Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16652 del 06/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 06/07/2017, (ud. 03/05/2017, dep.06/07/2017),  n. 16652

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere –

Dott. SPAZIANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9226-2015 proposto da:

G.L.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CASSIA 1606, presso lo STUDIO LEGALE LAPENNA-DE PAOLA, rappresentata

e difesa dall’avvocato FILOMENO MONTESARDI giusta procura speciale

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.L., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

CELESTE VIGORITA giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 602/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 16/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/05/2017 dal Consigliere Dott. SPAZIANI PAOLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 13 gennaio 2006, il tribunale penale di Brindisi dichiarò G.L. colpevole del reato di cui all’art. 349 c.p., per aver violato i sigilli fatti apporre da G.L.M. sugli immobili di proprietà dello zio, G.A.B., deceduto senza figli nè ascendenti, al fine di evitare la sottrazione dei beni ereditari ivi giacenti e del testamento olografo con cui egli l’aveva nominata sua erede. Con la medesima sentenza il tribunale condannò in via generica l’imputata a risarcire alla parte civile costituita, G.L.M., i danni conseguenti alla commissione del reato, da liquidarsi in sede civile.

La sentenza fu nella sostanza confermata dalla Corte di appello di Lecce (con decisione dell’8 novembre 2010) ma annullata dalla Corte di cassazione, con decisione del 18 maggio 2012, n. 19076.

La Corte di legittimità, precisamente, annullò senza rinvio le statuizioni penali (sul rilievo che il reato fosse estinto per prescrizione) e con rinvio quelle civili, rimettendo al giudice civile competente per valore in grado di appello la decisione sull’an e sul quantum della pretesa risarcitoria.

Con sentenza in data 11 settembre 2014, la Corte di Appello di Lecce, in sede di rinvio, acquisiti gli atti del processo penale, ha rigettato la domanda di G.L.M., ritenendo non provata la commissione della condotta criminosa da parte di G.L., sulla base, per quanto ancora interessa, dei seguenti rilievi:

– la circostanza che G.L. fosse stata l’autrice della violazione dei sigilli emergeva unicamente dalle dichiarazioni rese nel corso del processo penale dalla parte civile e dal di lei marito, L.E., ma tali dichiarazioni non potevano ritenersi sufficienti a fornire la prova della commissione del reato da parte della convenuta in quanto provenienti da soggetti portatori di uno specifico interesse ad un determinato esito del procedimento;

– neppure poteva attribuirsi rilevanza decisiva alla fotografia scattata dallo stesso L.E., che ritraeva G.L. sull’uscio dell’immobile sottoposto a sequestro, ormai privo di sigilli, atteso che tale fotografia, priva di data, non consentiva di escludere che la violazione dei sigilli fosse stata precedentemente posta in essere da altre persone;

– nessun rilievo, infine, assumevano le ulteriori testimonianze raccolte nel giudizio penale, le quali o si riferivano ad un momento antecedente alla commissione del reato (limitandosi a confermare la presenza e la visibilità dei sigilli sul fabbricato di proprietà del defunto G.A.B.) oppure si riferivano a momenti successivi, limitandosi a dare atto della presenza sul posto di tracce del materiale normalmente utilizzato per l’apposizione di sigilli.

Avverso la sentenza della Corte leccese propone ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi, G.L.M.. Risponde con controricorso G.L.. La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo (violazione dell’art. 126 disp. att. c.p.c.) G.L.M. deduce che con l’atto di riassunzione del processo in seguito al rinvio operato dalla Corte di cassazione, aveva chiesto alla Corte di appello di acquisire, unitamente al fascicolo del precedente dibattimento penale, anche quello del pubblico ministero relativo al medesimo procedimento. Poichè invece l’acquisizione aveva avuto ad oggetto soltanto il primo e non anche il secondo fascicolo, sarebbe risultata violata la citata disposizione di attuazione del codice di rito e la Corte di merito avrebbe emesso una decisione viziata dall’omessa considerazione degli elementi probatori contenuti esclusivamente nel fascicolo delle investigazioni preliminari.

1.1. Il motivo è infondato.

L’art. 126 disp. att. c.p.c., dispone che “il cancelliere del giudice avanti al quale la causa è riassunta deve immediatamente chiedere il fascicolo d’ufficio al cancelliere del giudice che ha precedentemente conosciuto della causa”.

