Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16640 del 05/07/2017
Cassazione civile, sez. VI, 05/07/2017, (ud. 02/03/2017, dep.05/07/2017), n. 16640
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17594/2015 proposto da:
M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI SANTA
COSTANZA 35, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO VITTUCCI, che
lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
S.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZA
DELLA LIBERTA’ 13, presso lo studio dell’avvocato PAOLO SCOPELLITI,
rappresentata e difesa dall’avvocato GIAMPAOLO BALAS;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 138/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,
depositata il 28/01/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata del 02/03/2017 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
che:
– nel 2010 S.A.M. convenne dinanzi al Tribunale de L’Aquila M.S., esponendo:
– di avere acquistato un immobile dal convenuto;
– che poco prima della vendita era stata già convocata un’assemblea condominiale al fine di deliberare l’esecuzione di lavori straordinari per un rilevante importo;
– tale circostanza le era stata taciuta dal venditore durante le trattative, sicchè dopo l’acquisto si era vista costretta a sostenere l’onere del pagamento di spese condominiali straordinarie;
– chiese pertanto la condanna dell’attore al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dei fatti sopra descritti;
– con sentenza 1 aprile 2014 n. 305, il Tribunale de L’Aquila accolse la domanda, condannando il convenuto a pagare ad S.A.M. la somma di Euro 6.653,38;
– la Corte d’appello de L’Aquila, adita dal soccombente, con sentenza 28 gennaio 2015 n. 138 rigettò il gravame;
– la sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da M.S., con ricorso fondato su un motivo ed illustrato da memoria; S.A.M. ha resistito con controricorso.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
– con l’unico complesso motivo di ricorso M.S. lamenta la “carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione”, nonchè la violazione dell’art. 1123 c.c.;
– nella illustrazione del motivo il ricorrente deduce in sostanza due ordini di censure: per un verso lamenta che erroneamente la Corte d’appello avrebbe confermato la sentenza di primo grado, nella parte in cui accolse la domanda attorea in assenza di valide prove; sotto altro aspetto lamenta che, essendo l’attrice proprietaria dell’immobile al momento in cui l’assemblea condominiale deliberò i lavori straordinari di rifacimento del tetto, la relativa obbligazione non poteva che gravare, ai sensi dell’art. 1123 c.c., sull’attrice stessa, e non poteva essergli accollata dal giudice di merito;
– il motivo è manifestamente inammissibile sotto più di un profilo:
(a) nella parte in cui lamenta la illogicità, contraddittorietà e carenza di motivazione, il motivo è inammissibile in quanto tali vizi, dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non sono più denunciabili in sede di legittimità, salvo il caso estremo di motivazione totalmente inesistente o totalmente inintelligibile, ipotesi non ricorrenti nel nostro caso;
(b) nella parte in cui lamenta l’erronea valutazione delle prove da parte del giudice di merito il motivo è manifestamente inammissibile, in quanto censura un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità;
(c) nella parte, infine, in cui lamenta la violazione dell’art. 1123 c.c., il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi: la Corte d’appello, infatti, ha affermato la responsabilità dell’odierno ricorrente non perchè titolare di una obbligazione propter rem, ma a titolo di responsabilità precontrattuale, ovvero per avere volontariamente sottaciuto all’acquirente l’esistenza di un ingente onere condominiale di prossima deliberazione; nessuna violazione dell’art. 1123 c.c., dunque, è stata commessa dalla corte d’appello, per la semplice ragione che tale norma non doveva essere (e non è stata) applicata al caso di specie;
– le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo;
– il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).
PQM
(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) condanna M.S. alla rifusione in favore di S.A.M. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 1.600, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di M.S. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione, il 2 marzo 2017.
Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2017