Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16636 del 03/07/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 16636 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: GIUSTI ALBERTO

contratti

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

BOLOGNINI Marta, rappresentata e difesa, in forza di procura
speciale a margine del ricorso, dagli Avv. Giorgio Aguglia,
Claudio Consolo e Guido Alpa, elettivamente domiciliata nello
studio di quest’ultimo in Roma, via B. Cairoli, n. 6;
– ricorrente contro
SAPEL s.r.1., in persona del presidente del consiglio di amministrazione, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv. Marcello Marcuccio, Giuseppe Trisorio Liuzzi e Giovanni Axieta, elettivamente
domiciliata nello studio di quest’ultimo in Roma, viale Carso,
n. 71;

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Data pubblicazione: 03/07/2013

- controricorrente avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce depositata
in data 4 dicembre 2006.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udien-

Giusti;
uditi gli Avv. Marco Mamoli, per delega dell’Avv. Claudio
Consolo, e Giuseppe Trisorio Liuzzi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Sergio Del Core, il quale ha concluso
per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
l. – Deliberato dall’assemblea dei soci il 30 giugno 1980
lo scioglimento anticipato della SAPEL – Società Azionaria
Pubblici Esercizi Leccesi – s.p.a. e nominato un comitato di
tre liquidatori, questo – fatta eseguire una analitica relazione di stima di tutto il patrimonio immobiliare della società, dopo avere avviato, senza esito, i primi tentativi di alienazione “in blocco” – fu autorizzato, nella sede assembleare del 7 settembre 1981, ad incaricare un’agenzia immobiliare
per tentare, ancora una volta, la vendita dell’intero cespite
in un’unica soluzione, e, in ipotesi di esito negativo, a vendere per singole porzioni l’immobile sulla base della relazione di stima redatta dall’ing. Ostuni, garantendo la prelazione
dei soci.

za del 15 maggio 2013 dal Consigliere relatore Dott. Alberto

Una volta rispettato il diritto di prelazione degli inquilini (avviso di vendita del 10 giugno 1982), il comitato, con
comunicazione del 27 settembre 1982, nell’indire l’assemblea
per i giorni 28-29 ottobre 1982, una volta rese note le unità

parte dei conduttori, formulò la seguente proposta: “I signori
soci . . sono tenuti a far conoscere, per lettera raccomandata indirizzata ai liquidatori da far pervenire entro il 25
ottobre 1982, le proprie determinazioni nell’esercizio delle
facoltà riconosciute ai soci con delibera assembleare del 7
settembre 1981. Il mancato riscontro si intenderà come rinunzia. Il comitato subordina ogni determinazione alla condizione
che pervengano offerte di acquisto in numero, modalità e termini tali da ‘coprire’ il complesso nella sua interezza, libero comunque di esaminare e vagliare le offerte nella loro distinta autonomia e nei loro reciproci rapporti. Salvo, peraltro, la osservanza delle norme di cui alla legge n. 392 del
1978 (prelazione degli inquilini)”.
La socia Marta Bolognini, per il tramite del suo procuratore ad negotia, con lettera del 23 ottobre 1982, dichiarò di
accettare la proposta di vendita, ai prezzi fissati, delle unità immobiliari indicate nella relazione di stima con i nn.
16 – ex Pensione “Massimo” – e 35 – “Salone” -.
Nella convocata assemblea di soci del 29 ottobre 1982, prorogato il mandato dei liquidatori, fu approvata la loro propo-

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immobiliari che erano residuate per mancanza di offerte da

sta di aggiornare i prezzi stimati sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione di un fabbricato residenziale;
si prese atto che il 25 ottobre precedente era cessata la riserva espressa in favore dei soci e, di conseguenza, si dette

