Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16659 del 11/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 11/06/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 11/06/2021), n.16659

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina M. – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCI Roperto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovan – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11444-2014 proposto da:

I.E., elettivamente domiciliato in TOLLO (CH), VIA CASALE

GERVASIO 94, presso lo studio dell’avvocato SABINA ZULLI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO NASCI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 389/2013 della COMM.TRIB.REG.ABRUZZO SEZ.DIST.

di PESCARA, depositata il 28/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/12/2020 dal Consigliere Dott. FANTICINI GIOVANNI;

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

– I.E. impugnava la cartella di pagamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis emessa dall’Agenzia delle Entrate per omesso versamento di IVA (anno 2006), sanzioni e interessi;

– la C.T.P. di Pescara respingeva il ricorso;

la C.T.R. Abruzzo, con la sentenza n. 389 del 28/10/2013, dichiarava inammissibile l’appello, perchè con l’impugnazione non erano stati indicati specifici motivi di censura della decisione di primo grado, avendo l’appellante ribadito integralmente le doglianze, già formulate innanzi alla C.T.P., relative alla cartella di pagamento;

– avverso tale decisione I. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi;

– l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;

– il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Col primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi sul gravame, pur avendo l’appellante impugnato la sintetica sentenza di prime cure dolendosi dell’erroneità della decisione e della mancata considerazione delle risultanze documentali.

La censura è infondata.

L’appello nel rito tributario è disciplinato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, il quale stabilisce che il ricorso deve contenere, tra l’altro, “i motivi specifici dell’impugnazione” e che il gravame “è inammissibile se manca o è assolutamente incerto uno degli elementi sopra indicati”.

La menzionata disposizione costituisce norma speciale rispetto all’art. 342 c.p.c. (così, tra le altre Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 608 del 15/1/2020) e, con riferimento alla specificità dei motivi di appello del contribuente, la sanzione di inammissibilità ivi prevista deve essere interpretata restrittivamente (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 27784 del 4/12/2020).

Nella giurisprudenza di legittimità si è più volte affermato, infatti, che “nel rito tributario la riproposizione delle ragioni di impugnazione del provvedimento impositivo in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, atteso il carattere devolutivo pieno, in tale giudizio, dell’appello, quale mezzo di gravame non limitato al controllo di vizi specifici, ma volto ad ottenere il riesame della causa nel merito” (Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 30525 del 23/11/2018, Rv. 651841-01, la quale ha annullato la pronuncia di inammissibilità dell’appello per mancanza di critica alla motivazione della decisione di primo grado, pur avendo il ricorrente riproposto i motivi d’opposizione all’atto impositivo evidenziando la correlazione degli stessi con la documentazione prodotta che ne specificava la valenza, con conseguente possibilità per il giudice del gravame di individuare con chiarezza il contenuto delle censure; analogamente, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 32954 del 20/12/2018, Rv. 652142-01).

Come si evince anche dalla specifica fattispecie decisa dall’ordinanza n. 30525 del 2018, non può, però, affermarsi che la mera riproposizione delle doglianze di primo grado sia ex se sufficiente a investire del gravame il giudice d’appello.

Infatti, come precisato da Cass., Sez. 5, Sentenza n. 26649 del 24/11/2020, “in coerenza con quanto statuito dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. U, 16 novembre 2017, n. 27199) con riguardo agli artt. 342 e 434 c.p.c., è necessario che l’impugnazione contenga una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata, in modo che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata siano contrapposte quelle dell’appellante finalizzate a criticare e confutare le ragioni del primo giudice”.

Coerentemente con la riconosciuta natura di impugnazione (pur se devolutiva), Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 27784 del 4/12/2020, ha statuito che non sempre la riproposizione in appello delle ragioni poste a fondamento dell’originario ricorso avverso il provvedimento impositivo assolve l’onere di specificità dei motivi D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 53, il quale deve reputarsi soddisfatto “quando il dissenso investe la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci”.

In conclusione, pur mantenendo la natura di revisio prioris instantiae diversa dall’impugnazione a critica vincolata (Cass., Sez. U, Sentenza n. 27199 del 16/11/2017, Rv. 645991-01), anche nel rito tributario l’atto di appello non può limitarsi a una mera riproposizione delle istanze avanzate in primo grado, ma, nel suo complesso, deve esporre una esplicita motivazione, in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, che investa la decisione nella sua interezza o, comunque, consenta di ricavare – anche per implicito, ma in termini inequivoci – le doglianze dell’appellante.

La C.T.R. Abruzzo ha ritenuto inammissibile l’impugnazione, perchè “nella fattispecie in esame la contribuente, dopo aver riportato i soli dati identificativi della decisione impugnata (numero, data) si è limitata a riprodurre, nella sua interezza e senza alcuna modifica, integrazione o precisazione, il contenuto del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado. Infatti, l’atto di appello non censura alcuna carenza o difetto della decisione impugnata ma ribadisce, pedissequamente, le doglianze avverso la cartella di pagamento emessa dall’Agenzia delle Entrate, già formulate davanti alla Commissione Provinciale.”.

Dall’esame diretto dell’atto d’appello, consentito in caso di denuncia di error in procedendo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, risulta confermato il giudizio espresso dalla C.T.R., posto che l’impugnazione non contiene censure della decisione di prime cure, ma si limita a reiterare tutte le doglianze già avanzate, senza che possano ricavarsi argomentazioni contrapposte a quelle del primo giudice di primo grado.

2. Resta assorbito il secondo motivo col quale si censura la motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) della C.T.R. per aver trascurato le circostanze addotte dall’appellante.

3. In definitiva, il ricorso di Elio I. va respinto.

Alla decisione fa seguito la condanna del ricorrente alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese di questo giudizio di cassazione, le quali sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo secondo i vigenti parametri.

4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese di questo giudizio, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021

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