili tecniche, fosse stato raggiunto “un equilibrio dinamico precario” che garantiva comunque un accettabile livello di produttività delle colture vitivinicole, equilibrio che era stato compromesso in misura causale prevalente dall’impiego del prodotto fitoregolatore che, richiedendo un fabbisogno idrico ancora maggiore, avrebbe dovuto essere sconsigliato nel caso di specie.

La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione da R.F. con cinque motivi.

Resiste con controricorso la intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I primi cinque motivi di ricorsi tendono sotto diverse qualificazioni dei vizi di legittimità dedotti, a riproporre sempre la stessa questione che può così riassumersi:

La Corte di cassazione nella sentenza con la quale disponeva il rinvio: a) aveva cassato la sentenza impugnata rilevando che “Il giudice ammette che il comportamento della danneggiata (utilizzo di terreno salino, irrigazione con acqua salina, viti vecchie e deperite, ecc.) abbia operato come concausa inserita nella serie causale innescata dal R., ma non la valuta ai fini della possibile diminuzione del risarcimento”, concludendo per la violazione dell’applicazione della regola di causalità materiale ex art. 41 c.p.; b) aveva rinviato la causa alla Corte d’appello precisando che il giudice del rinvio “una volta accertato se i comportamenti della danneggiata abbiano operato come concause dell’evento dannoso, valuterà l’incidenza delle stesse concause sulla misura del risarcimento dovuto dal perito”.

Il R. costituendosi con comparsa nel giudizio di rinvio aveva dedotto che – secondo quanto era emerso nella c.t.u. svolta in primo grado dal Dott. G. – le condotte rilevanti attribuibili alla Intermite ai fini della verifica del concorso causale dovevano individuarsi: 1) nella eccessiva salinità del terreno e dell’acqua di irrigazione; 2) nella effettuazione della pratica della incisione anulare; 3) nella somministrazione da parte dell’Intermite di dosi eccessive del prodotto (OMISSIS) rispetto a quelle prescritte dall’agronomo; 4) della somministrazione di altri prodotti ad effetto dopante.

La Corte d’appello investita del giudizio di rinvio disponeva nuova c.t.u., e nel formulare i quesiti all’ausiliario, pur dando atto nelle premesse del provvedimento di conferimento dell’incarico dei rilievi formulati dal R. nella comparsa di costituzione e pur avendo precisato di doversi tener conto delle risultanze della c.t.u. svolta in primo grado e depositata dal dr. G. in data 2.2.2004, aveva circoscritto poi il campo di indagine ai soli “due seguenti fattori”: a) pregressa effettuazione sul vigneto in oggetto, meglio descritto nella relazione del dr. G., dell’incisione anulare che, con l’uso dei fitormoni regolatori, e degli altri prodotti menzionati, avrebbe avuto sulle piante un effetto dopante; b) utilizzazione di terreno salino e della irrigazione con acqua salina, su viti peraltro vecchie e deperite.

Il R. lamenta che la Corte territoriale avrebbe ingiustificatamente limitata la indagine demandata al CTU, nominato nel giudizio di rinvio, soltanto ai punti 1) e 2) indicati nella propria comparsa, e non anche alle altre condotte poste in essere dalla coltivatrice.

Tanto premesso, il primo motivo, in quanto volto a censurare la sentenza di appello, sotto il profilo sopra evidenziato, in relazione a 1 – vizio di nullità processuale per violazione dell’art. 112 c.p.c., 2 – vizio di violazione della efficacia oggettiva del giudicato ex art. 2909 c.c., nonchè 3 – errore di diritto per violazione dell’art. 1227 c.c., si palesa infondato.

Infondato, quanto alla violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo pronunciato la Corte d’appello su tutta la domanda, accertando la responsabilità concorrente del R. e della Intermite e determinando la entità dell’obbligo risarcitorio posta a carico del professionista.

Infondato quanto alla violazione del giudicato interno. Se, infatti, la eccezione di giudicato deve intendersi riferita all’accertamento dei “fatti estranei al comportamento dello stesso (ndr del R., e quindi dei fatti imputabili alla condotta della Intermite), costituiti dalla salinità del terreno e dell’acqua irrigua unitamente alla vetustà dell’impianto” compiuto nella sentenza della Corte d’appello 11.12.2007 n. 385, cassata dalla Suprema Corte nella parte in cui veniva fatta errata applicazione del principio di causalità materiale laddove il Giudice di merito non aveva indicato le ragioni della asserita totale inefficienza causale delle condotte imputabili alla Intermite (cfr. ricorso pag. 2), occorre considerare allora che il rinvio disposto da questa Corte ha natura esclusivamente prosecutoria (ossia natura di rinvio vero e proprio), essendo pertanto tenuto il Giudice d’appello in sede di rinvio, nel caso la Corte “abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo, trattandosi di preclusione processuale che opera su tutte le questioni costituenti il presupposto logico e inderogabile della pronuncia di cassazione, prospettate dalle parti o rilevate d’ufficio (vedi, per tutte: Cass. 5 aprile 2013, n. 8381); mentre, in caso di cassazione con rinvio per vizio di motivazione (da solo o cumulato con il vizio di violazione di legge)…”, essendo investito non soltanto del potere di “valutare liberamente i fatti già accertati, ma….anche (di) indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo, in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata…” (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 11844 del 09/06/2016, in motivazione, Paragr. 6.1). Nel caso di specie la Corte d’appello era dunque chiamata a verificare se le altre condotte materiali accertate, imputabili alla Intermite, fossero o meno eziologicamente ricollegabili all’evento dannoso (drastica riduzione delle rese produttive del fondo vitato).

