Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16644 del 29/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 29/07/2011, (ud. 24/03/2011, dep. 29/07/2011), n.16644

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

s.r.l. VIAN, con sede in (OMISSIS), in

persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma alla Via Sabotino n. 2/A presso lo studio dell’avv. VULPETTI

Valetino che la rappresenta e difende, insieme con l’avv. MONTI

Angela (del Foro di Milano), in forza della “procura speciale in

calce” al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

AVVERSO la sentenza n. 18/49/07 depositata il 27 aprile 2007 dalla

Commissione Tributaria Regionale della Lombardia;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 24 marzo 2011

dal Cons. Dott. D’ALONZO Michele;

sentite le difese delle parti, perorate dall’avv. Angela MONTI, per

la ricorrente, e dall’avv. Alessia URBANI NERI (dell’Avvocatura

Generale dello Stato), per l’Agenzia;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato all’Agenzia delle Entrate, la s.r.l. VIAN – premesso che: (2) “all’epoca cui si riferiscono i fatti . . .

esercitava attività di costruzione di immobili residenziali da destinare alla vendita”; (2) “nel corso del 1987 aveva sottoscritto una serie di preliminari di vendita di villette . . . ancora in costruzione che prevedeva di realizzare in un periodo di tempo massimo di cinque anni”; (3) “in ragione del lungo periodo di tempo che sarebbe intercorso tra la data di stipula del compromesso e quello in cui gli immobili sarebbero stati pronti per essere …

venduti, alla stipula del compromesso i promissari acquirenti corrisposero ad essa VIAN una somma a titolo di caparra confirmatoria a garanzia della futura vendita”; (4) “tali somme” (“complessive L. 362.044.700”) “vennero dapprima depositate su un libretto al portatore e, successivamente, versate, in due soluzioni, sul conto corrente di essa società” (“il primo versamento di L. 79.100.000 venne effettuato in data 12 marzo 1988; il secondo di L. 282.-944.000 in data 26 marzo 1988”)) (4) “trattandosi di somme che non costituivano elementi positivi di reddito, le stesse vennero contabilizzate … nel bilancio relativo all’anno 1987 tra le voci passività ” (“precisamente, alla voce Caparre c/garanzia “) “nonchè sul libro giornale”; (5) “nei bilanci relativi agli anni successivi, nei quali vennero stipulati i contratti definitivi di vendita, siffatte somme vennero fatte afferire a conto economico e, pertanto, vennero assoggettate ad imposta quali componenti positivi di reddito (ricavi)”; (6) “con avviso di accertamento … notificato in data 6 agosto 1991” il competente Ufficio (sulla base dei “rilievi mossi dalla Guardia di Finanza …, la quale aveva ritenuto che da documentazione extracontabile rinvenuta presso la sede di essa società si sarebbero dovuti evincere “importi in nero già versati” anticipatamente alla vendita”) aveva “contestato la omessa contabilizzazione e, conseguentemente, la omessa dichiarazione di tali somme” (“L. 429.546.000”) “ai fini dell’IRPEG e dell’ILOR”; (7) “con sentenza n. 16470 del 16 aprile 2004” questa Corte “ha cassato” la decisione (“n. 378/59/00”) del giudice tributario di appello ad essa sfavorevole -, in forza di due motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 19/49/07 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (depositata il 27 aprile 2007) che, decidendo quale giudice del rinvio, aveva respinto il suo appello avverso la decisione (549/05/93) della Commissione Tributaria di primo grado di Sondrio la quale aveva disatteso l’impugnazione di detto “avviso”.

L’Agenzia intimata instava per il rigetto dell’avverso gravame.

La ricorrente depositava memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Commissione Tributaria Regionale – premesso che “secondo la …

contribuente”: (a) “le somme corrisposte e rinvenute dalla GdF nei manoscritti sarebbero da considerare a titolo di “caparra confirmatoria”, versate in occasione della sottoscrizione del preliminare di vendita e, quindi, non soggette all’obbligo della fatturazione”; (b) “… gli immobili oggetto della vendita sarebbero stati trasferiti solo in epoca successiva, per cui non dovrebbe ritenersi realizzato il presupposto impositivo di cui al D.P.R. n. 597 del 1973, art. 53, comma 3, lett. b)”; (c) “le somme in parola sarebbero state evidenziate come caparra confirmatoria sia nel libro giornale che nel bilancio di esercizio .. . , per cui sono state assoggettate a tassazione non alla data della loro corresponsione ma da quella della vendita definitiva” – ha respinto l’appello osservando:

– “dal PVC … emerge che sono stati rinvenuti fogli manoscritti che riporterebbero l’avvenuta esecuzione di operazioni di vendita”;

