Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16651 del 09/08/2016


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Cassazione civile sez. III, 09/08/2016, (ud. 26/05/2016, dep. 09/08/2016), n.16651

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27522-2014 proposto da:

G.P., G.F., A.A., G.A.

eredi di G.C., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

PORTUENSE 104, presso lo studio dell’avvocato ANTONIA DE ANGELIS,

rappresentati e difesi dagli avvocati FEDERICO GORI, M. ISABELLA

TORRIANI giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

G & D INVEST SRL in persona del legale rappresentante CLERI

DONATELLA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 45,

presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO SABBATANI SCHIUMA,

rappresentata e difesa dall’avvocato NATHAN GORDON SPICER giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

B & B SOCIETA’ AGRICOLA SRL, B & B INVEST SRL, B & B

INVEST DI BIANCHI VALTER E B.R., AGRIBI’ DI

B.V. E B.R. SNC,

C.A.V.S.A.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 244/2014 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 04/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/05/2016 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso

condanna alle spese, statuizioni sul C.U..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il presente giudizio perviene a seguito di precedente cassazione con rinvio con sentenza n. 1348 in data 07.11.2008/20.01.2009.

La sentenza cassata, pronunciata dalla Corte di appello di Ancona in data 21.06.2004 aveva confermato la sentenza del Tribunale di Pesaro dichiarativa dell’inammissibilità delle domande proposte da S.G. e da G.C. (cui sono subentrati in corso di causa, gli odierni ricorrenti ed eredi G.A., G.F., G.P., A.A.), volte ad ottenere il riscatto di un fondo agricolo in comune di (OMISSIS), già di proprietà C.A., che gli originari attori assumevano essere stato alienato alla Società G.L.M.G. dei Fratelli U. s.n.c. (cui oggi è subentrata a seguito di diverse vicende societarie la G & D Invest s.r.l.) in violazione del diritto di prelazione ad essi spettante.

In particolare la precedente sentenza di legittimità rigettò il ricorso di S.G. e, in accoglimento del ricorso degli altri ricorrenti, cassò la suddetta decisione relativamente alla posizione dei G. e della A., per non esservi stata una valida denuntiatio nei confronti di costoro.

In esito al giudizio di rinvio, la Corte di appello di Ancona, con sentenza in data 04.04.2014, n. 244, ha confermato nel merito la sentenza di primo grado, sia pure con argomentazioni diverse da quelle poste a fondamento della sentenza cassata, compensando, in parziale riforma, le spese del primo grado e quelle dell’intero giudizio.

Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione G.A., G.F., G.P., A.A., svolgendo quattro motivi.

Ha resistito la G. & D., depositando controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il giudice del rinvio, pur ritenendo, in conformità al principio di diritto enunciato nella sentenza di legittimità, che non vi fosse stata valida denuntiatio nei confronti degli odierni ricorrenti, è pervenuto alla conferma della statuizione di prime cure, per la considerazione che – come già evidenziato dal Tribunale e rimarcato dalla parte appellante in tutti i suoi scritti – non era stata fornita prova esauriente della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del diritto di prelazione, necessari ai fini del concretarsi del succedaneo diritto di riscatto. Ha, in particolare, evidenziato quanto ai requisiti soggettivi che:

la prova della qualità di coltivatore diretto era affidata ad alcune fatture, peraltro emesse tutte a ridosso della data di instaurazione del giudizio, di per sè insufficienti a dimostrare l’effettività e la manualità della relativa attività e neppure a provare che detta attività veniva svolta nella parte del terreno di proprietà dei G., confinante con la porzione del più ampio terreno compravenduto su cui si intendeva esercitare il riscatto;

non era stato fornito dai G.- A. (e neppure dalla c.t.u. disposta in prime cure) idoneo riscontro circa il requisito negativo della mancata vendita nel biennio precedente la prelazione; e ciò pur trattandosi di una prova sicuramente “non diabolica”, che poteva essere fornita con certificazione notarile e non già con gli atti sostitutivi di atto notorio allegati dalla parte istante per il riscatto;

anche le deduzioni in ordine alla consistenza dell’azienda agraria e alle capacità lavorative della famiglia rimanevano prive di riscontro, non risultando suffragate neppure dalla c.t.u.;

mentre, relativamente al requisito oggettivo della confinanza, la Corte territoriale ha precisato che essa deve intendersi come “contiguità fisica e materiale” per reciproco contatto, osservando che gli appellanti si erano limitati a produrre le visure catastali, attestanti peraltro una situazione di comproprietà tra G.C. e G.P., senza allegare l’unico documento idoneo ad assurgere a piena prova e anche il più ovvio, e, cioè l’atto di acquisto.

