Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16653 del 09/08/2016


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Cassazione civile sez. III, 09/08/2016, (ud. 26/05/2016, dep. 09/08/2016), n.16653

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2942-2015 proposto da:

ZETA 2000 SRL, in persona del suo Amministratore Unico – legale

rappresentante p.t. F.M., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA S. CATERINA DA SIENA 46, presso lo studio dell’avvocato

PATRIZIA RAPONE, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati GIUSEPPE GRECO, BARBARA NIGI giusta procura speciale a

margine del ricorso, GIANGIORGIO CASAROTTO giusta procura speciale

del Dott. Notaio PIETRO MELE in ROMA il 16/5/2016 rep. n. 13546;

– ricorrente –

contro

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO

BUOZZI, 49, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO RICCIONI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO CICALA giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

C.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1577/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2016 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;

udito l’Avvocato GIUSEPPE GRECO;

udito l’Avvocato GIANGIORGIO CASAROTTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO ROSARIO GIOVANNI che ha concluso per il rigetto del ricorso e

condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata in data 31 marzo 2009 C.A. – premesso che era comproprietario con il fratello C.F. di un fondo agricolo di 20 ettari in territorio di Ostia Antica, adibito alla coltivazione di foraggio e allevamento di cavalli e di condurre, altresì, in affitto agrario il limitrofo fondo “(OMISSIS)” in forza di contratto agrario concluso con l’Agenzia del Demanio dalla cui detenzione era stato violentemente spogliato nel gennaio 2008 ad opera di un incaricato della futura acquirente Zeta 2000 s.r.l. – conveniva innanzi al Tribunale di Roma detta società, lamentando che il fondo fosse stato alienato, nonostante avesse comunicato al Patrimonio dello Stato s.p.a. che ne curava la cessione di volersi avvalere della prelazione ed esercitando il diritto di riscatto al prezzo fissato nell’atto di compravendita, con conseguente inefficacia dello stesso atto nei suoi confronti.

Sulla resistenza della convenuta Zeta 2000 s.r.l., che chiedeva, sotto plurimi profili, dichiararsi la risoluzione del contratto di affitto agrario, nella cui detenzione il C. veniva nelle more reintegrato, il Tribunale rimetteva causa e parti innanzi alla sezione agraria, competente per materia.

Quindi, interveniva C.F., riportandosi alle deduzioni del fratello e chiedendo l’accoglimento della domanda di riscatto anche in suo favore.

Infine, esaurita l’istruttoria orale e documentale, la sezione agraria del Tribunale, con sentenza in data 23.01.2013, n. 24757, accoglieva la domanda di riscatto di C.A., dichiarando inefficace l’atto di compravendita in data 03.03.2008, trascritto il 14.03.2008 e trasferito in favore di C.A. e C.F., all’atto del pagamento del relativo prezzo di riscatto, il fondo agricolo “(OMISSIS)”; rigettava, invece, le domande riconvenzionali, con i consequenziali provvedimenti.

La decisione, gravata da impugnazione, in via principale, da parte della s.r.l. Zeta 2000 e, in via incidentale, da parte di C.A. e C.F., era parzialmente riformata dalla Corte di appello di Roma sez. specializzata agraria, la quale con sentenza in data 11.06.2014, n. 1577 dichiarava l’inefficacia dell’atto di compravendita del fondo “(OMISSIS)” in favore del solo C.A., previo pagamento del prezzo del riscatto.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la s.r.l. Zeta 2000, svolgendo sei motivi.

Ha resistito C.A., depositando controricorso.

Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte di C.F..

E’ stata depositata memoria da parte della ricorrente.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va premesso che non è stata impugnata dal diretto interessato la statuizione di rigetto della domanda del terzo interventore C.F., avente ad oggetto il trasferimento (anche) in suo favore del fondo per la cui prelazione/riscatto ha agito il fratello A., odierno resistente. Sul punto vi è, dunque, giudicato.

