Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16655 del 16/07/2010

Cassazione civile sez. I, 16/07/2010, (ud. 23/11/2009, dep. 16/07/2010), n.16655

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – rel. Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.L., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale

a margine del ricorso, dall’Avv. MARRA Alfonso Luigi, per legge

domiciliato presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione,

Piazza Cavour;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio pro tempore, rappresentata e difesa, per legge,

dall’Avvocatura generale dello Stato, presso gli Uffici di questa

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli depositato il 5

luglio 2007;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23 novembre 2009 dal Consigliere relatore Dott. Onofrio Fittipaldi.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il relatore designato, Cons. Luigi Salvato, nella relazione depositata il 6 luglio 2009, ha formulato la seguente proposta di definizione: “ M.L. adiva la Corte d’appello di Napoli, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tar Campania con ricorso del 3.7.97, non ancora definito. La Corte d’appello, con decreto del 5.7.07, fissata la durata ragionevole del giudizio in anni tre, liquidava per il periodo eccedente (poco piu’ di sei anni) Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo, quindi complessivi Euro 6.500,00, con il favore delle spese del giudizio. Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso M.L., affidato a 13 motivi; ha resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri.

1. – Con i primi sei motivi e’ denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 1 e art. 6, par. 1 CEDU), in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, nonche’ della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di questa Corte ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.) e sono poste le seguenti questioni, sintetizzate nei quesiti:

a) la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6 par. 1 CEDU e in ipotesi di contrasto tra la Legge Pinto e la CEDU, ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU? (primo motivo).

b) Questioni concernenti la quantificazione del danno. una volta accertato il diritto all’equo indennizzo lo stesso va liquidato nella misura annua di Euro 1.000,00 – 1.500,00? (secondo motivo) e sul punto il decreto sarebbe carente nella motivazione (motivo terzo);

spetta un’ulteriore somma rationae materiae (bonus di Euro 2.000,00) trattandosi di diritti dei lavoratori come stabilito dalla CEDU, o comunque l’equo indennizzo per tali materie va calcolato in misura maggiore? (quarto motivo) e su questa domanda la Corte d’appello non si e’ pronunciata (quinto motivo), incorrendo in difetto di motivazione (sesto motivo).

1.1.- I motivi dal 7 al 13 denunciano violazione dell’art. 6, par. 1 CEDU e dell’art. 1 del protocollo addizionale, della L. n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 91 e 92, 112 e 132 c.p.c., della L. n. 794 del 1942, art. 24 delle tariffe professionali, nonche’ difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5, artt. 112 e 132 c.p.c.), nella parte concernente la liquidazione delle spese del giudizio e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni, sintetizzate nei quesiti:

«alla fattispecie concreta e con riguardo alle spese di lite, premesso che trattasi di un procedimento ordinario contenzioso (e non di v.g.) vanno applicate le tariffe professionali per i procedimenti ordinari contenziosi (e non quelli di volontaria giurisdizione)? (motivo 7) e negli stessi termini e’ formulato il motivo 9; e’ legittimo, con riferimento alla fattispecie che ci occupa, un accoglimento della domanda con liquidazione di spese insufficiente o parziale compensazione delle spese, anche in considerazione dell’art. 1 prot. add CEDU direttamente applicabile al caso di specie? (motivo 8) ed il decreto sarebbe viziato nella motivazione sulla liquidazione in difformita’ dalla tariffa applicabile (motivo 10);

le spese liquidate dal giudice di primo grado sono sufficienti in relazione all’attivita’ svolta, alle tariffe professionali vigenti ed alla nota spese? (motivo 11); puo’ il giudice, nel liquidare le spese ed in presenza di nota spese specifica, disattendere la stessa liquidando spese, diritti ed onorari inferiori a quelli richiesti e comunque escludere o ridurre alcune delle voci tariffarie indicate nella nota spese? (motivo 12) e sul punto e’ denunciato anche difetto di motivazione riportando nel ricorso specifica nella quale sono riportate le diverse voci tariffarie, in relazione ai diversi scaglioni (motivo 13 ).

2.- I motivi indicati nel 1 possono essere esaminati congiuntamente, perche’ giuridicamente e logicamente connessi, sembrerebbero manifestamente infondati. a) relativamente alla questione sub a), ammissibile e rilevante per l’incidenza su quelle ulteriori, va ribadito il principio enunciato dalla Corte costituzionale (sent. n. 348 e n. 349 del 2007) e dalle S.U. (sent. n. 1338 del 2004), in virtu’ del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea. Siffatto dovere opera, entro i limiti in cui detta in- terpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001 e, qualora cio’ non sia possibile, ovvero il giudice dubiti della compatibilita’ della norma interna con la disposizione convenzionale, deve investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimita’ costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1. Resta dunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla “non applicazione” della norma interna, in virtu’ di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria.

b) Relativamente alla quantificazione del danno, va affermato:

secondo l’orientamento espresso da questa Corte, al quale va data continuita’, la precettivita’, per il giudice nazionale, non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore di detta base di calcolo;

per il giudice nazionale e’, sul punto, vincolante la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), non incidendo questa diversita’ di calcolo sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (Cass. n. 4572 del 2009;

n. 11566 del 2008 e n. 1354 del 2008); i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, che deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo, che ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno il parametro per la quantificazione dell’indennizzo;

resta escluso che le norme disciplinatrici della fattispecie permettano di riconoscere una ulteriore somma a titolo di bonus, arbitrariamente indicata in una data entita’, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia. Infatti, come ha chiarito questa Corte, i giudici europei hanno affermato che il bonus in questione deve essere riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha quindi fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali. Tuttavia, cio’ non implica alcun automatismo, ma significa soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, e’ probabile che siano di una certa importanza (Cass. n. 18012 del 2003). Il giudice del merito puo’, quindi, attribuire una somma maggiore – anche il succitato bonus – qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, senza che cio’ comporti uno specifico obbligo di motivazione, da ritenersi compreso nella liquidazione del danno, sicche’ se il giudice non si pronuncia sul c.d. bonus, cio’ sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (Cass. n. 3812 del 2009; n. 18012 del 2008);

il danno non patrimoniale deve essere quantificato in applicazione di detto parametro, con la facolta’ di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entita’ della “posta in gioco”, il “numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento” ed il comportamento della parte istante; per tutte, Cass. n. 3812 del 2009; n. 1630 del 2006), purche’ motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 4572 del 2009; n. 6898 del 2008).

