Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16646 del 16/07/2010

Cassazione civile sez. III, 16/07/2010, (ud. 21/06/2010, dep. 16/07/2010), n.16646

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – rel. Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.P. (OMISSIS), M.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ACHILLE

PAPA 21, presso lo studio dell’avvocato GAMBERINI MONGENET RODOLFO,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato TRAVERSO SERGIO

giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

M.M.A. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GRADOLI 22, presso lo studio dell’avvocato

VAGNONI FEDERICO, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MORELLINI LINDA giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 336/2005 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

SEZIONE PRIMA CIVILE, emessa il 30/03/2005, depositata il 07/04/2005

R.G.N. 306/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/06/2010 dal Consigliere Dott. PREDEN Roberto;

udito l’Avvocato RODOLFO GAMBERINI MONGENET;

udito l’Avvocato FEDERICO VAGNONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 2.4.1992 M.F. e R. P. convenivano davanti al tribunale di Genova M.M. A. esponendo quanto segue: avevano proposto querela nei confronti del convenuto, assumendo di essere stati indotti, con artifici e raggiri, a rendersi conduttori di un appartamento di proprieta’ del medesimo, formalmente ad equo canone ma sostanzialmente a tempo indeterminato, e di aver effettuato nell’immobile rilevanti opere di miglioramento, confidando nella lunga durata del rapporto; il Pretore di Genova, con sentenza 9.6.1988, aveva condannato il M.A., per il reato di truffa, a pena detentiva e pecuniaria, ed altresi’ al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede, con provvisionale; in appello il reato era stato dichiarato estinto per amnistia, era stata revocata la provvisionale ma espressamente confermata la condanna generica.

Gli attori chiedevano la condanna del convenuto al risarcimento in loro favore dei danni patrimoniali, individuati nell’esborso di L. 935.976 per spese di manutenzione straordinaria anticipate per conto del convenuto e di L. 27.411.308 per lavori sostenuti per il miglioramento dell’immobile, nonche’ del danno morale, indicato in L. 70.000.000.

Il convenuto, costituitosi, sosteneva: che l’induzione in errore non era credibile in considerazione della qualifica professionale del M.; che gli interventi manutentivi effettuati erano dotati di utilita’ solo per i conduttori e non anche per il locatore il quale solo dopo l’esaurimento del rapporto e la riconsegna dell’immobile avrebbe potuto risultare tenuto all’indennita’ di cui all’art. 1592 c.c.; che l’immobile era stato restituito in cattive condizioni di manutenzione.

Veniva disposta ed espletata C.T.U. Il tribunale, con sentenza 3.7.2002, condannava il convenuto al risarcimento dei danni, patrimoniale e morale, liquidati nel complesso in Euro 5.917,00, oltre rivalutazione e interessi, ed al rimborso delle spese di lite.

Proponeva appello il M.A.. Gli attori resistevano e proponevano appello incidentale.

La Corte d’appello di Genova, con sentenza 7.4.2005, rigettava la domanda di risarcimento del danno patrimoniale; confermava l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno morale, in ragione di Euro 1.000,00 per ciascuno degli attori; dichiarava inammissibile l’appello incidentale; compensava le spese dei due gradi in ragione di 3/4 e condannava il M.A. al rimborso della restante quota.

Avverso la sentenza ricorrono gli attori.

Resiste con controricorso il M.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La sentenza impugnata ha svolto le seguenti considerazioni.

La Corte genovese, dopo aver richiamato il principio secondo cui la pronuncia di condanna generica al risarcimento del danno in sede penale integra un accertamento di potenziale idoneita’ del fatto – reato a produrre conseguenze pregiudizievoli a prescindere non solo dalla misura ma anche dalla stessa concreta esistenza del danno, con la conseguenza che il giudicato formatosi su detta pronuncia non osta a che nel giudizio instaurato per la liquidazione venga negato il fondamento della domanda risarcitoria alla stregua della constatazione che un danno risarcibile non si sia in effetti verificato, ha ritenuto che, nella specie, mentre era ravvisabile il giudicato sull’an debeatur, di guisa che la sussistenza degli estremi di una situazione tale da giustificare la condanna generica non poteva essere posta in discussione, restava aperta in sede civile la verifica delle conseguenze dannose concretamente apprezzabili, da valutare con riferimento alla disciplina del codice civile, dovendosi ritenere che l’illecito civile si e’ perfezionato al momento della riconsegna, e che il provento della truffa va considerato con riguardo al vantaggio che il locatore possa conseguire al momento della riconsegna in relazione agli interventi migliorativi effettuati dai conduttori.

Ha quindi rilevato che il C.T.U., in primo grado, ridimensionando le pretese degli attori, aveva accertato che i lavori manutentivi fatti eseguire dai coniugi M. attenevano in massima parte a normali operazioni per il riordino dell’appartamento per adattarlo alle necessita’ di arredo dei conduttori, mentre le migliorie ed addizioni effettivamente eseguite ammontavano a L. 1.250.000; che, all’atto della riconsegna, il risultato utile delle migliorie e addizioni ammontava a L. 87 0.000; che sempre al momento della riconsegna, le condizioni dell’immobile mettevano in evidenza la necessita’ di lavori di ripristino, il cui costo, al netto delle migliorie ed addizioni, aveva determinato in L. 3.750.000.

