Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16637 del 08/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 08/08/2016, (ud. 17/05/2016, dep. 08/08/2016), n.16637

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4837-2014 proposto da:

CORTE CONTI, C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

F.S., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA FOLIGNO 10, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO ERRANTE,

rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO BARRILE, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2981/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 17/12/2013, R.G. N. 2093/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2016 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

udito l’Avvocato MASSIMO BARRILE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza in data 5.12.2013 Corte di Appello di Palermo, per quanto oggi rileva, ha respinto il reclamo proposto dalla Corte dei Conti avverso la sentenza, pronunziata L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 57 che aveva respinto l’opposizione proposta nei confronti dell’ordinanza con la quale era stata dichiarata l’illegittimità del licenziamento disciplinare senza preavviso, In data 10/22.2.2012, irrogato al signor F.S. per l’invio di una certificazione medica falsa.

2. La Corte distrettuale ha affermato che:

il termine di cinque giorni, fissato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 3 per la trasmissione da parte del Responsabile della struttura, cui appartiene il lavoratore, all’Ufficio competente per il procedimento disciplinare (acronimo U.P.D), ha natura perentoria;

che, nella fattispecie, detto termine era stato violato, essendo emerso che, a fronte del certificato medico, giustificativo dell’assenza dal lavoro del F., pervenuto il 13.10.2011, la “relazione riservata” del responsabile della struttura di appartenenza del lavoratore era stata trasmessa all’U.P.D. solo in data 28.10.2011;

era pacifico ed incontestato che la responsabile della struttura di appartenenza del lavoratore aveva anche omesso, in violazione del D.Lgs. 165 del 2001, art. 55, comma 3, u.p. di comunicare al lavoratore la trasmissione degli atti all’U.P.D.; che anche tale omissione determinava illegittimità del procedimento disciplinare e della razione espulsiva, in ragione dell’interesse del lavoratore a conoscere i presupposti fattuali e documentali che avevano determinato l’avvio della procedura disciplinare;

trovava applicazione la tutela reintegratoria piena prevista della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 in quanto il licenziamento era stato adottato prima dell’entrata in vigore della L. n. 92 del 2012, che, nel prevedere l’applicabilità delle regole processuali introdotte dai commi da 47 a 66 dell’art. 1 alle impugnative dei licenziamenti effettuate successivamente alla sua entrata in vigore (18 luglio2012) nulla dispone quanto alla applicabilità della disciplina sostanziale contenuta nel riformato L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 in relazione ai licenziamenti adottati prima della sua entrata in vigore.

3. Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Corte dei Conti con tre motivi, successivamente illustrati da memoria. Resiste il F. con controricorso, successivamente illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I motivi del ricorso.

4. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs n. 165 del 2001, art. 55 bis, commi 1, 2, 3, 4, sostenendo che il termine di cinque giorni previsto dall’art. 55 bis, comma 3 non ha natura perentoria, diversamente da quanto previsto per i termini di cui ai commi 2 e 4 dello stesso art. 55 bis.

5. Assume che gli effetti decadenziali non potrebbero verificarsi in assenza di una espressa previsione di legge o di contratto e che, nella fattispecie dedotta in giudizio, i termini perentori, previsti per l’inizio e per la conclusione del procedimento disciplinare, sufficienti a garantire i diritti dell’incolpato, erano stati rispettati in quanto il provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare era stato comunicato al F. il 22.2.2012, nel termine di centoventi giorni (rimasto sospeso in esito alla richiesta del lavoratore di rinvio della sua audizione) decorrente dalla notizia del fatto addebitato.

6. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 3, ultima parte sostenendo che detta disposizione non è correlata da alcuna sanzione.

7. Deduce che la mancata comunicazione non aveva condizionato il diritto di difesa del F., il quale anche prima della trasmissione degli atti all’ufficio competente, nell’ambito della preistruttoria volta al chiarimento dei fatti, era stato informato della imminente attivazione del procedimento disciplinare ed aveva ammesso di avere compiuto I fatti addebitati.

