Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16659 del 04/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/08/2020, (ud. 18/12/2019, dep. 04/08/2020), n.16659

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5457/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è

domiciliata, in Roma, in via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

B.G., rappresentato e difeso dall’avv. Massironi

Tiberio e dall’avvocato Parachini Lorenzo, domiciliato in Roma,

P.zza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– resistente –

avverso la sentenza n. 74/30/2012 della Commissione tributaria

regionale del Piemonte depositata il 6 luglio 2012 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 18 dicembre

2019 dal consigliere Andreina Giudicepietro.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

l’Agenzia delle entrate ricorre con quattro motivi per la cassazione della sentenza n. 74/30/2012 della Commissione tributaria regionale del Piemonte, depositata il 6 luglio 2012 e non notificata che, in controversia relativa all’impugnazione di un avviso di accertamento di una maggiore Irpef per l’anno 2004, conseguente all’accertamento di un maggior redito da partecipazione ed alla mancata giustificazione di movimenti bancari per 258.298,00 Euro, ha accolto l’appello del contribuente, riformando la sentenza di primo grado della Commissione tributaria provinciale di Verbania;

la C.t.r. ha ritenuto che a carico del contribuente, socio insieme con il fratello e la moglie di talune società a ristretta base azionaria, non vi fosse stato un effettivo accertamento di maggiori redditi di partecipazione, nè che tali maggiori redditi fossero riferibili alle società;

la C.t.r., in particolare, argomentava sia in ordine alla presunzione di distribuzione degli utili nelle società a ristretta base partecipativa, sia in ordine alla giustificazione dei movimenti bancari, essendo queste le circostanze poste alla base dell’atto impositivo impugnato e dei correlativi motivi di gravame;

inoltre, affermava che al caso di specie non fosse applicabile la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, perchè i destinatari di detto articolo sono solo gli imprenditori ed i lavoratori autonomi, secondo quanto anche confermato dalla Corte di Cassazione in via maggioritaria;

secondo la C.t.r., inoltre, non vi sarebbero stati neanche i presupposti per il ricorso all’accertamento induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38;

a seguito del ricorso il contribuente si è costituito in giudizio mediante procura al difensore ed ha depositato successiva memoria;

il ricorso è stato fissato per la Camera di Consiglio del 18 dicembre 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380-bis1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSTDERATO

Che:

preliminarmente, deve esaminarsi l’eccezione, contenuta nella memoria dal contribuente, relativa alla sussistenza di un giudicato esterno tra le stesse parti, relativo alle annualità 2006/2007;

in primo luogo, deve rilevarsi l’ammissibilità della memoria, poichè “in tema di rito camerale di legittimità di cui alla L. n. 197 del 2016, art. 1-bis, che ha convertito, con modificazioni, il, applicabile, ai sensi del D.L. n. 168 del 2016, stesso articolo, comma 2, anche ai ricorsi depositati prima dell’entrata in vigore della legge di conversione per i quali non sia stata ancora fissata l’udienza o l’adunanza in camera di consiglio, la parte che abbia precedentemente depositato procura notarile senza notificare alcun controricorso – perduta la facoltà di partecipare alla discussione orale in pubblica udienza o di essere sentita in camera di consiglio per effetto delle norme sopravvenute – può esercitare la propria difesa presentando memoria scritta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2, e, in caso di soccombenza della controparte, ha diritto alla rifusione delle spese e dei compensi per il conferimento della procura e per l’attività difensiva così svolta” (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7701 del 24/03/2017; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 4533 del 22/02/2017; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 395 del 10/01/2017);

dunque, se nella previgente disciplina la procura in calce alla copia notificata del ricorso abilitava il controricorrente alla discussione orale, deve ritenersi, una volta venuta meno la possibilità per le parti di essere sentite all’udienza camerale, che il controricorrente resti facultato al deposito delle memorie, come avvenuto nel caso di specie;