Questa disposizione deve ritenersi debitamente osservata dalla Corte di appello, non essendo controverso tra le parti che essa abbia deciso previa acquisizione del fascicolo d’ufficio del giudice che aveva precedentemente conosciuto il merito della controversia (e cioè il fascicolo del dibattimento penale) nonchè di quello del giudice di legittimità, e cioè del fascicolo del processo celebrato dinanzi alla Corte di cassazione. La mancata acquisizione del fascicolo del pubblico ministero che aveva esercitato l’azione penale nel procedimento oggetto di annullamento con rinvio, non assume alcun rilievo ai sensi della norma in esame, la quale disciplina i rapporti tra i giudici che hanno conosciuto della causa riassunta.

Il motivo in esame va dunque rigettato.

2. Con il secondo motivo (violazione art. 2729 c.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sulla ritenuta “possibilità astratta” che i sigilli fossero stati violati da ignoti), la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere escluso la responsabilità di G.L. facendo applicazione della regola probatoria vigente in ambito penalistico (che esige la prova “oltre il ragionevole dubbio”) anzichè di quella dettata in ambito civilistico, fondata sulla preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”. Si duole inoltre che la Corte territoriale, nell’attribuire rilievo decisivo all’eventualità che persone diverse dalla convenuta avessero posto in essere la condotta dannosa, abbia fatto immotivato ricorso al concetto di “possibilità astratta”, valutando circostanze non dedotte dalle parti.

2.1. Il motivo è in parte inammissibile in parte infondato.

2.2. E’ inammissibile nella parte in cui deduce vizi di motivazione, omettendo di considerare che, ai sensi della nuova formulazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c., – applicabile alle sentenze pubblicate dopo l’11 settembre 2012 e dunque anche alla pronuncia impugnata con il ricorso in esame, depositata il giorno 11 settembre 2014 – il controllo sulla motivazione può investire soltanto l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, la quale sussiste nelle sole ipotesi di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, sicchè il sindacato sulla motivazione è possibile solo con riferimento al parametro dell’esistenza e della coerenza, non anche con riferimento al parametro della sufficienza (Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 08053 e 08054; v. anche Cass. 08/10/2014, n. 21257).

2.3. Il motivo è invece infondato nella parte in cui deduce violazione dell’art. 2729 c.c., in quanto la Corte di merito non ha utilizzato in funzione probatoria il ragionamento induttivo fondato sull’applicazione di presunzioni, nè ha indebitamente utilizzato un criterio inferenziale in luogo di un altro, ma ha escluso la responsabilità di G.L. alla luce dell’esito dell’istruttoria compiuta nel processo penale, previa motivata rivalutazione delle prove (costituende e precostituite) ivi assunte.

Precisamente, dopo avere evidenziato che l’attrice non aveva formulato nuove istanze istruttorie nel giudizio di rinvio, ad eccezione della richiesta di consulenza tecnica che ha ritenuto di non ammettere, la Corte territoriale ha debitamente riesaminato le deposizioni rese dai testimoni escussi nel corso del giudizio penale nonchè le prove documentali (in particolare la fotografia scattata da L.E.) ivi raccolte, concludendo che, in base a tali risultanze, non era emersa la dimostrazione del compimento della condotta criminosa da parte della convenuta. La decisione si basa quindi sul motivato esame di prove dirette e non già sull’ (asseritamente erronea) applicazione di prove logiche.

Anche questo motivo deve pertanto essere rigettato.

3. Con il terzo motivo (violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio), la ricorrente deduce che la Corte di merito avrebbe ignorato risultanze istruttorie ed atti processuali che contraddicevano le conclusioni da essa raggiunte. Gli elementi indebitamente ignorati dalla Corte di merito sarebbero: a) le dichiarazioni spontanee rese da G.L. e risultanti dal verbale redatto dalla polizia giudiziaria in data 4 aprile 2003; b) le dichiarazioni rese dalla teste Le.Ti., nipote di G.L.M.; c) il contenuto delle querele sporte da quest’ultima il 31 marzo e il 4 aprile 2003.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Esso, infatti, sia nella parte in cui denuncia formalmente violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, sia nella parte in cui – invero con formula impropria, comprensiva della vecchia e della nuova formulazione della norma – denuncia formalmente omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, propone nella sostanza la rivalutazione di una serie di elementi istruttori per giungere ad un accertamento del fatto diverso da quello motivatamente fatto proprio dal giudice del merito.