Ebbene – anche a volere considerare recessivo -ai fini della individuazione dei limiti cui rimane soggetto il giudice del rinvio- l’accoglimento parziale del terzo motivo di ricorso per cassazione, concernente “vizio di motivazione”, rispetto all’accoglimento parziale del secondo motivo, relativo a “vizio di errore di diritto”: cfr. Corte Cass. n. 5427/2011 che cassa con rinvio – esaminata sotto il profilo indicato la censura si palesa infondata laddove, dagli stessi quesiti formulati dalla Corte d’appello all’ausiliario, condensati in due gruppi, emerge che, anche gli “altri fatti” (recte le altre condotte imputabili all’Intermite), di cui il ricorrente lamenta la pretermissione, erano stati puntualmente considerati dal Giudice di merito, atteso che, oltre allo specifico rinvio espressamente disposto – nella ordinanza di conferimento dell’incarico all’ausiliario – all’elaborato peritale di primo grado delle risultanze del quale il CTU Dott. M. doveva quindi tenere conto, veniva fatto espresso riferimento anche all’uso -da parte della Intermite – “degli altri prodotti menzionati” nella relazione depositata nel giudizio in primo grado dal dr. G., nonchè alla incidenza che l’irrigazione del fondo con acqua salina e la pratica della incisione anulare avevano avuto sul progressivo deperimento del terreno, inequivoco in tal senso essendo l’espresso richiamo al CTU a considerare le “vetuste condizioni del fondo”.

La formulazione dei quesiti posti al CTU dal Giudice del rinvio, diversamente da quanto lamentato con il motivo di ricorso in esame, non si discostava, dunque, da una esaustiva indicazione -desumibile dal secondo motivo di ricorso accolto dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 5427/2011 di cassazione con rinvio- degli altri fattori causali concorrenti individuati dal R. nelle “condizioni di salinità del terreno e dell’acqua di irrigazione”; nel “superamento delle dosi” del prodotto (OMISSIS) consigliate dall’agronomo; “nella pratica della incisione anulare dei ceppi” (cfr. secondo motivo di ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello del 2007, riprodotto nel ricorso alle pag. 3-7).

Tra l’altro, in ogni caso, la doglianza del ricorrente, neppure risulterebbe dirimente ove si consideri che l’uso sconsiderato da parte della Intermite di “altri” prodotti – oltre al (OMISSIS)- “quali: micro e macro elementi di fertilità; biostimolanti; correttori di pH; bagnanti; adesivanti, antimuffa, ecc., oltre a prodotti che velocizzano e migliorano l’assorbimento dell’acido giberellico (OMISSIS) ed altri ad azione antiparassitaria e trofica. Tutti certamente ad effetto dopante” (cfr. relazione c.t.u. dr. G.: riportata per estratto alla pag. 1617 del ricorso), risulta riconducibile non ad una iniziativa della coltivatrice ma allo stesso agronomo. Dalla medesima relazione peritale del Dott. G., nelle parti trascritte negli atti regolamentari, emerge, infatti, che “il trattamento con il (OMISSIS)” era stato accompagnato dalla “miscela ed irrorazione” degli altri prodotti indicati “così come peraltro consigliato dal tecnico” (ibidem, ricorso pag. 17).

Del pari priva di sostegno argomentativo è la critica alla sentenza di appello, mossa con il medesimo motivo di ricorso, fondata sulla violazione dell’art. 1227 c.c., comma 1.

La Corte d’appello ha fatto applicazione della norma indicata in rubrica avendo accertato il concorso causale della Intermite, consistito nell’impiego di tecniche agrarie inopportune rispetto alle caratteristiche del terreno. I Giudici di appello, motivando adesivamente alle risultanze della c.t.u. svolta in sede di rinvio, non hanno affatto ritenuto esente da errori -come erroneamente opinato dalla difesa del ricorrente – la pratica agraria seguita dalla proprietaria del vigneto (utilizzo di acqua salina per la irrigazione; incisione anulare dei ceppi), ma hanno invece accertato che l’utilizzo inopportuno del fitoregolatore prescritto dall’agronomo, agendo in sinergia con le pratiche descritte anch’esse inopportune: in quanto tendenti nel tempo ad esaurire le capacità fertili del terreno – aveva accelerato tale processo, realizzandosi una ipotesi di cause distinte e concomitanti da cui era derivato il calo di produzione verificatosi nel 1999.