1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 1 e L. n. 817 del 1971, art. 7, art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per essersi la Corte di appello di Ancona astenuta dal vagliare gli atti istruttori di causa, per avere omesso di esaminare fatti decisivi per il giudizio (la c.t.u. e le altre risultanze istruttorie) e per essere, di riflesso, la pronuncia impugnata incoerente e sistematicamente incompatibile alla piattaforma documentale, certificativa e presuntiva acquisita in corso di giudizio. In particolare i ricorrenti deducono: che la qualità di coltivatore diretto di G.C. era stata verificata dal c.t.u. sulla base di certificazione rilasciata dal Servizio per i contributi agricoli unificati di Pesaro e risultava, altresì, dalle prove testimoniali, oltre ad essere avallata da numerosa copiosa documentazione; che la contiguità dei fondi risultava dalla deposizione P. e degli estratti di mappa cui aveva fatto riferimento la c.t.u.; che la mancata prova della vendita di fondi rustici nel biennio risultava dagli atti notori e dalle deposizioni dei testi P. e C.; che dalle deposizioni testimoniali e dalla c.t.u. si evinceva anche la conferma che i ricorrenti coltivavano almeno da due anni antecedenti al riscatto i terreni di cui erano proprietari.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per avere la Corte di appello omesso, anche di ufficio, l’indagine sulla verifica della sussistenza dei requisiti di retratto in capo al G., prerogative sulle quali il Tribunale di Pesaro si era di fatto astenuto, sul presupposto della pregiudiziale inammissibilità del riscatto per decadenza dall’esercizio della prelazione. Il motivo, per la verità è scarsamente comprensibile: si afferma che la Corte di appello si sarebbe astenuta dal compiere un’indagine sui presupposti della domanda di riscatto e non avrebbe, di fatto, pronunciato su tutta la domanda, perchè, pur recependo l’input della cassazione con rinvio, avrebbe poi bypassato l’istruttoria che necessariamente andava compiuta sui requisiti di legge.

1.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per avere la Corte di appello di Ancona omesso di vagliare e/o per essersi astenuta dal pronunciare sulla domanda di risarcimento azionata dagli eredi G. per il mancato reddito dall’annata agraria 1985 all’annata agraria 2008 per il non possesso di un terreno della superficie di ha. 18.66.16.. E ciò per non avere goduto G.C. (e poi i suoi eredi) del fondo di cui trattasi dall’esercizio del riscatto sino a tutta la durata del procedimento.

1.4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

2. Il ricorso, sotto plurimi profili al limite dell’inammissibilità, va rigettato.

2.1. Prima di ogni altra considerazione si osserva che tutti i motivi sono formalmente proposti anche in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 genericamente enunciando, ora un’insufficienza, ora un’incoerenza motivazionale, ora, ancora, e più in generale, un inadeguato apprezzamento del materiale istruttorio. Senonchè trattandosi di sentenza depositata in data 4 aprile 2014, l’intervento della S.C. sulla motivazione può ritenersi consentito solo nel caso di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, come previsto dalla norma novellata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b, convertito in L. n. 134 del 2012.

Va, infatti, ribadito che il ricorso per cassazione avverso una sentenza emessa a seguito di rinvio disposto a norma dell’art. 383 c.p.c. è disciplinato, quanto ai motivi deducibili, dalla legge temporalmente in vigore all’epoca della proposizione dell’impugnazione, in base al generale principio processuale tempus regit actum e a quello secondo cui il giudizio di rinvio, a seguito di cassazione, integra una nuova ed autonoma fase processuale di natura rescissoria. Da ciò consegue che, se la sentenza conclusiva del giudizio di rinvio è stata pubblicata dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, vale a dire dal giorno 11 settembre 2012, trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella nuova formulazione restrittiva introdotta dell’art. 54, comma 1, lett. b) suddetto d.l. (Cass. 18 dicembre 2014, n. 26654). Infatti non essendo stata prevista alcuna norma speciale che disciplini il ricorso per cassazione avverso una sentenza emessa a seguito di rinvio disposto dalla Corte di cassazione, questo è disciplinato quanto ai motivi deducibili dall’art. 360 c.p.c., vigente all’epoca della proposizione dell’impugnazione.