2. La decisione impugnata affida il rigetto dell’appello della società retrattata ad una duplice ratio decidendi, avuto riguardo al duplice titolo fatto valere da C.A. ai fini del riscatto e, cioè, ex L. n. 590 del 1965, art. 8, quale affittuario, coltivatore del fondo per cui vi è retratto ed ex L. n. 817 del 1971, art. 7, n. 2, quale (com)proprietario, coltivatore diretto del fondo confinante. Invero la Corte di appello, pur ritenendo la decisione di primo grado “esente da censure in relazione al riconosciuto diritto di prelazione/riscatto di C.A. ai sensi della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8” – e ciò per la considerazione dell’infondatezza delle domande di risoluzione per inadempimento e/o per impossibilità sopravvenuta, proposte in via riconvenzionale dalla retrattata – ha precisato che “le questioni relative alla pretesa pregressa risoluzione del contratto di affitto resterebbero peraltro assorbite dalla fondatezza dell’appello incidentale proposto dal C. per sentirsi riconoscere lo stesso diritto anche in forza della L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7 che ha esteso il diritto di prelazione anche ai coltivatori diretti proprietari del fondo confinante con quello posto in vendita”.

Avuto riguardo a tale duplice ratio decidendi, la ricorrente formula un duplice ordine di doglianze: invero i primi tre motivi sono intesi, sotto vario profilo, a censurare la ritenuta sussistenza dei requisiti per il riscatto da parte di C.A., quale affittuario, coltivatore diretto del fondo; mentre gli ultimi tre si indirizzano alla parte della decisione che ha rinvenuto le ragioni del riscatto (anche) nella qualità da parte del medesimo C. di (com)proprietario e coltivatore diritto del fondo confinante. In particolare:

con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 9 (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3) per avere la Corte di appello ritenuto valido ed efficace il retratto agrario, nonostante difettasse una condizione di proponibilità, rappresentata dal mancato esercizio congiunto del riscatto da parte dei coaffittuari C.A. e C.F.; a parere della ricorrente, non risultando neppure allegati presupposti di una rinuncia tacita alla prelazione da parte di C.F. – e, anzi, risultando il comportamento processuale dell’intervenuto incompatibile con una rinuncia di tal fatta – avrebbe dovuto essere rilevata d’ufficio l’assenza della condizione di proponibilità, rappresentata dal mancato esercizio congiunto del retratto da parte dei coaffittuari; si precisa che i suddetti profili di censura vanno considerati unitamente a quelli enunciati con il motivo n. 4 (o in subordine al motivo n. 5);

con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1458 c.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3) per avere erroneamente escluso l’efficacia retroattiva, ad epoca antecedente il riscatto, della domanda di risoluzione per inadempimento del contratto di affitto di fondo rustico; al riguardo la ricorrente osserva che l’inadempimento aveva avuto inizio nell’anno 2003 ed era stato già contestato con raccomandata 17.11.2006 dalla Patrimonio dello Stato s.p.a., risultando irrilevante la circostanza, evidenziata nella decisione impugnata, secondo cui detta contestazione non era stata seguita da “azione giudiziale che solo il proprietario avrebbe potuto avviare”, vuoi perchè essa acquirente subentrava nell’azione spettante al sua dante causa, vuoi perchè la morosità si era protratta anche dopo l’acquisto avvenuto in data 03.08.2008 e successivamente all’esercizio del riscatto;

con il terzo motivo di ricorso si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5) per avere erroneamente escluso i presupposti della risoluzione del contratto di affitto del fondo rustico per impossibilità sopravvenuta della prestazione, omettendo di considerare il verbale di verifica statica del 18.02.2003; al riguardo la ricorrente si duole che la Corte di appello abbia ritenuto “insostenibile” il proprio assunto, inteso a far valere l’impossibilità sopravvenuta del contratto di affitto, facendo leva sulla considerazione della limitata superficie occupata dai fabbricati fatiscenti rispetto alla complessiva estensione del fondo “Tenuta del Sale”; e ciò sebbene essa appellante avesse fatto presente che la valutazione tecnico-discrezionale posta alla base dell’atto amministrativo, ragionevolmente prescindeva dalla considerazione dell’estensione del terreno in rapporto all’area occupata dai fabbricati, atteso che l’accesso anche ad aree prossime ai fabbricati sarebbe stato comunque necessario ai fini della coltivazione e, soprattutto, perchè la permanenza dell’accessibilità di qualsiasi parte all’interno dei confini dell’appezzamento avrebbe accresciuto e reso incontrollabili il pericolo e l’eventualità dell’avvicinamento di persone alle zone di maggior rischio;