– “la circostanza non viene negata dalla società la quale afferma” (a) “di aver concluso meri preliminari di vendita, garantiti dal versamento di caparre confirmatorie” e (b) “di aver registrato quelle somme sul libro giornale e nel conto economico, per essere assoggettate ad imposta negli anni successivi”;

– “è da rilevare … che la contribuente non ha mai prodotto i contratti preliminare di vendita, dai quali sarebbe dovuto risultare il versamento delle caparre, e che …, in quanto attinenti a beni immobili, avrebbero dovuto assumere la forma scritta a pena di nullità, a mente dell’art. 1351 c.c.”;

– “inoltre, pur ravvisando la correttezza dell’imputazione delle somme incassate nel conto economico, a comprova che i corrispettivi conseguiti all’atto della stipula del compromesso andavano fatturati come acconti sulle future vendite, … il Collegio non può non rilevare che di tali somme non vi è traccia nei conti correnti e che, pur contabilizzate e riportate in bilancio, la registrazione sul libro giornale reca la data del 11 dicembre 1997 e cioè dopo la notifica del PVC (in data 9 dicembre 1997)”.

Secondo il giudice di appello “le considerazioni esposte offrono chiare indicazioni in ordine all’intento evasivo messo in atti dalla società, la quale si è adoperata a posteriori, cioè dopo la ricezione del verbale, per eliminare le irregolarità riscontrate”.

2. La contribuente censura la decisione per due motivi;

– con l’uno, denunzia “violazione e falsa applicazione … del combinato disposto dell’art. 384 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63” (“per non avere i giudici di rinvio fatto corretta applicazione del percorso logico-motivazionale fissato dalla Corte di Cassazione nella sentenza di rinvio”), con “conseguente . . . difetto di motivazione” “per avere i giudici di rinvio ribadito pedissequamente il percorso motivazionale oggetto di censura da parte della Suprema Corte nella sentenza di rinvio”), sintetizzate nei “quesiti” ex art. 366 bis c.p.c.:

(a) “se debba ritenersi viziata per violazione e falsa applicazione … del combinato disposto dell’art. 384 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63 la sentenza pronunciata nel giudizio di rinvio nella quale i giudici, chiamati a riesaminare i fatti di causa in ragione del principio di diritto fissato dalla Corte di Cassazione, sono pervenuti alle stesse conclusioni contenute nella sentenza cassata sulla base del medesimo percorso motivazionale oggetto di censura da parte della Suprema Corte” ;

(b) “se non debba ritenersi viziata da omessa ed insufficiente motivazione …la sentenza con la quale il giudice di rinvio ha omesso di riformulare le ragioni in fatto e in diritto che hanno determinato la decisione ripetendo pedissequamente l’iter logico motivazionale già svolto nella sentenza resa nel giudizio di appello e cassata per insufficiente e contraddittoria motivazione”;

– nell’altro, denunzia “violazione e falsa applicazione della norma … di cui all’art. 54 recte: D.P.R. n. 597 del 1973, art. 53, commi 1 e 3, che disciplina l’afferenza al reddito imponibile dei ricavi di impresa nonchè dell’art. 1385 c.c., in materia di caparra confirmatoria”, oltre che “correlata contraddittoria ed insufficiente motivazione”, racchiuse in questi “principi” ex art. 366 bis cit.:

(1) “se debba ritenersi viziata per violazione e falsa applicazione della norma … di cui al D.P.R. n. 597 del 1973, art. 54 recte: art. 53, commi 1 e 3, e dell’art. 1385 c.c., la sentenza pronunciata nel giudizio di rinvio nella quale i giudici di rinvio abbiano ritenuto di qualificare gli importi in discussione come acconti anzichè come caparre non apprezzando adeguatamente tutti gli elementi ritenuti decisivi dalla sentenza che ha disposto il rinvio agli effetti della predetta qualificazione”;

(2) “se debba ritenersi viziata la sentenza che … non abbia adeguatamente espresso le ragioni in base alle quali tali elementi, ritenuti decisivi dalla Corte di cassazione, non assumano invece rilevanza alcuna”.

3. Il ricorso deve essere respinto perchè infondato.

A. Nella decisione inter partes n. 16470 del 2004, invero, questa sezione che, diversamente da quanto e-sposto nel ricorso al punto (a) del primo “quesito” non ha affermato nessun “principio di diritto” (non avendo riscontrato nessuna delle violazioni previste dall’art. 360 c.p.c., n. 3) ma ha solo cassato la decisione di appello per uno dei vizi contemplati dal medesimo art. 360, n. 5 – esposto che la controversia riflette “maggior reddito imponibile ai fini IRPEG ed ILOR per l’anno 1987 di L. 421.255.000, in conseguenza di corrispettivi non contabilizzati nè dichiarati” – ha conclusivamente affermato di “ritenere in definitiva … che la sentenza ivi impugnata e cassata non presenti una motivazione adeguata …in ordine soprattutto alla natura delle somme incassate dalla società … ed alla riconducibilità delle stesse a ricavi dell’impresa, così come previsti dall’art. 53” (scilicet: “D.P.R. n. 597 del 1973, art. 53, comma 3, lett. b)”).