Non deve ravvisarsi, pertanto, alcuna violazione dell’art. 1227 c.c., comma 1, venendo a collegarsi la critica in esame -come mero effetto conseguenziale – alla precedente censura di violazione del giudicato interno, che è stata disattesa dal Collegio. Diversa questione – estranea al presente giudizio in quanto non prospettata dal ricorrente- è quella concernente eventuali errori di fatto in cui sarebbe incorso nel CTU nell’espletamento dell’incarico peritale: errori che avrebbero richiesto, in tal caso, la deduzione di altro vizio di legittimità, nei limiti, peraltro, consentiti dalla nuova formulazione del testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, applicabile “ratione temporis”, con la specifica indicazione di fatti storici, principali o secondari, aventi carattere decisivo e che il Giudice del rinvio avrebbe, in ipotesi, del tutto omesso di considerare.

Infondati sono, altresì, i motivi secondo (violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. e dell’art. 1227 c.c.) e 3 (omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), con i quali vengono reiterate le stesse argomentazioni svolte a sostengo del primo motivo in ordine alla asserita – ma come visto infondata – trascurata indicazione nei quesiti formulati al CTU di ulteriori condotte concausali ascritte alla Intermite.

Quanto poi al terzo motivo, il ricorrente viene a richiedere alla Corte di fornire una diversa valutazione delle risultanze peritali sul presupposto dell’applicazione di calcoli tabellari che lo stesso CTU a fronte del costante riscontro di produttività -pur dimidiata- dei terreni vitati limitrofi al fondo della Intermite, ha convenuto nella affermazione, non smentita da altri fatti decisivi contrari allegati dal R. nel motivo di ricorso, che la pratica seguita dai coltivatori della zona -pur non conforme ai corretti principi di agronomia e che portava al progressivo deperimento della fertilità dei fondi- consentiva tuttavia di realizzare una produzione soddisfacente sul piano del rapporto costi/ricavi. Per il resto la critica rivolta alla determinazione del grado percentuale delle concause, attiene a valutazione di merito riservata al Giudice, ed è insindacabile in sede di legittimità, essendo stata supportata da idonea motivazione.

Infondato è anche il quarto motivo (violazione dell’art. 2055 c.c.).

Il ricorrente sostiene che in difetto di prova dell’esatta rilevanza di ciascuna concausa, le colpe dovevano presumersi eguali ai sensi dell’art. 2055 c.c., u.c..

La norma è invocata a sproposito in quanto il primo comma fonda il principio di responsabilità solidale, verso il terzo – danneggiato, dei soggetti che hanno contribuito con la loro condotta a produrre il danno. Mentre gli altri due commi attengono al riparto interno dell’onere economico derivante dalla obbligazione risarcitoria, ipotesi, per un verso, diversa da quella disciplinata dall’art. 1227 c.c., comma 1, diretta a definire l’ambito oggettivo del danno risarcibile; per altro verso, comunque inapplicabile alla fattispecie concreta, avendo il Giudice di appello accertato in concreto il grado del concorso causale da attribuire alla condotta del R. ex art. 41 c.p. e art. 1223 c.c. ed alle condotte della Intermite ex art. 1227 c.c., comma 1.

Il quinto motivo è inammissibile (violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c.; vizio di omessa valutazione di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Il ricorrente critica la sentenza di appello nella parte in cui ha motivato “per relationem” alla c.t.u. espletata dal dr. Mula in sede di rinvio, sostenendo che l’ausiliario avrebbe tratto le proprie conclusioni in base ad indizi costituiti da mere supposizioni.

