Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16643 del 09/08/2016

Cassazione civile sez. III, 09/08/2016, (ud. 30/03/2016, dep. 09/08/2016), n.16643

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. DE MARCHI ALBENGO Paolo Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28461-2013 proposto da:

K.D. (OMISSIS);

K.F. (OMISSIS);

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CONFALONIERI 5, presso lo

studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato LORENZO PICOTTI giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

S.V. (OMISSIS);

– intimato –

Nonchè da

S.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

POMPEO MAGNO 23/A, presso lo studio dell’avvocato GUIDO ROSSI, che

lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

K.D. (OMISSIS), K.F. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 991/2013 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 01/08/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/03/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;

udito l’Avvocato LORENZO PICOTTI;

udito l’Avvocato GUIDO ROSSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi;

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel (OMISSIS), K.D. e K.F. convennero in giudizio S.V. per sentirlo condannare al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, cagionati in conseguenza dei reati (violenza sessuale) commessi nei loro confronti dal convenuto, zio delle attrici.

Il Tribunale di Genova, con la sentenza numero 4303 del 10 dicembre 2007, rigettò la domanda delle attrici accogliendo l’eccezione di prescrizione sollevata da parte convenuta. Ha ritenuto il giudice di primo grado che il credito azionato dalle attrici si fosse prescritto poichè non era stata presentata querela dalle interessate, ed il termine di prescrizione non poteva essere quello previsto dal reato, 15 anni, ma quello ordinario previsto per gli illeciti civili.

2. La decisione è stata confermata, ma con diversa motivazione, dalla Corte d’Appello di Genova, con sentenza n. 991 del 1 agosto 2013. La Corte, dapprima, con sentenza non definitiva ha accolto l’appello ritenendo non prescritto il diritto azionato dalle sorelle K., ma poi decidendo nel merito ha ritenuto le risultanze istruttorie insufficienti per la prova dei fatti posti a fondamento della domanda.

3. Avverso tale decisione, K.D. e K.F. propongono ricorso in Cassazione sulla base di 7 motivi, illustrati da memoria.

3.1 Resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato S.V. Ha depositato anche memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo, le ricorrenti deducono “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, consistente nell’abuso sessuale continuativo, protrattosi per circa 10 anni nei confronti delle signorine K.F. e K.D., posto a fondamento delle domande risarcitoria svolte nei confronti dell’avv. S. (art. 360 c.p.c., n. 5)”.

Lamentano della Corte d’Appello ha errato perchè non ha considerato l’essenza dei fatti posti a fondamento della domanda risarcitoria, ossia l’abuso sessuale commesso ai danni di due minorenni e che si è protratto per anni. Il giudice del merito, invece, si è limitato a valutare il fatto non nella sua dimensione reale, ma a frammenti e conseguentemente non ha inquadrato il thema probandum. Trattandosi di abuso continuato per molti anni nei confronti di soggetti minori, è in re ipsa che non ci possa essere un ricordo preciso dei singoli episodi e che non si possa operare il vaglio probatorio con riguardo a fatti individuati autonomamente nel tempo. E’, invece, pacifico che dalle prove acquisite nel corso del processo è emersa l'”essenza” dell’abuso di cui sono state vittime le ricorrenti sin da bambine.

Il motivo è infondato.

Il giudice del merito non è incorso in nessuna delle violazioni addebitategli. Infatti, ha adeguatamente considerato i fatti contestati (gli abusi) nella loro pluralità esaminandoli prima singolarmente e poi valutandoli in modo complessivo.

Inoltre il motivo per quanto riguarda il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 è infondato, se non inammissibile, perchè trova applicazione, con riguardo ai motivi concernenti la denuncia di vizio di motivazione, l’art. 360 c.p.c., n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ai ricorsi proposti avverso provvedimenti depositati successivamente alla sua entrata in vigore (11 settembre 2012).

Il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., il n. 5) introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Scompare, invece, nella nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata e, accanto al vizio di omissione (che pur cambia in buona misura d’ambito e di spessore), non sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà.

Al riguardo, si ricorda il principio affermato dalle Sezioni Unite secondo cui la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5) “deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”” (cfr. Cass. civ., Sez. Unite, 22/09/2014, n. 19881).

Alla luce dell’enunciato principio, risulta che le ricorrenti non hanno rispettato i limiti di deducibilità del vizio motivazionale imposti dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4.2. Con il secondo motivo, denunciano “l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ossia che la consapevolezza dell’abuso da parte delle signorine K. è emersa solo dopo la terapia del dott. M., iniziata nel 1., e che essa ha immediatamente portato ad intraprendere le azioni legali nei confronti dell’avv. S. (art. 360 c.p.c., n. 5)”.

Le ricorrenti sostengono che la Corte d’Appello ha errato perchè avrebbe ritenuto che le dichiarazioni attoree non sarebbero intrinsecamente credibili per il lungo lasso di tempo trascorso tra i fatti e l’azione penale, e poi civile, intrapresa dalle ricorrenti. Ma, invece, sostengono le sorelle K., trattandosi di danni latenti occorre far riferimento al momento in cui il danno si manifesta all’esterno, divenendo quindi, oggettivamente percepibile e conoscibile dal danneggiato. Solo da tal momento, quello in cui cioè si percepisce di aver subito un danno ricondotto all’altrui condotta, si può far valere il diritto risarcitorio nei confronti dell’autore del danno. E secondo le ricorrenti tale momento si deve individuare nella terapia psicologica effettuata con il dott. M..

4.3. Con il terzo motivo, le ricorrenti lamentano “l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio per la decisione oggetto di discussione tra le parti, in relazione al fatto che la richiesta dell’avv. S. di mantenere il silenzio su quanto emerso sull’episodio del (OMISSIS) è affermata sia dalla signora K.M., sia dalla signora C.M.G. (art. 360 c.p.c., n. 5)”.