per quanto riguarda l’eccezione di giudicato esterno, essa non è fondata, in quanto, secondo l’orientamento di questa Corte, dal quale non vi sono motivi per discostarsi, “la sentenza – del giudice tributario che definitivamente accerti il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato periodo d’imposta fa stato, quanto ai tributi dello stesso tipo da questi dovuti per gli anni successivi, solo per gli elementi che abbiano un valore “condizionante” inderogabile rispetto alla disciplina della fattispecie esaminata, sicchè, laddove risolva una situazione fattuale riferita ad uno specifico periodo d’imposta, essa non può estendere i suoi effetti automaticamente ad un’altra annualità, ancorchè siano coinvolti tratti storici comuni: nella specie, la S.C. ha escluso l’efficacia esterna di un giudicato di annullamento di un avviso di rettifica, privo di adeguata motivazione e fondato su elementi inidonei a dimostrare l’inattendibilità della dichiarazione dei redditi, in altra controversia relativa ad un avviso, derivante dal medesimo verbale di constatazione, ma avente ad oggetto diversa annualità dello stesso tributo”” (Cass. n. 1837 del 2014);

passando al primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate censura la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 38, nonchè dell’art. 2729, c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n, 3);

l’Agenzia delle entrate ritiene che la C.t.r. abbia commesso un errore nell’affermare che non sia stata accertata la realizzazione di maggiori ricavi da parte della società a ristretta base azionaria e che l’unico accertamento nei confronti della società abbia riguardato l’Iva;

la ricorrente deduce che l’accertamento dei maggiori ricavi non si fondava sugli accertamenti notificati alle società medesime, ma su di un autonomo e motivato accertamento dei movimenti bancari del conto corrente del socio B.G., da cui si è fatto derivare il maggior reddito delle società e poi, a cascata, essendo queste a ristretta base azionaria, la presunzione di distribuzione di questi utili ai soci, tra cui il B. stesso;

la C.T.R., quindi, avrebbe errato, violando le norme enunciate in rubrica, nel ritenere illegittimo l’avviso di accertamento in questione, sull’erroneo presupposto, in diritto, che un siffatto accertamento dovesse necessariamente essere preceduto da un accertamento dei maggiori utili realizzati dalle società a ristretta base azionaria;

il motivo è infondato;

come già rilevato nell’ordinanza di questa Corte n. 1459/2017 (relativa alle annualità 2006/07), per costante orientamento del giudice di legittimità, “in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo a quelli di capitale, nel caso di società a ristretta base sociale è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poichè il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale. Affinchè, però, tale presunzione possa operare occorre, pur sempre, sia che la ristretta base sociale e/o familiare – cioè il fatto noto alla base della presunzione – abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio, sia che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi” (Sez. 5, Sentenza n. 9519 del 22/04/2009, Rv.607815);

pertanto, come ritenuto dal giudice di appello, l’accertamento del reddito di partecipazione in capo al B. non può prescindere dal previo accertamento degli utili della società partecipata a ristretta base;

il ragionamento dell’Agenzia ricorrente finirebbe con l’invertire l’ordine logico-giuridico delle questioni, in quanto, invece che presumere la distribuzione di utili partendo dall’accertamento della loro realizzazione/occultamento da parte della società/delle società partecipate dal ricorrente e quindi ricavarne un riscontro oggettivo nelle movimentazioni bancarie riferibili al ricorrente stesso, nella rilevata assenza di una giustificazione alternativa, vorrebbe desumere, in maniera non corretta, la prima circostanza fattuale sulla base della seconda (vedi Cass. ord. n. 1459/2017 tra le stesse parti per diversa annualità d’imposta);

nel caso di specie la C.t.r. ha ritenuto del tutto mancante l’accertamento del (maggior) reddito societario e, di conseguenza, illegittimo l’accertamento del reddito di partecipazione del socio;

con il secondo motivo la ricorrente censura la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e art. 38 e dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

secondo l’Agenzia delle Entrate la C.t.r. ha errato nel ritenere che gli elementi indiziari in esame non fossero idonei a dimostrare gli utili extra-bilancio realizzati dalle società partecipate dal sig. B., per il solo fatto che questi non sarebbe nè un imprenditore, nè un lavoratore autonomo e che, dunque, non potrebbe operare la presunzione di cui all’art. 32 in esame;