Per effetto di tanto – incontestabile ormai (per giudicato interno sul punto) l’avvenuta percezione, da parte della contribuente, nel detto anno d’imposta, della complessiva somma indicata nell’atto impositivo – l’oggetto del giudizio di rinvio, secondo detta sentenza, è dato dall’accertamento (1) della “natura” di quelle “somme incassate dalla società” e (2) della “riconducibilità delle stesse a ricavi dell’impresa” ex art. 53 detto.

B. Le posizioni delle parti relative alla “natura” delle somme in questione è così espressa dalla stessa società ricorrente: per l’Ufficio costituirebbero “”importi in nero già versati”; per essa contribuente, “”caparra confirmatoria a garanzia della futura vendita” sui contratti preliminari stipulati nell’anno d’imposta.

La delimitazione che precede si palesa fondamentale ai fini del riscontro della rilevanza di tutte le doglianze svolte dalla ricorrente: questa, infatti, come si evince dai riprodotti “quesiti”, in sostanza, lamenta che la sentenza impugnata sia affetta da un vizio motivazionale in ordine alla “natura” (“acconti anzichè …

caparre”) degli “importi in discussione” ma non contesta la mancata esibizione (anche agli organi verificatori) dei contratti preliminari nei quali sarebbe stata pattuita la corresponsione di quegli “importi” per il titolo (“caparre”) da essa affermato.

C. In proposito va evidenziato che la richiamata decisione inter partes di questa sezione, pur avendo indicato al punto b) la circostanza (“la società, che non contesta di aver incassato le somme accertate, afferma di aver concluso meri preliminari di vendita, garantiti dal versamento di caparre confirmatorie, ma non ha mai prodotto quegli atti a conferma del proprio assunto”), non ha rilevato nessun vizio (nè logico nè giuridico) in ordine alla valu- tazione, posta a base (anche) della decisione cassata, della mancata produzione (“non ha mai prodotto”) di contratti preliminari da parte della contribuente: discende che la considerazione, a fini probatori, di quella stessa omissione anche da parte del giudice del rinvio, non viola affatto il disposto dell’art. 384 c.p.c. perchè non oggetto di rilievo nella precedente sentenza di legittimità.

D. Il riscontro dell'”omessa produzione” in giudizio, da parte della contribuente, dei preliminari di vendita assume evidenza dirimente perchè inequivocabilmente significativa dell’impossibilità, per il giudice di appello:

(a) di operare l’indispensabile accertamento della inerenza delle “somme” indicate nei “manoscritti” rinvenuti dalla Guardia di Finanza, alla eventuale caparra convenuta nei preliminari e, quindi, di escludere che quelle “somme” costituissero, invece, somme ulteriori (“importi in nero”, cioè non riportati nelle scritture contabili), come affermato dall’Ufficio, nonchè (b) di accertare che proprio (od anche) quelle “somme” fossero comprese (come sostenuto dalla contribuente) nella “voce caparra/conto garanzia” di dette scritture.

Il punto decisivo della controversia – del tutto negletto dalla ricorrente – oggetto di accertamento da parte del giudice anche ed ancora in sede di rinvio, invero, come evidente (implicando necessariamente l’addebito della loro percezione “in nero” la sottrazione delle stesse ad imposizione fiscale), non era costituito tanto dall’individuazione (solo ulteriore posterius logico) della “natura” delle somme in contestazione ma dal preliminare (siccome necessario ed indefettibile antecedente, attese le contrastanti posizioni delle parti) riscontro della coincidenza (eventualmente anche parziale) di dette “somme” con quelle (che si assumono date a titolo di “caparra”) riportate come tali in contabilità.

Per effetto di tale rilievo tutte le considerazioni svolte dalla società si palesano ultronee perchè inidonee ad infirmare il (negativo, implicito) giudizio (eminentemente fattuale) espresso al riguardo dal giudice del merito, in ordine al quale non è stato dedotto nessuno dei vizi motivazionali passibili di censura (art. 360 c.p.c., n. 5) da parte di questo giudice di legittimità.

E. Dalle precedenti considerazioni discende la sostanziale inammissibilità della seconda censura perchè la violazione di legge denunziata nella stessa suppone di necessità logica l’accertamento, che nel caso (come esposto) è del tutto mancato, della natura di “caparra confirmatoria” delle specifiche “somme” indicate nei “manoscritti” richiamati innanzi.

4. Le spese di questo giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese processuali del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2011

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