Si dolgono che la corte d’appello ha errato perchè ha ritenuto la testimonianza della signora K.M. non attendibile in quanto avrebbe solo riferito del silenzio omissivo dell’avvocato S. nell’episodio in cui ella recatasi nel suo studio gli contestò gli abusi riferiti da K.F. alla signora B..

Al contrario, come invece risulta dalla stessa sentenza, la signora K.M. non si limitò a riferire di un mero silenzio, ma dichiarò che l’avvocato chiese, d’accordo con la signora K., che “nessuno doveva sapere” quelle circostanze. Tale fatto è stato confermato anche dalla teste C.M.G..

Il secondo e terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente e sono entrambi infondati.

Anche in questo caso non si tratta di omissioni di valutazione di fatti decisivi, ma di valutazioni difformi da quelle volute dalle ricorrenti. Anche sul punto relativo “al silenzio” dell’avv. S. il giudice del merito, con dovizia di argomenti, ha motivato perchè non è stata considerata come confessione stragiudiziale.

E’ principio consolidato di questa Corte che con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente. L’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 7921/2011).

4.4. Con il quarto motivo, denunciano “la violazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2729 c.c. nella parte in cui ha omesso di considerare, ai fini della decisione, gli atti del processo penale instaurato dalle signorine K., con le denunce del (OMISSIS) ( K.F.) del (OMISSIS) ( K.D.), conclusosi con l’ordinanza di archiviazione del gip del tribunale di Genova del 15 gennaio 2003 per mancata proposizione di querela (art. 360 c.p.c., n. 4)”.

4.5. Con il quinto motivo, denunciano “La violazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2729 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha omesso di considerare, ai fini della decisione, gli atti del processo canonico relativo all’annullamento del matrimonio della signora K.F. (art. 360 c.p.c., n. 4)”.

Con il quarto e il quinto motivo, che possono essere trattati congiuntamente, parti ricorrenti lamentano che la corte d’appello avrebbe errato nel non valutare gli atti del processo penale e del processo canonico alla stregua di prove atipiche, pacificamente ammesse nel nostro ordinamento e soggette al libero convincimento del giudice. Omettendo così di valutare che il PM ed anche il gip avrebbero considerato attendibili, fidate e coerenti, le accuse delle odierne parti ricorrenti, oltre a quella della madre K.M. e quindi pienamente utilizzabili e probanti le loro testimonianze. Inoltre non hanno considerato che i giudici canonici hanno esperito una consulenza d’ufficio che avrebbe confermato la relazione dello psicologo.

Anche tali motivi sono infondati.

Il giudice del merito ha espressamente detto a pag. 10 della sentenza (punto 4.5 e 4.6) che per quanto riguarda il processo canonico era in atti solo il decreto di conferma della sentenza che ha dichiarato la nullità del matrimonio della signora K.F…. non essendoci invece le perizie che hanno condotto a tale decisione. Perizie che dovevano essere valutate direttamente dal giudice del merito e non attraverso la valutazione dei giudici canonici. Lo stesso vale per il processo penale dove non risultano agli atti attività istruttorie rilevanti utile ai fini del presente giudizio.

4.6. Con il sesto motivo, denunciano ” la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 132 c.p.c., anche in relazione all’art. 111 Cost., nella parte in cui ha ritenuto non attendibile la testimonianza della signora K.M. (art. 360 c.p.c., n. 4)”.

Con tale motivo le ricorrenti lamentano che nel contrasto tra la teste K.M. e la teste B. in relazione all’unico episodio specifico del quale è possibile ricercare riscontri oggettivi, e cioè i fatti del (OMISSIS), la corte di merito avrebbe concluso nel senso di attribuire maggiore credibilità alla teste B. sulla base di contraddittorie affermazioni consistenti, da un lato, nell’affermare possibile che la B. abbia taciuto la verità per convenienza sociale e contemporaneamente affermare che può comunque aver reso una testimonianza veritiera; dall’altro nel non aver tenuto conto, pur avendolo evidenziato, che le testi K.C. e C.M.G. avrebbero confermato che effettivamente la signora B. si recò, assieme alla signora K., dall’Avvocato S..

Anche tale motivo è infondato. Il giudice del merito ha fatto una valutazione complessiva delle prove, che come già detto per il secondo e terzo motivo, l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità

4.7. Con il settimo motivo, denunciano “la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 132 c.p.c., anche in relazione all’art. 111 Cost., nella parte in cui ha ritenuto non attendibile la testimonianza del dott. M.E., pretendendo di valutarla alla stregua di un consulente di ufficio (art. 360 c.p.p., n. 4)”.

Con l’ultimo motivo, lamentano che la corte territoriale ha errato perchè dopo aver riconosciuto esplicitamente che il ” M. è quindi credibile quando riferisce di aver ricevuto le dichiarazioni delle attrici” si contraddice palesemente perchè esclude la rilevanza probatoria della relazione psicologica da lui redatta in quanto non risponde ai requisiti di scientificità e specificità che vengono chiesti in giudizio per le consulenze tecniche.

Anche tale motivo è infondato. Il giudice effettua una valutazione della relazione del dott. M. ritenendola inidonea ad avere rilievo di prova perchè non solo è opinione di un terzo formatasi all’esterno del processo, ma anche all’estero ed in assenza di contraddittorio con il convenuto.

5. Il ricorso incidentale, con l’unico motivo relativo alla prescrizione delle pretese azionate dalle ricorrenti, è assorbito dal rigetto del ricorso principale.

6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

la Corte rigetta il ricorso, dichiara assorbito il ricorso incidentale, e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento a carico della parte ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2016

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