8. Con il terzo motivo la ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, comma 6, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42, lett. b) sostenendo che, in applicazione del principio “tempus regit actum”, si deve riconoscere l’immediata applicabilità delle nuove disposizioni in tema di tutela sostanziale in tutti i giudizi proposti dopo l’entrata in vigore della richiamata – L. n. 92. Assume che la sentenza di questa Corte n. 10550/2013 non avrebbe;posto alcuna distinzione tra disciplina sostanziale e disciplina processuale contenuta – nella L. n. 92 del 2012.

9. Deduce, poi, che, avuto riguardo al carattere meramente formale delle violazioni che avevano portato alla pronuncia di illegittimità del licenziamento, la Corte territoriale avrebbe dovuto motivare, ai sensi del novellato art. 18, comma 6, le ragioni della quantificazione del risarcimento del danno in relazione alla minore o maggiore gravità delle violazioni riscontrate.

Le eccezioni di inammissibilità del ricorso formulate dal controricorrente.

Il controricorrente sostiene che il ricorso è inammissibile perchè:

a) non sarebbe stata censurata la statuizione in punto di violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 4 violazione eccepita da esso lavoratore per avere la dirigente responsabile della struttura, incompetente a contestare il fatto addebitato, convocato esso ricorrente il giorno 25.10.2011, prima della formale contestazione disciplinare da parte dell’U.P.D., e per averlo sentito sui fatti oggetto del successivo procedimento disciplinare senza l’assistenza di un difensore.

b) con il primo motivo di ricorso la Corte dei Conti, in violazione dell’art. 348-ter c.p.c., pur avendo formalmente denunciato, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, commi 1, 2, 3, 4 avrebbe, nella sostanza, richiesto il riesame delle risultanze istruttorie e fattuali per ottenere una valutazione diversa da quella operata dai giudici di merito in ordine alla individuazione della data in cui la responsabile della struttura aveva avuto cognizione della falsità del certificato medico giustificativo dell’assenza dal servizio e del termine finale di conclusione del procedimento.

10. L’eccezione sub a) è infondata.

11. Nella sentenza impugnata non si rinviene alcuna statuizione, e nessuna correlata argomentazione motivazionale, sull’ eccezione di nullità del licenziamento, formulata dal F. sul rilievo dell’avvenuta convocazione da parte di organo incompetente, e, della successiva audizione in assenza di difensore, in epoca precedente la formale contestazione disciplinare.

12. L’esame di detta questione, sottoposta dalla reclamante Corte dei Conti all’attenzione della Corte territoriale, per quanto si desume dalla sentenza impugnata (cfr. pg. 2, 4 capoverso), è rimasta assorbita, avendo la Corte ritenuto sufficiente per l’affermazione della illegittimità del licenziamento (cfr. punto 2 di questa sentenza) la – violazione del termine di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 3 cui è stata riconosciuta natura perentoria, e dell’obbligo, previsto nella stessa disposizione, di contestuale comunicazione dell’avvenuta trasmissione degli atti all’U.P.D., affermata come indispensabile per la piena esplicazione del diritto di difesa del lavoratore.

13. L’odierna ricorrente non era, dunque, tenuta a reiterare il motivo di reclamo rimasto assorbito, avuto riguardo al consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte che nega l’applicabilità del disposto dell’art. 346 c.p.c (Cass. 1566/2011, 3908/2000) ed afferma che non può formarsi giudicato su una questione esplicitamente dichiarata o implicitamente considerata assorbita dal giudice del merito (Cass. 9303/2012, 1566/2011, 18677/2011,26264/2005; Ord. 15583/2014).