In questi termini sono i principi che possono essere formulati in relazione ai quesiti in esame ed a quelli riferibili alla quantificazione del danno, anche alla luce del parametro della Corte EDU, che sembrano confortare la manifesta infondatezza delle censure, poiche’ il decreto ha liquidato la somma di Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo, dando applicazione ai parametri della Corte EDU, e cio’ basta a rendere sufficiente, congrua ed incensurabile la motivazione.

A fronte di tale congrua e sufficiente motivazione, il ricorrente, da un canto, non si e’ dato carico di censu-rarla specificamente;

dall’altro, si e’ limitato a svolgere argomenti standardizzati e stereotipati, non in grado di dimostrare la sussistenza dei presupposti per liquidare un importo piu’ elevato, omettendo di indicare quali elementi specifici e concreti, dedotti nella fase di merito, avesse indicato a tal fine.

2.1.- I motivi indicati nel par. 1.1 possono essere esaminati congiuntamente, perche’ logicamente connessi, sembrerebbero in parte manifestamente inammissibili, in parte manifestamente infondati, in parte manifestamente fondati.

In linea preliminare, va evidenziata la incongrua proposizione di due identici quesiti (motivi 7 e 9) e la manifesta inammissibilita’ delle censure (e dei corrispondenti profili dei quesiti) incongrue, in quanto non correlate alla ratio decidendi del decreto e che in nessun modo tengono conto della fattispecie, ovvero si risolvono in argomentazioni astratte e prive di pertinenza con il caso di specie.

Tanto va rilevato in relazione ai motivi: ottavo e dodicesimo, quanto alla possibilita’ del giudice di compensazione delle spese (non disposta) e di riduzione delle voci della nota spese, possibile se tanto risulta dalla applicazione delle norme; 11^, quanto alla astratta deduzione di sufficienza delle spese. Relativamente agli ulteriori profili di censura, da ritenere ammissibili, nella parte in cui correlano l’erroneita’ delle voci di tariffa applicata alla violazione del principio dell’inderogabilita’ ed al difetto di motivazione, le stesse sono fondate sulla base dei principi di seguito indicati, ed entro i limiti che si precisano:

la L. n. 89 del 2001 non reca nessuna specifica norma in ordine al regime delle spese all’esito dello svolgimento del processo camerale di cui agli artt. 3 e 4 e, in virtu’ del richiamo ivi effettuato, si applicano sul punto le norme del codice di rito, avendo anche il legislatore dimostrato attenzione a questo profilo, esonerando il ricorrente dal contributo unificato (L. n. 89 del 2001, art. 5 bis, e, successivamente, D.Lgs. n. 115 del 2002, artt. 10 e 265) con conseguente manifesta infondatezza della pretesa di liquidazione delle spese processuali secondo gli standard seguiti dalla Corte di Strasburgo (Cass. n. 3812 e n. 3810 del 2009); la configurazione del procedimento disciplinato dalla L. n. 89 del 2001 quale procedimento contenzioso comporta l’applicabilita’ della Tab. A-4^ e della Tab.B- 1^. In applicazione di tali principi, la considerazione che il decreto ha liquidato le spese in Euro 300,00 per diritti ed Euro 550,00 per onorari, esplicitamente richiamando la natura del procedimento (in camera di consiglio), con deduzione errata, per quanto sopra precisato, sembra rendere manifestamente fondate le censure, nella parte in cui sono ammissibili, sebbene il discostamento non sia rilevante.

Entro questi limiti i mezzi potrebbero essere accolti; il decreto dovrebbe essere cassato nel solo capo relativo alle spese e la causa decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, mediante la liquidazione delle spese dovute per il giudizio di merito, in applicazione delle regole sopra indicate. Le spese della fase di legittimita’ potrebbero essere compensate per due terzi, sussistendo giusti motivi, stante il limitato e parziale accoglimento del ricorso. Pertanto, il ricorso puo’ essere trattato in camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono stati mossi rilievi critici, sono condivisi dal Collegio, salvo per quanto riguarda la proposta di accoglimento, in parte, delle censure sulla liquidazione delle spese;

che, infatti, benche’ la Corte di merito abbia errato nel richiamare per la quantificazione delle spese la natura in camera di consiglio del procedimento (posto che la configurazione del procedimento disciplinato dalla L. n. 89 del 2001 quale procedimento contenzioso comporta l’applicabilita’ della Tab. A-4 e della Tab.B-1), in ogni caso tale errore e’ privo di rilievo causale, in quanto la liquidazione delle spese processuali operata in concreto dal giudice a quo – Euro 930,00 complessivi, di cui Euro 300,00 per diritti, Euro 550,00 per onorario ed Euro 80,00 per esborsi – non si discosta dai minimi tariffari applicabili secondo il procedimento contenzioso;

che, pertanto, ferme le ulteriori considerazioni contenute nella proposta di definizione, il ricorso deve essere rigettato;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla Presidenza del Consiglio dei ministri controricorrente, che liquida in Euro 900,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Cosi’ deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione prima civile della Corte suprema di Cassazione, il 23 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2010

 

 

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