2.2. Si rammenta che i limiti di censura, connessi al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 risultano fissati dalle Sezioni Unite, nella prospettiva, conforme ai canoni fissati dall’art. 12 preleggi, della riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che risulta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Le Sezioni Unite hanno aggiunto che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo rinnovato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, determinerebbe un esito diverso della controversia), con la conseguenza che, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, ai fini della ammissibilità del vizio in questione, il ricorrente deve indicare il “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato” – testuale o extratestuale – da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.

Resta fermo che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. SS.UU. n. 19881/2014n. 8053/2014, n. 11025/2014).

2.3. Orbene le doglianze formulate con i motivi di ricorso esulano con evidenza dai canoni sopra enunciati e, segnatamente, quelle formulate con i primi due motivi profilano, piuttosto, una rivalutazione delle risultanze probatorie, in contrasto con un principio acquisito, anche con riferimento al testo ante novella dell’art. 360 c.p.c., n. 5, secondo cui il vizio motivazionale non può concretizzarsi nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove fornito dal Giudice di merito rispetto a quello prospettato dalla parte, dato che spetta solo all’organo giudicante individuare le fonti del proprio convincimento, sì da valutare le prove, controllandone l’attendibilità e scegliendo di dare prevalenza ad alcune rispetto alle altre.

Invero – data l’assoluta correttezza della impostazione in diritto assunta dalla Corte d’appello ed essendo stata l’effettiva esistenza dei requisiti di legge per il retratto espressamente contestata dalla convenuta – ne consegue che le argomentazioni con le quali nel ricorso si sostiene che la prova sarebbe stata data ampiamente, non superano la corretta ratio decidendi della Corte d’appello, risolvendosi in un’evidente sollecitazione ad un nuovo esame del merito; e ciò anche tralasciando i profili di inammissibilità conseguenti alla non autosufficienza del ricorso in ordine alle prove richieste, al contenuto della documentazione non valutata e delle deposizioni testimoniali assunte.

2.4. Va qui ribadito che, ai fini dell’utile esercizio del diritto di riscatto agrario, di cui alla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8 è onere del retraente fornire la prova delle relative condizioni oggettive e soggettive, e quindi altresì della qualità di coltivatore diretto, indipendentemente dal dato formale dell’iscrizione in elenchi o di altre certificazioni amministrative, nonchè del fatto negativo della mancata vendita di fondi rustici nel biennio precedente, prova, quest’ultima, che può essere data mediante l’allegazione di fatti positivi contrari, anche per mezzo di testimoni o di presunzioni (Cass. 22 marzo 2013, n. 7265).

Merita altresì puntualizzare che la questione della valenza probatoria della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà è stata risolta negativamente dalla Corte di appello, in termini, peraltro, conformi agli ultimi approdi della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. Unite, 29 maggio 2014, n. 12065); così come è principio acquisito e, correttamente applicato nel caso specifico, quello secondo cui ai fini dell’esercizio della prelazione da parte del proprietario confinante del fondo compravenduto ai sensi della L. n. 817 del 1971, è necessario non solo che lo stesso rivesta la qualifica di coltivatore diretto per essere dedito in concreto alla attività agricola, ma altresì che coltivi direttamente il fondo adiacente a quello posto in vendita, non essendo sufficiente che eserciti altrove l’attività di agricoltore. L’intento perseguito dal legislatore è, infatti, l’ampliamento dell’impresa coltivatrice diretta finitima, non già l’acquisto della proprietà della terra da parte di qualsiasi coltivatore diretto (Cass. civ. 27 gennaio 2010, n. 1712; Cass. civ. 16 marzo 2005, n. 5682; Cass. civ. 22 giugno 2001, n. 8595).

2.6. In definitiva, sotto nessuno dei profili denunciati, i primi due motivi di ricorso colgono nel segno; mentre il terzo è manifestamente infondato, atteso che la decisione, implicitamente negativa sulla domanda risarcitoria per il mancato godimento del fondo, consegue al rigetto della domanda di riscatto; infine l’ultimo motivo non può che seguire la sorte dei precedenti, non avendo i ricorrenti ragione di dolersi della compensazione delle spese del merito, in ragione del rigetto delle loro pretese.

3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014.

Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1,comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in 4.500,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge e contributo spese generali ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2016

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