14. Va anche considerato che le questioni considerate assorbite dal giudice del merito, esplicitamente o implicitamente, non possono essere proposte nel giudizio di cassazione, neanche mediante ricorso condizionato, difettando una implicita statuizione sfavorevole in ordine alle medesime, e va ribadito che le medesime possono essere riproposte e decise nell’eventuale giudizio di rinvio, in quanto la forza preclusiva della sentenza di cassazione ha per oggetto soltanto le questioni che costituiscono il presupposto necessario e logicamente inderogabile della pronunzia cassata (Cass. 1566/2011, 18677/2011, 26264/2005).

15. E’, del pari, infondata l’eccezione sub. b).

16. Il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis al caso in esame (la sentenza impugnata è stata pubblicata il 17.12.2013), ha riformulato (art. 54, comma 1, lett. b) l’art. 360 c.p.c., n. 5., riportando la norma sul vizio di motivazione, quasi letteralmente, al testo originario del codice di rito del 1940, ed ha introdotto (art. 54, comma 1, lett. a)), due ipotesi di esclusione del vizio motivazionale, accomunabili nel riferimento alla “minore” impugnabilità della c.d. doppia conforme, definite, rispettivamente, dal quarto e dal quinto comma dell’art. 348-ter c.p.c., introdotto dal citato D.L. n. 83 del 2012.

17. Un’ipotesi (art. 348-ter c.p.c., comma 4) riguarda il caso in cui il giudice di appello abbia dichiarato inammissibile l’impugnazione perchè sprovvista di una ragionevole probabilità di essere accolta, nel qual caso, quando l’inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione – proponibile per “saltum” avverso la sentenza di primo grado – può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4.

8. L’altra ipotesi deriva dall’estensione di questa disposizione al ricorso per cessazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado (art. 348-ter c.p.c., comma 5).

19. La nuova disposizione non trova applicazione nella fattispecie in esame in quanto la denuncia di violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis è riferita nel primo e nel secondo motivo di ricorso alle sole questioni di diritto che concernono la qualificazione del termine di cinque giorni previsto dal comma 3 di detta disposizione (primo motivo) e gli effetti della omessa comunicazione al lavoratore della avvenuta trasmissione degli atti all’U.P.D. (secondo motivo). Non si rinviene nè nella rubrica nè nelle argomentazioni dei primi due motivi di ricorso alcuna censura riferibile a vizi motivazionali.

Esame dei motivi.

20. Il primo ed il secondo motivo di ricorso, da scrutinarsi congiuntamente, in quanto correlati alla dedotta violazione delle norme di legge sul procedimento disciplinare, sono fondati.

21. Ad avviso del Collegio la ricostruzione del dato normativo, costituito dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 69 costituisce necessaria premessa per l’esame delle questioni sottoposte dal ricorso.

22. La regola della “competenza” caratterizza, come il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, nel testo antecedente le modifiche apportate dal citato decreto del 2009, l’intero impianto della nuova disposizione, che ripartisce, con previsione, in parte sovrapponibile al contenuto dell’originario art. 55, il potere disciplinare tra il responsabile della struttura avente qualifica dirigenziale (comma 1) e l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari – U.P.D. – (comma 4) in relazione alla gravità della sanzione, attribuendo al primo la competenza per le sanzioni di minore gravità (dal rimprovero scritto alla sospensione dal lavoro e dalla retribuzione sino a 10 giorni) ed al secondo quella per le sanzioni più gravi (dalla sospensione da 11 giorni a sei mesi al licenziamento).

23. Ad essa è affiancata una serie di disposizioni che regolano il procedimento (comma 2), secondo una disciplina che esclude, diversamente da quanto previsto nell’originario testo dell’art. 55, l’applicazione di termini diversi o ulteriori rispetto a quelli stabiliti per legge, ed introduce una sequenza di attività volte, nel complesso, ad assicurare tempestività di contestazione, contraddittorio, e celerità di definizione del procedimento disciplinare, secondo regole comuni (comma 4), quale che sia l’organo competente, salvo il raddoppio dei termini perentori nel caso di procedimento gestito dall’U.P.D.

