Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1664 del 26/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 26/01/2021, (ud. 28/10/2020, dep. 26/01/2021), n.1664

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13257/2019 R.G. proposto da:

G.E., (C.F. (OMISSIS)), rappresentato e difeso dall’Avv.

GIUSEPPE GRAZIANO, elettivamente domiciliato in Roma, Via A. Doria,

64/E;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio,

n. 7495/17/2018 depositata in data 29 ottobre 2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

del 28 ottobre 2020 dal Consigliere Relatore Filippo D’Aquino.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Il contribuente G.E. ha impugnato un avviso di accertamento relativo al periodo di imposta dell’anno 2008, con il quale erano stati recuperati a tassazione ai fini IRPEF e IRAP costi indebitamente dedotti ascrivibili a operazioni oggettivamente inesistenti, oltre interessi e sanzioni.

La CTP di Roma ha rigettato il ricorso e la CTR del Lazio, con sentenza in data 29 ottobre 2018, ha rigettato l’appello del contribuente.

Ha ritenuto la Commissione Regionale che l’avviso traeva origine dal riscontro di anomalie nella contabilità tali da impedire una corretta imputazione di costi e ricavi, emergendo in particolare, la ricezione di alcune fatture emesse da soggetti che avevano operato giroconti tali da annullare la posizione. Ha, pertanto, ritenuto il giudice di appello che l’operazione era inesistente a dispetto della registrazione della fattura, con conseguente non imputabilità del costo in quanto non certo, nè inerente. Ha, inoltre ritenuto il giudice di appello che il contribuente non ha dato prova di avere sostenuto i costi, anche in relazione alla antieconomicità della condotta commerciale del contribuente, non risultando tali costi collegati all’attività di impresa.

Propone ricorso per cassazione parte contribuente affidato a tre motivi; l’Ufficio intimato si è costituito con controricorso.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1 – Con il primo e puriarticolato motivo si deduce discrasia tra dispositivo e motivazione tale da comportare inesistenza giuridica della sentenza (da ascrivere alla censura di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), violazione dell’art. 115 c.p.c., violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. 29 settembre 1972, n. 600, artt. 38 e 39. Deduce il ricorrente che, a fronte di fatti principali non contestati, la sentenza sarebbe giunta a conclusioni errate, quali la antieconomica condotta commerciale, valorizzando fatti secondari quali anomalie della contabilità.

1.2 – Con il secondo motivo si deduce insufficienza e contraddittorietà della motivazione, non esplicitando la sentenza impugnata la ricostruzione dell’iter logico seguito dal giudice di appello, nè avrebbe adeguatamente risposto alle censure svolte in appello dal contribuente.

1.3 – Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2697 c.c., al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39, e al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, ritenendo che il giudice di appello non abbia adeguatamente valutato l’assoluzione dell’onere della prova gravante sulla amministrazione finanziaria.

2.1 – Il primo motivo è infondato quanto alla dedotta inesistenza della sentenza per discrasia tra dispositivo e motivazione, avendo il giudice di appello accertato che, dopo avere riscontrato una serie di anomalie contabili, l’Ufficio ha posto a fondamento della inesistenza dei costi l’insussistenza delle operazioni sottostanti l’emissione di fatture da parte di tre soggetti che “portavano a chiusura dell’esercizio a seguito di giroconti con l’annullamento totale della posizione debitoria”, da ciò deducendo la non certezza dei costi sostenuti dal contribuente per avere annotato le suddette fatture, essendo l’annotazione delle fatture atto meramente formale, aggiungendo che il contribuente non ha provato nè l’esistenza, nè l’inerenza dei costi.

2.2 – Il motivo è inammissibile quanto alla deduzione della violazione del principio di non contestazione, non avendo il contribuente indicato quali sarebbero i fatti non contestati e in che termini tali fatti dovrebbero considerarsi non contestati alla luce degli atti di causa. In ogni caso, l’accertamento della sussistenza di una contestazione (ovvero d’una non contestazione), rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, spetta al giudice del merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione (Cass., Sez. II, 28 ottobre 2019, n. 27490).

2.3 – Il motivo è ulteriormente inammissibile quanto alla dedotta violazione di legge, non avendo il ricorrente esplicitato le ragioni del dedotto vizio della sentenza sia in ordine alle parti della sentenza oggetto di impugnazione, sia in ordine alle argomentazioni.

3 – Il secondo motivo è infondato, posto che il ricorso per cassazione, stante la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è ammissibile in relazione all’omessa considerazione di un fatto storico, non essendo più consentito dedurre, al di fuori di tale deduzione, la mera insufficiente o contraddittorietà della motivazione (Cass., Sez. V, 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., Sez. V, 8 ottobre 2014, n. 21152); deduzione che, peraltro, deve essere fatta nel rispetto dell’art. 348-ter c.p.c., comma 5, indicandosi le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello (Cass., Sez. I, 22 dicembre 2016, n. 26774).

Nel caso di specie, non sussiste contraddittorietà della motivazione tale da integrare nullità della sentenza, avendo la stessa adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza della pretesa impositiva, consentendo la ricostruzione dell’iter logico-giuridico.

4 – Il terzo motivo è inammissibile, posto che il ricorrente allega una erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, il che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura non è consentita come violazione di legge ma sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass., Sez. VI, 12 ottobre 2017, n. 24054). Il che è reso evidente dalla deduzione della violazione dell’art. 2697 c.c., in cui non si deduce una apparente violazione di norme di legge, ma si mira alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass., Sez. VI, 4 aprile 2017, n. 8758), laddove la deduzione delle regole in materia di ripartizione dell’onere della prova attengono non alla valutazione del materiale istruttorio dal giudice di merito, ma all’utilizzo di prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali (Cass., Sez. VI, 17 gennaio 2019, n. 1229).

5 – Il ricorso va pertanto rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e con raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento degli ulteriori importi a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, se dovuti.

Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2021

 

 

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