con il quarto motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 817 del 1971, art. 7 comma 2, n. 2 (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3) per avere la Corte di appello accolto l’appello incidentale e dichiarato inefficace l’atto di compravendita nei confronti di C.A. pure essendo insediati sul fondo due affittuari: e, cioè, lo stesso C.A. (al quale il riscatto è stato attribuito anche quale affittuario del fondo retraendo) e C.F.; al riguardo la ricorrente deduce che al proprietario dei terreni confinanti coltivatore diretto compete la prelazione purchè sugli stessi non siano insediati affittuari;

con il quinto motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 817 del 1971, art. 7, comma 2, art. 8, comma 1 e L. n. 590 del 1965, art. 31, nonchè dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3) per non avere valutato, con riguardo al fondo di proprietà, se l’attività ippico-sportivo svolta da C.A. nel fondo di sua proprietà fosse complementare o subordinata alla coltivazione del fondo; al riguardo parte ricorrente deduce che tale valutazione è stata effettuata incongruamente con riferimento alla complessiva area risultante dal fondo in comproprietà del riscattante e da quello condotto in affitto, laddove ai fini del riconoscimento del riscatto ai sensi dell’art. 7 cit. occorreva verificare con esclusivo riferimento al fondo in proprietà se l’attività di allevamento di cavalli fosse complementare e subordinata rispetto alla coltivazione del fondo;

con il sesto motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 817 del 1971, art. 7, della L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 1, nonchè dell’art. 2697 c.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3) per avere omesso di verificare i requisiti per il riscatto, diversi dalla qualità di coltivatore diretto, e in particolare l’esorbitanza dell’estensione dei terreni rispetto alla forza lavoro del richiedente e della famiglia.

3. Il ricorso non merita accoglimento.

In via di principio si rammenta che – secondo un insegnamento assolutamente pacifico presso la giurisprudenza di questa Corte, che nella specie deve trovare ulteriore conferma – ove una sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronunzia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo stesso dell’impugnazione. Questa, infatti, è intesa alla cassazione della sentenza in toto, o in un suo singolo capo, id est di tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano. E’ sufficiente, pertanto, che anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa anche ad una sola delle dette ragioni, perchè il motivo di impugnazione debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni (in tale senso, ad esempio, tra le tantissime, Cass. 18 maggio 2005, n. 10420; Cass. 4 febbraio 2005, n. 2274; Cass. 26 maggio 2004, n. 10134).

Ciò posto e precisato che, nel caso di specie, la Corte di appello, pur confermando la statuizione di prime cure in punto di fondatezza del riscatto ex L. n. 590 del 1965, art. 8, ha in ultima analisi finito per considerare recessiva tale posizione rispetto a quella di proprietario coltivatore del fondo confinante (tanto da avere considerato, se del caso, assorbite le questioni agitate in punto di risoluzione dell’affitto agrario), ritiene il Collegio che l’esame del ricorso possa prendere le mosse proprio dagli ultimi tre motivi di ricorso che specificamente si appuntano sulla seconda ratio decidendi.

3.1. Muovendo, quindi, dal quarto motivo che parte ricorrente vorrebbe connesso al primo e al quinto motivo, si osserva che non è in discussione il principio, pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, richiamato anche nella decisione impugnata, secondo cui nell’ipotesi in cui il fondo confinante con quello posto in vendita appartenga in comproprietà a più persone, il diritto di prelazione e, quindi, quello di riscatto non spettano alla collettività dei comproprietari impersonalmente, ma a ciascun comproprietario che sia coltivatore diretto, con la conseguenza che il mancato esercizio del diritto congiuntamente da parte di tutti i comproprietari non incide negativamente sulla posizione del singolo che lo abbia esercitato, configurandosi nell’inazione degli altri comproprietari una rinuncia al diritto stesso (Cass. 29 gennaio 2010, n. 2049; Cass. 20 gennaio 2006, n. 1107; Cass. 17 gennaio 2001, n. 590).