24. In particolare, per gli illeciti disciplinari di maggiore gravità, imputabili al pubblico impiegato, come quelli che comportano il licenziamento, l’art. 55-bis contiene due previsioni: con la prima (comma 3), è imposto al dirigente della struttura amministrativa in cui presta servizio l’impiegato la trasmissione degli atti all’ufficio disciplinare “entro cinque giorni dalla notizia del fatto” e la contestuale comunicazione all’interessato; con la seconda (comma 4) si prescrive all’ufficio disciplinare la contestazione dell’ addebito al dipendente “con l’applicazione di un termine” pari al doppio di quello stabilito nel comma 2 (ossia quaranta giorni). Lo stesso comma 4 dispone che la violazione dei termini “di cui al presente comma” comporta per l’amministrazione la decadenza dal potere disciplinare.

25. La “ratio” della norma è da individuare, in primo luogo, ma solo per i procedimenti relativi a fatti puniti con sanzioni più severe, nella esigenza di assicurare al dipendente maggiori garanzie di “terzietà”, quali sono indubbiamente assicurate dall’U.P.D..

26. Ulteriore “ratio” dell’art. 55 bis è da individuare nell’esigenza di rendere più veloce l’esercizio del potere disciplinare, attraverso la previsione di regole che mettono in correlazione, funzionale e temporale, le attività e le fasi del procedimento, anche nei casi in cui queste si svolgano davanti ai due diversi organi individuati come “competenti”, tant’è che il termine di 120 giorni per la conclusione del procedimento gestito dall’U.P.D. viene fatto decorrere dalla data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione, “anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora”.

27. Questa Corte territoriale ha già precisato, con riguardo a fattispecie ricadenti nell’ambito del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 nel testo originario vigente prima della riforma attuata con il D.Lgs. n. 150 del 2009, che i termini per segnalare il fatto illecito all’ufficio per i procedimenti disciplinari (ex art. 24, comma 4, CCNL comparto Ministeri) e per contestare l’addebito (20 giorni, art. 24, comma 2, CCNL cit.) dovessero reputarsi ordinatori, e non perentori e che la loro inosservanza non comportasse un vizio della sanzione finale. Tanto sul rilievo che, in un assetto disciplinare contrattualizzato, gli effetti decadenziali non possono verificarsi in mancanza di una espressa previsione normativa o negoziale che preveda detti effetti (Cass. 6091/2010, 5637/2009, 20654/2007, 23900/2004). Il principio è stato, da ultimo, ribadito nella decisione n. 24529 del 2015, sempre con riferimento all’art. 24, comma 2, del CCNL del compatto Ministeri del 16 maggio 1995.

28. Successivamente, e con riguardo a fattispecie, quale quella in esame, disciplinata “ratione temporis” dall’art. 55 bis, questa Corte, nella sentenza n. 17153 del 2015, ha affermato che ” Per gli illeciti disciplinari di maggiore gravità, imputabili al pubblico impiegato, come quelli che comportano il licenziamento, l’art. 55-bis contiene due previsioni: con la prima (comma 3) è imposto al dirigente della struttura amministrativa in cui presta servizio l’impiegato la trasmissione degli atti all’ufficio disciplinare “entro cinque giorni dalla notizia del fatto”; con la seconda (comma 4) si prescrive all’ufficio disciplinare la contestazione dell’addebito al dipendente “con l’applicazione di un termine” pari al doppio di quello stabilito nel comma 2 (ossia quaranta giorni). Lo stesso comma 4 dice che la violazione dei termini “di cui al presente comma” comporta per l’amministrazione la decadenza dal potere disciplinare. E’ evidente perciò che la decadenza sanziona soltanto l’inosservanza del termine oggetto della seconda previsione, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente”.

29. A detto orientamento questo Collegio ritiene di dare continuità e aggiunge l’ulteriore considerazione che la fase delineata dal comma tre non costituisce ancora avvio del procedimento, come è confermato dalla distinzione operata dalla disposizione in esame tra la “trasmissione”, atto interno non avente rilievo disciplinare vero e proprio, e la “contestazione” costituente, invece, primo atto del procedimento disciplinare (Cass. 2168/2004).