Rammentato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U 07/04/2014, nn. 8053 e 8054), l’invocata rivalutazione delle prove deve ritenersi inammissibile, specie se si consideri, tra l’altro, che gli elementi indicati come indebitamente ignorati sono stati invece debitamente esaminati dal giudice di appello, sia pure nell’ambito di un’analisi generale, comprensiva di tutte le risultanze istruttorie emerse nel corso del giudizio penale.

La Corte di merito ha infatti considerato sia la versione dei fatti fornita da G.M. e dal di lei marito (alla stregua della quale G.L. avrebbe posto in essere la violazione dei sigilli in data 28 marzo 2003 e sarebbe poi tornata sul posto il giorno successivo) sia la diversa versione fornita dalla convenuta (la quale aveva invece riferito di essersi recata presso l’immobile sottoposto a sequestro solo in data 31 marzo 2003, allorchè i sigilli erano già stati violati, e di esservi tornata il 3 aprile successivo, quando aveva preso atto altresì di un tentativo di furto operato da ignoti), ed ha valutato tali contrastanti versioni alla luce tanto della documentazione fotografica acquisita quanto delle dichiarazioni rese nel corso dell’istruttoria penale dai testimoni disinteressati, concludendo che tali ulteriori risultanze istruttorie non consentivano di dirimere il contrasto.

La motivata valutazione complessiva delle prove svolta dalla Corte di appello non può essere rimessa in discussione in sede di legittimità, trattandosi di attività riservata al giudice del merito cui compete anche la scelta, tra le prove stesse, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499).

4. Con il quarto motivo (nullità della sentenza per erronea e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio) G.L.M. si duole che il giudice del merito abbia tenuto conto, per formare il proprio convincimento, della circostanza che essa aveva un interesse privato all’esito della causa omettendo di considerare la diversa circostanza che essa rivestiva l’ufficio di custode giudiziario dell’immobile sequestrato, da cui derivava il dovere di esercitare un’attenta vigilanza sullo stesso e di informare tempestivamente l’autorità giudiziaria in ipotesi di violazione dei sigilli ad esso apposti, pena la propria personale responsabilità.

4.1. Anche questo motivo è inammissibile, atteso che lo stesso, da un lato, torna ad invocare un inammissibile sindacato sulla sufficienza della motivazione; dall’altro lato, pur formalmente denunciando un vizio di nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, non si duole in realtà di una omessa pronuncia o di un’ultrapetizione, ma indulge ancora nella contestazione di una valutazione di merito, sul rilievo che la Corte territoriale avrebbe dovuto maggiormente valorizzare una circostanza fattuale in luogo di un’altra in funzione della formazione del suo convincimento.

5. Con il quinto motivo (Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 91 c.p.c., nonchè omessa, illogica, insufficiente ed erronea motivazione su punti decisivi della controversia), la ricorrente censura il capo della sentenza impugnata contenente la sua condanna al pagamento delle spese del giudizio di cassazione. Sostiene che tale condanna sarebbe illegittima in quanto il predetto giudizio non l’aveva vista soccombente essendosi concluso con una declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, mentre essa era risultata addirittura vittoriosa nei precedenti gradi di merito, in qualità di parte civile.

5.1. Il motivo è infondato.

L’azione civile risarcitoria, esercitata da G.L.M. dapprima davanti al giudice penale, mediante la costituzione di parte civile, e successivamente davanti al giudice civile competente per valore in grado di appello, a seguito dell’annullamento con rinvio pronunciato dalla Corte di cassazione, è stata ritenuta infondata ed è stata conseguentemente rigettata dalla Corte di appello.

Non vi è dubbio pertanto che, all’esito del giudizio di rinvio, la ricorrente fosse risultata soccombente con conseguente piena legittimità della sua condanna al rimborso, a favore della parte vittoriosa, delle spese dello stesso giudizio nonchè di quelle del precedente giudizio di legittimità (la decisione sulle quali era stata devoluta al giudice del rinvio dalla stessa Corte di cassazione), in piena conformità al disposto dell’art. 91 c.p.c..

6. In definitiva, il ricorso per cassazione proposto da G.L.M. deve essere rigettato.

7. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, comma 1-bis, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, il 3 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2017

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