sarebbe, infatti, ben possibile che i versamenti ingiustificati sul conto corrente del sig. B. possano assurgere a elementi indiziari tout court, valutabili ai sensi dell’art. 2729 c.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e quindi suscettibili di essere posti alla base dell’avviso di accertamento impugnato;

la ricorrente rileva, poi che, sulla base della giurisprudenza della Corte di Cassazione, la presunzione di cui all’art. 32, per quanto riguarda i versamenti, ha una portata generale che si applica a tutti i contribuenti;

con il terzo motivo di ricorso la ricorrente censura l’omessa o insufficiente motivazione su di un fatto controverso e decisivo del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5);

in particolare, l’Agenzia delle entrate rileva che la sentenza è altresì viziata perchè non fornisce alcuna motivazione in ordine alle giustificazioni, fornite dal contribuente, sui versamenti sul suo conto corrente, nè delle specifiche argomentazioni contrarie dell’Amministrazione finanziaria;

con il quarto motivo di ricorso la ricorrente censura la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

secondo la ricorrente, con riferimento all’affermazione della C.t.r. sulla mancata emanazione di “eventuali diversi accertamenti sugli altri soggetti”, la sentenza di secondo grado è errata in punto di diritto, non essendovi un obbligo dell’amministrazione di emanare gli avvisi di accertamento nei confronti di terzi, che non fossero soci delle società partecipate dal B.;

i motivi secondo e terzo, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono fondati e vanno accolti, mentre il quarto è assorbito dall’accoglimento dei precedenti;

il giudice di appello, sul presupposto che l’accertamento avesse ad oggetto il reddito di partecipazione del socio di alcune società a ristretta base, ha escluso che esso fosse stato preceduto dall’accertamento dei redditi delle società;

l’Agenzia delle entrate, però, sostiene che l’accertamento, in quanto basato sulle indagini bancarie a carico di B.G., socio, insieme con il fratello e la moglie, di alcune società a ristretta base, fosse comunque fondato sulla presunzione generale di cui all’art. 32 citato, tanto che l’Ufficio aveva escluso prudenzialmente dalla determinazione del reddito i prelevamenti ed aveva calcolato solo i versamenti sul conto corrente del contribuente, per i quali quest’ultimo non aveva fornito adeguata giustificazione;

l’accertamento oggetto del presente giudizio, dunque, riguarderebbe i ricavi, determinati dall’Ufficio sulla base dei versamenti ingiustificati sul conto corrente del contribuente (in particolare, si tratta di versamenti da parte del fratello e della moglie, soci con il contribuente verificato di alcune società a ristretta base, nonchè di versamenti da parte del padre e del suocero, che, secondo l’Ufficio, non avrebbero avuto redditi sufficienti a tanto) e non richiedeva necessariamente un accertamento nei confronti delle società;

come questa Corte ha già avuto modo di rilevare, “in tema d’imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari giusta il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti, come si ricava dal successivo art. 38, riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche, che rinvia allo stesso art. 32, comma 1, n. 2; tuttavia, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti” (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 29572 del 16/11/2018);

pertanto, la sentenza impugnata, nel ritenere che non fosse applicabile la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, perchè i destinatari di detto articolo sarebbero solo gli imprenditori ed i lavoratori autonomi, non ha chiarito gli elementi di fatto sui quali ha basato il proprio convincimento, omettendo, peraltro, di esaminare sia le contestazioni dell’Ufficio poste a base dell’accertamento, sia le giustificazioni fornite dal contribuente, pure enunciate nella parte dedicata allo svolgimento del processo;

in conclusione, il ricorso va accolto limitatamente al secondo e terzo motivo di ricorso e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla C.t.r. del Piemonte, in diversa composizione, per nuovo esame della fattispecie concreta alla luce dei principi sopra enunciati, tenendo presente che, qualora l’accertamento abbia riguardato nella loro interezza i versamenti sul conto corrente del contribuente (e non la determinazione di un reddito da partecipazione), è onere di quest’ultimo fornire adeguata giustificazione degli stessi;

il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.t.r. del Piemonte, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2020

 

 

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