30. Va, inoltre, escluso che la affermata natura ordinatoria del termine di cui al comma 3 del citato art. 55-bis vulneri le esigenze di celerità del procedimento funzionali alla difesa del lavoratore incolpato, perchè queste ultime sono garantite dal fatto che, ai sensi del comma 4 dell’art. 55-bis “la decorrenza del termine per la conclusione del procedimento resta comunque fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell’infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora”.

31. Sulla scorta delle considerazioni svolte e in continuità con l’indirizzo giurisprudenziale espresso nella già citata sentenza di questa Corte n. 1781 del 2015, deve, quindi, affermarsi il seguente principio di diritto: “In tema di Illeciti disciplinari di maggiore gravità imputabili al pubblico impiegato, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 3, nel disciplinare i tempi della contestazione, impone al dirigente della struttura amministrativa di trasmettere, entro cinque giorni dalla notizia del fatto, gli atti all’ufficio disciplinare e prescrive a quest’ultimo, a pena di decadenza, di contestare l’addebito entro il termine di giorni 40 dalla ricezione degli atti. Va escluso che l’inosservanza del primo termine, che assolve ad una funzione sollecitatoria, comporti, di per sè, l’illegittimità della sanzione inflitta, assumendo rilievo la sua violazione solo allorchè la trasmissione degli atti venga ritardata in misura tale da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o tardiva la contestazione dell’illecito”.

32. L’ultima parte del comma 3 del citato art. 55 -bis dispone che il responsabile della struttura, alla quale è addetto il pubblico dipendente, quando trasmette gli atti relativi al fatto disciplinarmente rilevante, ne dà “contestuale comunicazione all’interessato”.

33. A giudizio del Collegio, gli effetti dell’eventuale omissione di tale adempimento non si riverberano sul procedimento disciplinare e sul suo svolgimento, che prosegue regolarmente, in quanto la comunicazione “all’interessato” ha una funzione meramente informativa, senza alcun pregiudizio per le garanzie difensive, che vengono in considerazione solo se ed in quanto venga avviato, dall’organo competente, il vero e proprio procedimento disciplinare.

34. Al riguardo va rilevato che la norma non contiene alcuna previsione sanzionatoria in relazione ai casi in cui la comunicazione al lavoratore sia stata omessa e che manca qualsiasi espressione che ricostruisca l’adempimento come cogente, non essendo esso costruito in termini di “obbligo”; obbligo che non sarebbe nemmeno configurabile atteso che tutto il materiale relativo alla “notizia” del fatto disciplinarmente refluisce nella contestazione.

35. Nessun pregiudizio dei diritti di difesa del sottoposto a procedimento disciplinare potrebbe, dunque, derivare dall’eventuale mancanza della comunicazione preliminare informativa da parte del soggetto che vi è tenuto, ove si consideri che il lavoratore, nei cui confronti sia, poi, avviato il procedimento disciplinare, ha il diritto di accedere agli atti istruttori, anche per potere verificare il rispetto dei termini perentori, come è espressamente previsto dall’art. 55 bis, comma 5, u.p. (“Il dipendente ha diritto di accesso agli atti istruttori riguardanti il procedimento”).

36. Sulla scorta delle considerazioni svolte deve affermarsi il seguente principio di diritto:” In tema di illeciti disciplinari di maggiore gravità imputabili al pubblico impiegato, la comunicazione all’ interessato della trasmissione degli atti da parte del responsabile della struttura all’U.P.D., prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 3, ha una funzione meramente informativa, sicchè gli effetti dell’eventuale omissione di tale adempimento non si riverberano sul procedimento disciplinare e sul suo svolgimento, che prosegue regolarmente”.

37. Sulla scorta delle considerazioni svolte, vanno accolti il primo ed il secondo motivo di ricorso e la sentenza impugnata, che ha seguito una un’interpretazione difforme dai principi sopra enunciati, va cassata.

