Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16638 del 04/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/08/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 04/08/2020), n.16638

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8025-2015 R.G. proposto da:

F.D., rappresentato e difeso dall’Avv. Alberto Panunzi,

elettivamente domiciliato in Roma viale Pasteur n. 56;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale

dello Stato con domicilio in Roma via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

n. 4913/28/14depositata il 29 luglio 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7/11/2019 dal

Consigliere Catello Pandolfi.

 

Fatto

RILEVATO

F.D., titolare di un esercizio di caffetteria e bar, ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale n. 4913/28/14 deposita il 29 luglio 2014.

La vicenda tra origine dalla notifica dell’avviso di accertamento con cui l’Ufficio aveva provveduto alla rettifica della dichiarazione dei redditi d’impresa per l’anno 2005, con conseguenti maggiori imposte e incremento del volume d’affari ai fini IVA.

Il contribuente aveva opposto l’atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale che rigettava il ricorso. Non aveva diverso esito il successivo appello alla CTR, con la sentenza impugnata in questa sede, mediante il ricorso in esame, basato su di un unico motivo.

Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Dall’esame del ricorso si evince che lo stesso contribuente ripercorre i termini dei ricorsi innanzi alle commissioni territoriali e da tale excursus si desume l’inammissibilità del ricorso per le ragioni che seguono.

Infatti, con il primo motivo dell’opposizione innanzi alla CTP di Roma, il contribuente aveva contestato l’esito della attività accertativa, sulla premessa che l’accertamento si era basato sulla erronea dichiarazione resa da F.R., anziano padre del ricorrente, F.D., nella compilazione del questionario inviatogli dall’Ufficio.

In particolare, il dato corretto, relativo al quantitativo di caffè consumato nell’attività commerciale era quello – si sostiene – riportato nella fattura di acquisto pari a Kg. 537 e non quello di kg. 1.500, che ha indotto la procedura di rettifica del reddito d’impresa per l’anno 2005.

Altro motivo, pure dedotto dal contribuente in quella sede, riguardava la contestazione, mossa dall’Ufficio, circa indeducibilità della fattura n. (OMISSIS), relativa all’impiego di personale “esterno” per attività di supporto al servizio ai tavoli, il cui importo veniva disconosciuto dall’Ufficio in quanto non adeguatamente documentato, nè provata l’inerenza della spesa con l’attività dell’esercizio commerciale.

Tale la cornice posta dal ricorso di primo grado e replicata con quello d’appello. Ed infatti, coerentemente, le motivazioni rese dai giudici di merito avevano riguardato la mancata prova delle circostanze di fatto addotte per contestare la esattezza dell’accertamento.

Invece, il ricorso per cassazione è basato su di un unico motivo per violazione o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, artt. 12, comma 7; del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. D) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, ritenendo il contribuente la violazione del principio del contraddittorio e del diritto del contribuente alla difesa.

L’impugnativa, dunque, non contiene alcuna specifica censura coerente con la motivazione della decisione del giudice regionale, ma si risolve nella contestazione, in questa sede, di vizi procedurali in cui, a suo avviso, l’Amministrazione era incorsa. In tal modo, il ricorrente introduce una prospettazione del tutto nuova, non dedotta nei gradi di merito, derivandone l’inammissibilità dell’impugnativa.

All’inammissibilità segue la condanna del ricorrente alle spese liquidate come in dispositivo.

Ricorrono i presupposti per il versamento del c.d. “doppio contributo”.

P.Q.M.

Dichiara l’inammissibilità del ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese che liquida in Euro 4.100,00.

Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso introduttivo a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2020

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