La censura è inammissibile in quanto attraverso la critica dello schema legale della prova presuntiva il R. intende piuttosto censurare la valutazione di fatto che sta alla base del decisum, venendo a richiedere questa Corte di sostituirsi all’ausiliario per reinterpretare gli argomenti tecno – scientifici che avrebbero condotto a ritenere responsabile del danno, nella misura del 50%, l’eccesso di salinità del terreno. Il ricorrente non individua alcun “fatto” storico principale o secondario decisivo, tanto è che a sostegno della censura deduce la “omessa valutazione del risultato cui conducono le indagini scientifiche del CTU” e dunque un errore che impinge nell’apprezzamento tecnico dell’ausiliario in ordine ai risultati delle indagini svolte. In proposito vale rammentare che il vizio di “error facti” per il quale può essere richiesto il sindacato di legittimità è circoscritto esclusivamente, dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al solo “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” e dunque l’ammissibilità del motivo risulta condizionata 1- alla individuazione di un “fatto storico” -ossia un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, ritualmente accertato mediante verifica probatoria – che abbia costituito oggetto di discussione in contraddittorio tra le parti; 2 – alla incidenza di tale fatto su uno o più degli elementi costitutivi della fattispecie normativa disciplinatrice del diritto controverso, rivestendo quindi carattere di “decisività” ai fini della decisione di merito; 3- all’omesso esame” di tale fatto da parte del Giudice di merito, inteso come mancata rilevazione ed apprezzamento del dato probatorio tale da tradursi in una carenza argomentativa inficiante la relazione di dipendenza logica tra le premesse in fatto e la soluzione in diritto adottata dal Giudice, che deve essere evidenziata dallo stesso testo motivazionale, rendendo per conseguenza l’argomentazione priva del pur minimo significato giustificativo della decisione e dunque affetta da invalidità (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 de/ 07/04/2014; id. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 22/09/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016). Rimane dunque estranea al predetto vizio di legittimità qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il Giudice si è formato, ex art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio, valutando la maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, ed operando quindi il conseguente giudizio di prevalenza (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016 che, icasticamente, afferma come il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non essendo, pertanto, censurabili con il vizio in questione errori attinenti alla individuazione di “questioni” o le “argomentazioni” relative all’esercizio del potere discrezionale di apprezzamento delle prove (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 21152 del 08/10/2014), risultando in ogni caso precluso nel giudizio di cassazione l’accertamento dei fatti ovvero la loro valutazione a fini istruttori (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 21439 del 21/10/2015).

La circostanze di fatto, rilevate dal CTU dr. M., che il vigneto della Intermite, pur trattato per anni con acqua irrigua salina e con la tecnica della incisione anulare dei ceppi, aveva negli anni comunque realizzato risultati produttivi incompatibili con i dati quantitativi espressi dalla formula di “Maas ed Hoffman”, e che anche i terreni vitati limitrofi, trattati secondo le medesime modalità colturali, avevano garantito negli anni rese economicamente utili, costituiscono oggetto di accertamento di fatto, che resiste in quanto evidenza reale alla incompatibilità del mero risultato matematico desumibile dalla applicazione della predetta formula di Maas ed Hoffman, ponendo l’alternativa tra la insufficienza teorica della formula, e la incompletezza degli elementi contraddistintivi delle condizioni colturali inseriti tra le variabili consentite dalla formula. Al riguardo vale osservare che lo stesso CTU ha inteso superare l’impasse ricercando -nelle specifiche condizioni climatiche e pedologiche- gli elementi che possono avere inciso sulla anomala produttività di tali terreni, nonostante le altre sfavorevoli condizioni verificate, con argomentazione condivisa dalla Corte territoriale secondo cui il complesso di tali peculiari condizioni e delle tecniche agronomiche impiegate, aveva consentito di contenere gli effetti negativi dell’acqua salata al disotto della soglia che avrebbe altrimenti compromesso le colture realizzando nella zona “un contesto produttivo in equilibrio precario a carattere diffuso”.

La diversa conclusione cui perviene il R. si risolve in un mero giudizio valutativo delle stesse risultanze peritali, opposto a quello -pur logico-raggiunto dal Giudice di appello, e dunque è inidonea a scalfire -secondo i limiti propri del controllo di legittimità- la statuizione impugnata.

Il sesto motivo (violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) è inammissibile in quanto inconferente rispetto al “decisum”.

La Corte d’appello ha liquidato il “quantum” risarcibile confermando in ordine alla liquidazione degli interessi compensativi ed alla rivalutazione monetaria, quanto già statuito nella sentenza di prime cure.

Premesso che il Giudice territoriale non ha fatto alcuna applicazione di un ipotetico ed inesistente giudicato interno in punto di interessi e rivalutazione, ma per ragioni di economia lessicale ha ritenuto invece di fare riferimento al criterio di liquidazione delle predette voci risarcitorie indicato nella decisione di prime cure, osserva il Collegio che difetta del tutto il requisito di specificità della censura ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che ne preclude l’esame in sede di legittimità, non avendo neppure allegato il ricorrente in quale errore sia incorsa la Corte territoriale nell’applicare “per relationem” i criteri (“dies a quo” di decorrenza; tasso di interesse; tasso di svalutazione; base di calcolo) utilizzati dal primo giudice nella liquidazione di interessi e rivalutazione sulla sorte capitale riconosciuta a titolo di risarcimento danni (cfr. sentenza Tribunale n. 18057/2005, riprodotta in estratto a pag. 21 controricorso).

In conclusione il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del soccombente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

PQM

 

rigetta il ricorso principale.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2017

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