38. Non può procedersi alla decisione nel merito, dovendo essere riesaminati i fatti di causa alla stregua dei principi suddetti e non essendo possibile escludere, sulla scorta degli atti del giudizio di cassazione, l’esistenza di questioni o eccezioni rimaste assorbite nella decisione accolta dalla Corte distrettuale, suscettibili di riproposizione nel giudizio di rinvio, ove non precluse da giudicato interno.

39. Il terzo motivo di ricorso muove dalla ritenuta applicabilità al rapporto di pubblico impiego contrattualizzato della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 come modificato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42, lett. b) applicabilità esclusa solo “ratione temporis” dalla Corte territoriale, sul rilievo che il licenziamento era stato adottato in epoca precedente l’entrata in vigore della L. n. 92 del 2012.

40. Occorre premettere, che in ragione della funzione del giudizio di legittimità di garantire l’osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonchè sulla base del principio generale desumibile dall’art. 384 c.p.c., deve ritenersi che, nell’esercizio del potere di qualificazione in diritto dei fatti, la Corte di cassazione può ritenere fondata o infondata la questione, sollevata dal ricorso, per una ragione giuridica diversa da quella specificamente prospettata dalle parti e della quale si è discusso nei gradi di merito, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti esposti nel ricorso per cassazione, principale o incidentale, e nella stessa sentenza impugnata e fermo restando che l’esercizio dei potere di qualificazione non deve confliggere con il principio del monopolio della parte nell’esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto (in tal senso Cass. 14.2.2014 n. 3437; Cass. 17.4.2007 n. 9143; Cass. 29.9.2005 n. 19132).

41. Tanto precisato, il motivo in esame è infondato, per ragioni diverse da quelle)’ dedotte dalla ricorrente, in quanto, in continuità con il principio appena formulato da questa Corte nella decisione n. 11868 del 2016, deve ribadirsi il principio secondo cui “Ai rapporti di lavoro disciplinati dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 2, non si applicano le modifiche apportate dalla L. 28 giugno 2012, n. 92 alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, per cui la tutela del dipendente pubblico, anche in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva alla entrata in vigore della richiamata L. n. 92 del 2012, resta quella prevista dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 nel testo antecedente alla riforma”.

42. In conclusione, sulla scorta delle considerazioni svolte, vanno accolti primo ed il secondo motivo di ricorso, e va rigettato il terzo motivo di ricorso; la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame delle questioni ancora controverse, e pronuncerà anche sulle spese del giudizio di legittimità, attenendosi ai principi di diritto enunciati ai punti 31, 36 di questa sentenza, e che è opportuno in appresso reiterare:

43. “In tema di illeciti disciplinari di maggiore gravità imputabili al pubblico impiegato, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 bis, comma 3, nel disciplinare i tempi della contestazione, impone al dirigente della struttura amministrativa di trasmettere, entro cinque giorni dalla notizia del fatto, gli atti all’ufficio disciplinare e prescrive a quest’ultimo, a pena di decadenza, di contestare l’addebito entro il termine di giorni 40 dalla ricezione degli atti. Va escluso che l’inosservanza del primo termine, che assolve ad una funzione sollecitatoria, comporti, di per sè, l’illegittimità della sanzione inflitta, assumendo rilievo la sua violazione solo allorchè la trasmissione degli atti venga ritardata in misura tale da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o tardiva la contestazione dell’illecito”.

44. “In tema di illeciti disciplinari di maggiore gravità imputabili al pubblico impiegato, la comunicazione all’ interessato della trasmissione degli atti da parte del responsabile della struttura all’U.P.D., prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, comma 3, ha una funzione meramente informativa, sicchè gli effetti dell’eventuale omissione di tale adempimento non si riverberano sul procedimento disciplinare e sul suo svolgimento, che prosegue regolarmente”.

PQM

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso.

Rigetta il terzo motivo.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia, in relazione ai motivi accolti, alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2016

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