Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16643 del 29/07/2011

Cassazione civile sez. trib., 29/07/2011, (ud. 10/03/2011, dep. 29/07/2011), n.16643

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Presidente –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – est. Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliate in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che le rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO GARDEM PLAST BY KALEIDO S.P.A., in persona del curatore

pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, viale Mazzini n. 75,

presso lo studio dell’avv. Lorenzo Bianchi, rappresentato e difeso

dall’avv. PIAZZA GABRIELLO;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Campania, sez. 17^, n. 166 del 30 dicembre 2004;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10.3.2011 dal consigliere relatore Dott. Renato Polichetti;

udito, per la ricorrente, l’avvocato dello Stato Barbara Tidore;

udito, per il Fallimento controricorrente, l’avv. Gabriello Piazza;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Fallimento indicato in epigrafe propose ricorso avverso l’avviso, con il quale l’Ufficio aveva rettificato la dichiarazione iva resa dalla società in bonis per l’annualità 1991, disconoscendo, per mancanza d’idonea documentazione, detrazioni d’imposta di complessive L. 4.345.800.000 (di cui, peraltro, L. 868.220.000 riferibili a fatture per operazioni inesistenti emesse dalla società “cartiera” T.I.B. s.r.l.) e provvedendo ai correlativi recuperi ed all’irrogazione delle conseguenti sanzioni.

L’adita commissione tributaria respinse il ricorso, ma, in esito all’appello del Fallimento, la decisione fu, tuttavia, riformata dalla Commissione regionale, che annullò integralmente la rettifica.

I giudici di appello reputarono le detrazioni contestate sufficientemente comprovate dall’avvenuta esibizione, in sede di giudizio, di parte delle fatture controverse e del libro-giornale nonchè dal riscontro, a mezzo c.t.u., della concordanza dei predetti dati contabili con la dichiarazione. Rilevarono, infine, che l’effettività delle asserite operazioni inesistenti risultava confortata dalle allegate movimentazioni finanziarie.

Avverso la decisione di appello, l’Agenzia ha proposto ricorso per cassazione in tre motivi.

Il Fallimento ha resistito con controricorso, illustrando le proprie ragioni anche con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate – deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 25, D.P.R. n. 435 del 2001, art. 12, e L. n. 212 del 2000, art. 3, – censura la decisione impugnata per non aver considerato che, in base alla disciplina applicabile ratione temporis, la deducibilità dell’iva corrisposta sulle fatture passive è subordinata alla relativa annotazione sul registro degli acquisti, nella specie mancante.

Con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate – deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 54, e art. 2697 c.c. e ss., nonchè insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione – censura la decisione impugnata per non aver considerato che gli elementi emersi in sede di giudizio non fornivano prova adeguata della detraibilità dell’iva riportata sulle fatture contestate.

Con il terzo motivo di ricorso, l’agenzia delle Entrate – deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 21, e art. 2697 c.c., nonchè omessa, insufficiente ed illogica motivazione su punti decisivi della controversia – censura la decisione impugnata nella parte in cui ha annullato anche il recupero della somma di L. 868.220.000 relativa all’iva dedotta su fatture passive ritenute relative ad operazioni inesistenti, in quanto emesse da società “cartiera”.

Per la stretta connessione, i primi due motivi del ricorso dell’Agenzia possono essere congiuntamente esaminati.

In proposito, occorre osservare che, in tema di iva e con riguardo alla normativa applicabile ratione temporis alla fattispecie in rassegna, la detrazione dell’imposta versata per l’acquisizione di beni o servizi inerenti all’esercizio dell’impresa, prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, è subordinata, in caso di contestazione da parte dell’Ufficio, alla relativa prova, che deve essere fornita dal contribuente mediante produzione delle fatture e dell’apposito registro acquisti (di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 25), su cui dette fatture vanno annotate e alla cui omessa tenuta non può sopperirsi mediante l’annotazione in altri registri (cfr. Cass. 12913/08, 28333/05, 11109/03). Ne consegue che le detrazioni fatte valere in dichiarazione e che, tuttavia, non trovino compiuta rispondenza nel possesso da parte del contribuente delle fatture di riferimento e del predetto registro, sono legittimamente depennate dall’ufficio finanziario con accertamento in rettifica.

Alla luce di tale criterio, le doglianze dell’Agenzia si rivelano fondate, dovendosi convenire con la ricorrente che, attesa la mancata produzione del registro degli acquisti prescritto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 25, il giudice a quo, nonostante il l’avvenuta produzione di una parte delle fatture e del libro-giornale, avrebbe non di meno dovuto integralmente confermare la decisione di primo grado e la rettifica opposta.

Alla stregua delle considerazioni che precedono (e considerato, peraltro, che l’irregolare tenuta della contabilità comportava, comunque, inversione dell’onere della prova a carico della società contribuente) s’impone l’accoglimento del ricorso, con assorbimento del terzo motivo.

La sentenza impugnata va, dunque, cassata e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, ult. parte, va decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo del Fallimento.

Per la natura della controversia e tutte le implicazioni della fattispecie, si ravvisano le condizioni per disporre la compensazione delle spese dei gradi di merito e la condanna del Fallimento, in base al criterio della soccombenza, alla refusione alla controparte delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte: accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del Fallimento;

compensa le spese dei gradi di merito e condanna il Fallimento alla refusione delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 7.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2011

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