Ciò che assume la ricorrente è, piuttosto, che non si potesse riconoscere il diritto di prelazione al confinante, per essere il fondo concesso in affitto allo stesso confinante e al di lui fratello.

Orbene – premesso che la prevalenza conferita al coltivatore del fondo offerto in vendita rispetto al confinante si pone nel sistema, come diretta a tutelare la piccola e media proprietà, con la conseguenza che tale ragione viene meno allorchè detto coltivatore diretto abbia rinunciato alla prosecuzione del rapporto agrario, eliminando la condizione che impedisce il sorgere del diritto del proprietario limitrofo (ex plurimis cfr. Cass. 21 aprile 2005, n. 8369; Cass. 04 giugno 1985, n. 3322) – ritiene il Collegio che il motivo di ricorso è, per una parte inammissibile, attesa la novità della questione, involgente accertamenti di fatto e, per altra, infondata.

Sotto il primo profilo si osserva che le deduzioni della ricorrente si infrangono contro la considerazione che non risulta che C.F. fosse (o fosse ancora) coaffittuario del fondo; emergendo, anzi, dalla decisione impugnata più di una indicazione in senso contrario, posto che solo C.A. risulta avere reagito all’azione di spoglio, chiedendo e ottenendo di essere reintegrato nella detenzione del fondo e che, dal canto suo, la Zeta 2000 s.r.l. ha indirizzato le domande riconvenzionali di risoluzione del contratto solo nei confronti del medesimo C.A..

Sotto l’altro profilo si osserva che l’indicata ratio legis di tutela della piccola e media proprietà, in ragione della quale viene privilegiato il “consolidamento” della proprietà nelle mani di chi coltiva lo stesso fondo, risulta all’evidenza inoperante, con conseguente venire meno della reclamata condizione impeditiva, allorchè le persone dell’affittuario e del confinante coincidano, come avviene nel caso di specie.

Il motivo va, dunque, rigettato.

3.2. Il quinto motivo accorpa censure eterogenee, posto che, per un verso, si sostiene che la Corte di appello abbia erroneamente formulato il giudizio di “complementarietà” dell’attività di allevamento di cavalli, rapportandolo alla superficie complessiva del fondo condotto in affitto e di quello di proprietà (ciò per avere affermato: “nemmeno inficia la statuizione del Tribunale l’assunto che sul fondo il C. allevasse cavalli in quanto il compendio probatorio in atti dà riscontro del fatto che la quasi totalità della superficie del fondo di proprietà e di quello condotto in affitto sono coltivate a fieno e cereali e che l’allevamento di animali è pertanto complementare all’uso agricolo del fondo stesso traendone da esso vantaggio, ma non asservendolo in modo strumentale, con ciò mantenendo nell’ambito delle attività agricole anche l’allevamento di bestiame (Cass. civ. sez. 1, 23/10/1998, n. 10527)” e, per altro verso, si adduce l’esistenza del giudicato interno per avere la sentenza di primo grado fatto riferimento in due punti “all’attività di allevamento di cavalli esercitata nel vicino fondo di proprietà” e “all’allevamento di cavalli che insiste sul confinante fondo di proprietà”.

Entrambi i profili di censura si rivelano manifestamente infondati.

3.2.1. Relativamente all’eccezione di giudicato interno, logicamente pregiudiziale, si osserva che il giudicato può formarsi solo su un capo non impugnato della decisione, capace di comportare una parziale soccombenza della parte, con conseguente necessità di impugnazione dello stesso capo e non già su un argomento, sia pure di rilievo, posto nella sentenza impugnata. In particolare costituiscono capi autonomi della sentenza, come tali suscettibili di formare giudicato anche interno per mancata impugnazione, quei capi concernenti questioni affatto indipendenti da quelle investite dai motivi di gravame, perchè fondate su autonomi presupposti di fatto e di diritto, tali da consentire che ciascun capo conservi efficacia precettiva anche se gli altri vengono meno.

