Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16644 del 11/06/2021

Cassazione civile sez. I, 11/06/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 11/06/2021), n.16644

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12784/2020 proposto da:

S.D., elettivamente domiciliato in Corte di Cassazione

rappresentato e difeso dall’Avv.to Giuseppe Briganti, del Foro di

Urbino;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1273/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 14/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/03/2021 da Dott. MELONI MARINA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Ancona con sentenza in data 14/8/2019, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dal Tribunale di Ancona in ordine alle istanze avanzate da S.D. nato in (OMISSIS) volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di essere fuggito dal proprio paese a causa delle possibili ritorsioni del proprietario di un fondo vicino al suo al quale aveva incendiato il terreno senza volere a causa di un fuoco da lui acceso che si era propagato nella zona circostante.

La Corte di Appello di Ancona pur ritenendo credibile la narrazione del ricorrente, ha escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8, ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per la concessione della protezione sussidiaria, non emergendo elementi idonei a dimostrare che il ricorrente potesse essere sottoposto nel paese di origine a pena capitale, tortura o a trattamenti inumani o degradanti. Nel contempo il collegio di merito ha negato il ricorrere di uno stato di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale nel suo paese di provenienza nonchè una situazione di elevata vulnerabilità individuale in considerazione del lungo lasso di tempo trascorso dall’accaduto.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35,artt. 112,132,156,342 c.p.c., nonchè dell’art. 111 Cost., comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè la motivazione della sentenza impugnata è omessa o carente, in particolare, pur non mettendo in dubbio la credibilità non si indaga sulla situazione socio-economico-politica del Senegal.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. in particolare in ordine all’impossibilità di richiedere protezione alle autorità statali.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione sotto un terzo profilo, per violazione dell’art. 2 Cost., comma 10, artt. 3 e 32 Cost., L. n. 881 del 1977, art. 11 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 9, 10, 13, 27, 32 e art. 35 bis, comma 11 e dell’art. 16 della dir. n. 2013/32, nonchè degli artt. 2, 3 – anche in riferimento all’art. 115 e 117 c.p.c. – del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5, 6, 7 e 14 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2, per la ritenuta irrilevanza della credibilità del ricorrente e per la mancanza di un ruolo attivo del giudice del merito: poichè il Giudice si limitava a ritenere irrilevante la vicenda narrata, in quanto vicenda privata e di miglioramento socio-economico, senza argomentare in merito alle ragioni dell’asserita irrilevanza.

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 13 della convenzione EDU, dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 46 della dir. n. 2013/32, per mancato rispetto del principio di effettività del ricorso, in presenza della denunciata violazione del dovere di cooperazione istruttoria.

I motivi di ricorso, nei termini in cui sono stati formulati, risultano caratterizzati da vizio di assoluta assenza di specificità, in quanto non si confrontano in alcun modo con l’apparato argomentativo della sentenza, limitandosi ad affermazioni di carattere generale, quanto all’interpretazione delle norme pertinenti, e della giurisprudenza anche di merito, accompagnate da mere asserzioni riferite alla specifica situazione del Senegal.

In ordine al primo motivo in base alla costante giurisprudenza di legittimità, la motivazione apparente ricorre quando la motivazione, pur essendo graficamente e, quindi, materialmente, esistente, come parte del documento in cui consiste la sentenza o altro provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. U. 22 settembre 2014, n. 19881).

Con orientamento ormai consolidato e ribadito anche di recente, quindi, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dall’art. 111 Cost., sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio,nè alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., 14 febbraio 2020, n. 3819).

Nella fattispecie invece la Corte d’Appello ha motivato adeguatamente sul diniego della protezione richiesta e, pur ritenendo che le vicende riferite dal ricorrente fossero credibili, ha ritenuto altresì l’irrilevanza del narrato in quanto ha escluso l’esistenza di una situazione di pericolo legata alla vicenda individuale dell’istante. Deve quindi essere escluso che la motivazione si presenti al di sotto del minimo costituzionale, essendo chiaro il costante riferimento alle prove ed in particolare alle condizioni del paese di origine ed al racconto reso dal dichiarante, esclusa la motivazione meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti (Cass. 30 maggio 2019, n. 14762).