Ha conclusivamente affermato che, dovendo venire in considerazione, come eccepito dai convenuti, il degrado, ai sensi dell’art. 1592, c.c., comma 2, quale fattore compensativo dei miglioramenti, nessun credito poteva essere riconosciuto ai conduttori.

2. Il primo motivo denuncia nullita’ della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4 e/o violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione al denunziato vizio di ultra od extra petizione della pronuncia di secondo grado.

Sostengono i ricorrenti che l’oggetto della causa consisteva nella liquidazione dei danni subiti in conseguenza dell’illecito posto in essere dal M.A., consistenti nei lavori di ristrutturazione da essi eseguiti sulla base della falsa promessa che la locazione sarebbe stata a tempo indeterminato, per i quali il giudice penale, dichiarato estinto per amnistia il reato di truffa, aveva pronunciato sentenza di condanna generica divenuta definitiva; che le doglianze del convenuto, circa la natura delle opere e lo stato di degrado nel quale l’immobile era stato rilasciato, erano state disattese dal giudice di primo grado non essendo state proposte con riconvenzionale; che le ridette doglianze erano state riproposte con l’appello dal M.A. valorizzando le conclusioni del C.T.U., ed avevano trovato accoglimento da parte della Corte genovese, che in tal modo aveva pronunciato ultra petitum, poiche’ si trattava di questioni che non avevano costituito oggetto del thema decidendum di primo grado, concernente la determinazione dell’importo di tutti i lavori eseguiti dai conduttori, sul falso presupposto che la locazione si sarebbe protratta a tempo indeterminato, che dovevano essere risarciti a prescindere dal carattere di miglioria ed a prescindere dal degrado dell’immobile alla data del rilascio; che erroneamente la Corte d’appello aveva ritenuto la condanna generica pronunciata in sede penale in base alla ritenuta mera potenzialita’ dannosa del fatto – reato non preclusiva dell’accertamento, in sede civile, della effettiva esistenza del danno, trattandosi di principio inapplicabile nel caso in cui il giudice penale abbia accertato l’esistenza in concreto del danno (Cass. n. 329/2001).

2.1. Il motivo non e’ fondato.

La cogenza del giudicato penale costituito dalla condanna generica e’ stata limitata dalla Corte genovese, con riferimento al caso di specie, al solo profilo dell’an debeatur, spettando al giudizio di liquidazione l’accertamento del quantum. Infondatamente quindi i ricorrenti lamentano che il giudice di appello avrebbe ritenuto aperta la questione dell’esistenza del danno. Secondo la Corte in sede civile si doveva discutere soltanto della determinazione della misura del danno ed in tali limiti ha deciso.

Nessuno sconfinamento rispetto all’oggetto della lite, concernente come detto la liquidazione del quantum debeatur, e’ stato compiuto dal giudice di appello. A fronte della domanda di liquidazione del danno, costituito secondo gli attori dagli esborsi per opere che avevano eseguito confidando nella durata a tempo indeterminato del rapporto, il convenuto aveva svolto difese, incentrate sulla natura delle opere eseguite, non incompatibili con la ordinaria durata legale della locazione ad uso abitativo, e sullo stato di deterioramento dell’immobile alla riconsegna, disattese dal primo giudice in base all’erroneo assunto della necessita’ di una riconvenzionale, riproposte come motivo di appello ed accolte dalla Corte territoriale, che ha fatto proprie le conclusioni del C.T.U di primo grado circa la modesta consistenza degli interventi.

3. Con il secondo motivo, denunciando nullita’ della sentenza o del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4 e/o violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 1592 c.c., comma 2, all’art. 1575 c.c. e all’art. 1590 c.c., comma 3, sostengono i ricorrenti che erroneamente la Corte genovese ha ritenuto applicabile la compensazione tra valore dei miglioramenti e deterioramento dell’immobile ai sensi dell’art. 1592, c.c., comma 2, poiche’ doveva considerare che i miglioramenti effettuati dai conduttori non sarebbero mai stati eseguiti se non indotti dall’inganno posto in essere dal M.A..

3.1. Il motivo e’ infondato.

I ricorrenti non si curano di censurare il principio di diritto che sorregge la decisione della Corte territoriale, secondo cui la consistenza del danno doveva essere apprezzata con riferimento al perfezionamento dell’illecito, individuato non al momento della intimazione della disdetta, come affermato dal giudice penale, ma nel momento della riconsegna dell’immobile, dovendosi considerare il provento della truffa con riguardo al vantaggio conseguibile dal locatore in tale momento in relazione agli interventi migliorativi effettuati dai conduttori.

Fermo, perche’ non investito da censura, il detto criterio, non puo’ esserne contestata la concreta applicazione.

D’altra parte, va rilevato che la tesi dei ricorrenti, circa l’incompatibilita’ dei lavori, per costo e consistenza, con la durata legale del contratto ad equo canone, ha trovato smentita nella relazione del C.T.U., sulla quale si e’ basata la Corte genovese.

4. In conclusione il ricorso e’ rigettato.

5. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.900,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2010

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