Nel caso di specie la ricorrente allude a mere affermazioni, di cui non è neppure individuata la portata nell’ambito della decisione di primo grado; nè tantomeno individua una statuizione rispetto alla quale l’odierno resistente risultasse soccombente con correlativo onere di contestare un’affermazione che, per il vero, appare sostanzialmente “neutra” rispetto al tema del contendere.

3.2.2. Per altro verso – precisato che il lessico, seppur non particolarmente preciso, del giudice di appello non autorizza a ritenere che la valutazione comparativa tra l’attività di coltivazione e quella di allevamento sia stata riferita alla superficie complessiva dei fondi che qui rilevano – si osserva che, nella decisione impugnata, non si rinvengono affermazioni in contrasto con il principio acquisito nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui sussiste la legittimazione alla prelazione quando

l’allevamento del bestiame sia connesso – come è stato ritenuto nella specie – con l’attività di coltivazione del fondo e, cioè, rivesta carattere di attività complementare alla coltivazione della terra o, comunque, aggiuntiva rispetto alla concreta coltivazione del fondo. rivelandosi, per converso, insufficiente, ai detti fini, l’esclusivo esercizio dell’attività di allevamento del bestiame (Cass. 20 dicembre 2005, n. 28237).

Anche il quinto motivo va, dunque, rigettato.

3.3. Con il sesto motivo si predica l’insussistenza dei requisiti per il riscatto e, segnatamente, la mancata verifica dell’adeguatezza della forza lavorativa del retraente e della sua famiglia rispetto alla complessiva estensione del fondo di proprietà e quello per cui vi è domanda di riscatto.

3.3.1. Il motivo – pur formalmente proposto sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 in riferimento ad una serie di norme non tutte, per il vero, pertinenti – non concerne violazioni o false applicazioni del dettato normativo bensì la valutazione della realtà fattuale, come è stata operata dalla Corte di merito e, riproponendo l’esame degli elementi già sottoposti ai giudici di seconde cure e da questi disattesi, mirano ad un’ulteriore valutazione delle risultanze processuali, trascurando che a questa Corte non è riconosciuto dalla legge il potere di riesaminare e valutare il merito della causa e che, in relazione alle sentenze come quella all’esame, pubblicate a partire dal 11 settembre 2012, il sindacato sulla motivazione è circoscritto all’ipotesi, qui neppure enunciata, di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Invero – contrariamente a quanto affermato nel motivo di ricorso – la Corte di appello ha positivamente verificato la sussistenza dei requisiti soggettivi per il riscatto, segnatamente rimarcando (con specifico riguardo al terzo motivo di appello) come dalle testimonianze assunte, già analiticamente esaminate dal primo giudice, si rinvenisse conferma che l’odierno resistente “ha coltivato il fondo in affitto e quello confinante di sua proprietà ricorrendo alla propria opera, a quella dei familiari conviventi, facendo uso delle attrezzature proprie e solo occasionalmente, soprattutto nel periodo estivo, ricorrendo all’ausilio di terzi”: affermazione, quest’ultima, nella quale non può non rinvenirsi la conferma anche del possesso da parte di C.A. e del suo nucleo familiare di quella capacità lavorativa “minima” richiesta dalla L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 9 in comb. disp. con la L. n. 817 del 1971, art. 7.

4. Dal rigetto del quarto, quinto e sesto motivo, con conferma della statuizione di riscatto in forza del disposto di cui alla citata L. n. 817 del 1971, art. 7, consegue – per quanto sopra evidenziato sub n. 3 – l’inammissibilità degli altri tre motivi.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, seguono la soccombenza.

Infine si dà atto che la controversia, di competenza delle sezioni agrarie in ragione della domanda riconvenzionale, risulta esente, per cui non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 8.000,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge e contributo spese generali; rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2016

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