Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16654 del 29/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 29/07/2011, (ud. 03/05/2011, dep. 29/07/2011), n.16654

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

EURODAFIN SPA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 81/2 005 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 08/07/2005; udita la relazione della causa svolta nella

pubblica udienza del 03/05/2011 dal Consigliere Dott. DI IASI

Camilla;

udito per il ricorrente l’Avvocato DETTORI BRUNO, che si riporta;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della s.p.a. Euurodafin in fallimento (che non ha resistito) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento per Irpeg e Ilor relativo al 1996, la C.T.R. Lombardia rigettava l’appello dell’Ufficio e confermava la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della contribuente.

Come risultante dalla sentenza impugnata, l’avviso opposto aveva in particolare ad oggetto “la variazione in diminuzione della somma di L. 21.500.000.000 relativa a spese ed altri componenti negativi non dedotti in altri esercizi per ragioni di competenza ed afferenti l’utilizzo di un accantonamento fondo svalutazione partecipazione benchè la partecipazione fosse stata iscritta in bilancio 31.12.1995 al valore di L. 1”.

I primi giudici annullavano l’avviso opposto sia perchè motivato con rinvio per relationem ad altro atto solo richiamato ma neppure riassuntivamente riprodotto nell’avviso, sia, nel merito, perchè l’Ufficio non aveva provato la legittimità del recupero a tassazione e, secondo quanto risultante dalla sentenza della C.T.R. impugnata in questa sede, l’Agenzia delle Entrate censurava in appello entrambe le suddette rationes decidendi, tuttavia i giudici della C.T.R. rigettavano l’impugnazione facendo esclusivo riferimento all’infondatezza dell’accertamento nel merito, senza pronunciarsi sulla censura concernente il difetto di motivazione dell’avviso opposto. In particolare, i giudici d’appello affermavano che, “anche volendo prescindere dalle motivazioni di diritto che avevano indotto i primi giudici ad annullare l’accertamento”, detto accertamento era stato ritenuto infondato anche sotto il profilo del merito, non avendo l’Ufficio fornito alcuna prova della fondatezza e legittimità della ripresa fiscale” nè contestato la rilevanza fiscale della svalutazione di cui la società aveva dimostrato la correttezza mediante la produzione di prospetti allegati ai vari bilanci.

2. Col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 59, 61 e 75, la ricorrente afferma che la società aveva imputato all’esercizio 1996 costi riferiti alla svalutazione della sua partecipazione in Edilgest Finanziaria s.p.a. sostenuti in altra annualità, circostanza documentata da bilanci, libri sociali e documenti delle due società, dai quali risulta che l’azzeramento della partecipazione era avvenuto nel 1994 e che al 31 dicembre 1995 la società aveva iscritto in bilancio la partecipazione attribuendole il valore di L. 1, onde avrebbe errato la C.T.R. nel sostenere la legittimità di tale comportamento, per contrasto con il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75 secondo il quale le spese e gli altri componenti negativi sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano imputati al conto profitti e perdite dell’esercizio di competenza.

Col secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e art. 2697 c.c., la ricorrente censura la sentenza impugnata anche nella parte in cui afferma che sarebbe stato onere dell’Amministrazione finanziaria fornire la prova della deducibilità dei costi.

Entrambi i motivi sono inammissibili per difetto di interesse.

Come risulta dalla ricostruzione della vicenda processuale esposta in precedenza (e tratta dalla sentenza impugnata, non censurata sul punto), i primi giudici avevano motivato l’annullamento dell’avviso opposto esponendo due rationes decidendi (il difetto di motivazione dell’avviso medesimo e, nel merito, l’infondatezza della pretesa), l’Agenzia delle Entrate le aveva censurate entrambe in appello e la società si era costituita difendendosi in ordine a entrambe le censure, mentre i giudici della C.T.R. avevano rigettato l’impugnazione facendo esclusivo riferimento alla mancanza di prova della fondatezza dell’accertamento nel merito, senza pronunciarsi in ordine alla censura concernente il difetto di motivazione dell’avviso opposto affermato dai giudici di primo grado.

In questa sede tuttavia la ricorrente, proponendo esclusivamente le censure sopra riportate, non ha in alcun modo censurato la sentenza della C.T.R. per omessa pronuncia in ordine al motivo d’appello concernente una delle due rationes decidendi sulle quali era fondata la sentenza di primo grado (quella relativa al difetto di motivazione dell’avviso). Peraltro, anche volendo ritenere che non vi sia stata omessa pronuncia perchè il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza di primo grado sarebbero configurabili come rigetto implicito di ogni censura espressa nell’atto di impugnazione (ma la giurisprudenza di questo giudice di legittimità ritiene al contrario che l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello integri sempre un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo per violazione dell’art. 112 c.p.c. – v. cass. n. 11844 del 2006; n. 24856 del 2006 e n. 12952 del 2007-), nella specie tale implicito rigetto non risulta in alcun modo censurato.

Ne consegue che la ricorrente non ha interesse al ricorso perchè anche l’accoglimento delle censure in esso proposte non inciderebbe sull’annullamento dell’avviso opposto pronunciato dai primi giudici anche (e innanzitutto) per difetto di motivazione del medesimo avviso, con sentenza che sul punto è stata confermata dai giudici della C.T.R. (i quali hanno omesso di pronunciarsi sul corrispondente motivo di appello ovvero lo hanno implicitamente rigettato) senza che la relativa sentenza, impugnata in questa sede, sia stata in proposito censurata.

Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile. In assenza di attività difensiva nessuna decisione deve essere assunta in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2011

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