Anche la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica e, per conseguenza, priva di decisività. In ordine al dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per accertare la situazione oggettiva relativa al Paese di origine occorre considerare che il giudice territoriale non è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria in quanto pur avendo ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali della persona ha comunque indagato verificando, sulla base del rapporto internazionale indicato in motivazione e citando le fonti di informazione, che la situazioni del Senegal in generale e quella della zona di provenienza del ricorrente non comportano il rischio di un danno grave derivante da violenza indiscriminata.

Quanto alla sussistenza nella zona di provenienza del ricorrente di una fattispecie sussumibile nella previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la Corte ha adempiuto al proprio dovere di cooperazione istruttoria così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa alla zona di origine facendo riferimento alle notizie aggiornate risultanti da vari siti internazionali da cui ha evinto che non vi sono situazioni critiche di sicurezza e di ordine pubblico nel paese di provenienza del ricorrente nè un conflitto di livello così elevato da comportare per i civili, per la sola presenza nel territorio in questione, il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona.

Il secondo motivo è inammissibile in quanto nella fattispecie la Corte d’Appello ha motivato adeguatamente la decisione mentre il ricorrente non ha indicato qual è il fatto storico che il giudice ha omesso di esaminare.

Giova, invero, premettere che, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, oggetto del vizio di cui alla citata norma è oggi esclusivamente l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Il mancato esame, dunque, deve riguardare un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (Cass., 8 settembre 2016, n. 17761; Cass. 13 dicembre 2017, n. 29883), e non, invece, le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass., SU, 20 giugno 2018, n. 16303; Cass. 14 giugno 2017, n. 14802), oppure gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass., Sez. U.,7 aprile 2014, n. 8053). E’ utile rammentare, poi, che Cass., Sez. U, 7 aprile 2014, n. 8053, ha chiarito che “la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti. Se poi come fatto storico il ricorrente intende “la mancanza di protezione da parte degli organi statuali” genericamente menzionata è agevole osservare che non è stata menzionata o denunciata dal ricorrente come causa dell’abbandono del suo paese di origine non avendo il predetto, nel narrare la sua vicenda personale, mai fatto alcun riferimento ad una denuncia delle minacce subìte presentata alle forze dell’ordine e ad una loro risposta negativa alla sua ricerca di protezione.

Il terzo motivo di ricorso è inammissibile, poichè in esso vengono richiamate le norme menzionate in rubrica, ma non viene in alcun modo spiegato come e perchè la Corte le avrebbe violate, risolvendosi peraltro il motivo in un richiamo alle argomentazioni già svolte. Il ricorrente deduce la violazione di una pluralità di disposizioni normative, omettendo di precisare le affermazioni in diritto della sentenza che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie (o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità), genericamente richiamate nella intestazione del motivo, e senza ricondurre una specifica statuizione della sentenza alla violazione di una determinata norma, impedendo così alla Corte regolatrice di adempiere al suo compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

La censura in ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria si rileva infondata in quanto, oltre a censurare senza peraltro alcun riferimento alla situazione individuale l’accertamento di merito compiuto in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente, non indica alcun a altra ragione di vulnerabilità diversa da quelle già esaminate dalla Corte tenuto conto della disciplina antecedente al D.L. 4 ottobre 2018, n. 13, convertito nella L. 1 dicembre 2018, n. 132, non applicabile alla fattispecie non avendo tale normativa efficacia retroattiva secondo l’orientamento recentemente espresso da questa Corte (Cass. 19/2/2019 n. 4890).

Quanto poi al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo e dell’avvenuta integrazione dello straniero in Italia esso può essere valorizzato non come fattore esclusivo bensì come presupposto della protezione umanitaria e come circostanza che può concorrere a determinare una,situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa alla luce della valutazione comparativa espressa dal giudice di merito non risultando nemmeno allegata una situazione di integrazione del ricorrente nel nostro paese.

Per quanto sopra il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva.

Infine deve darsi atto che sussistono nella specie i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021

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