rispettando le sole prelazioni previste dalla legge sull’equo
canone; si autorizzò il comitato a concludere trattative di
acquisto da parte di inquilini e soci, anche per persona da
nominare, purché la persona nominata, se fisica, risultasse
legata da parentela o affinità con il socio o inquilino acquirente, e, se giuridica, risultasse che il proprio capitale sociale appartenesse per almeno il 33% al socio o inquilino acquirente o ai lori parenti o affini; si aprirono, infine, le
buste contenenti le offerte di acquisto pervenute, con le quali non si raggiungeva il divisato scopo di alienare il complesso immobiliare nella sua interezza.
Dopo di che i liquidatori intrapresero la stipulazione di
vendite di singoli cespiti ed il loro operato venne approvato
dall’assemblea tenuta il 28 giugno 1983.
2. – Con atto di citazione notificato il 29 settembre 1983
Marta Bolognini convenne in giudizio la s.p.a. SAPEL per sentir dichiarare concluso tra essa attrice e la convenuta, sulla
base della proposta del comitato del 27 settembre 1982 e della
sua accettazione del 23 ottobre successivo, il contratto di
compravendita delle unità immobiliari (la ex Pensione “Massi-

mandato al comitato dei liquidatori di operare, per il futuro,

mo” ed il “Salone”) site in Lecce alla via Marconi, per sentir
convalidare la sua offerta reale del relativo prezzo e per
conseguire il trasferimento della proprietà di dette unità immobiliari.

della domanda dell’attrice.
3. – L’adito tribunale di Lecce, con sentenza in data 2
marzo 1998, rigettò la domanda, rilevando che la lettera del
comitato dei liquidatori del 27 settembre 1982 conteneva una
vera e propria proposta di vendita, ma sottoposta alla condizione che entro il 25 ottobre successivo fossero pervenute accettazioni che avessero interessato tutto il complesso immobiliare, condizione che non si era verificata, onde quella proposta era rimasta senza effetto.
Avverso detta pronuncia la Bolognini propose gravame, sostenendo che la proposta contrattuale non era assoggettata ad
alcuna condizione che avesse dovuto avverarsi entro un certo
termine, perché la data del 25 ottobre 1982 si riferiva esclusivamente all’invio delle accettazioni da parte dei soci, e
che la condizione, ove ravvisata, era stata comunque rinunciata dalla società proponente con successivo comportamento concludente.
La Corte d’appello di Lecce respinse l’impugnazione con
sentenza del 6 aprile 2001, osservando che, pur se la motivazione del Tribunale era lacunosa ed in parte errata, tuttavia

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La società SAPEL, costituitasi, sostenne l’infondatezza

le conclusioni cui era pervenuto il giudice di primo grado andavano condivise, e che che il Tribunale aveva errato nel considerare alla stregua di una compiuta proposta contrattuale la
missiva degli amministratori della società appellata del 27

ricollegare alla proposta, e non al contratto eventualmente
concluso, la condizione che entro il termine del 25 ottobre
1982 fossero pervenute accettazioni in numero tale da coprire
tutto il complesso immobiliare di proprietà della SAPEL e che
fosse comunque rispettata la prelazione a favore dei conduttori.
4. – Questa Corte, con sentenza n. 15744 depositata il 13
agosto 2004, in accoglimento del primo motivo di doglianza
(rimasto assorbito il secondo, subordinato), ha cassato la decisione di secondo grado, risultata affetta da vizio di ultrapetizione, per avere la Corte d’appello rigettato il gravame
per una ragione (la qualificazione giuridica del contenuto
della comunicazione del 27 settembre 1982, inviata dal comitato di liquidazione a tutti i soci, come invito ad offrire e
non come proposta di vendita) rilevata di ufficio e completamente estranea al dibattito svoltosi tra le parti nel giudizio
di secondo grado.
5. – Riassunta la causa, la Corte di Lecce, giudicando in
sede di rinvio, con sentenza resa pubblica mediante deposito
in cancelleria il 4 dicembre 2006, ha rigettato l’appello e

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settembre 1982 indirizzata ai soci, così come aveva errato nel

condannato la riassumente appellante alla rifusione delle spese processuali.
A tale conclusione la Corte d’appello è giunta rilevando,
per un verso, che la logica sottesa alla proposta del comitato

dell’atto, era nel senso che ogni determinazione rimaneva subordinata alla condizione che, entro il 25 ottobre 1982, fossero pervenute accettazioni tali da coprire il complesso immobiliare nella sua interezza; e, per l’altro verso, che, solo
dopo il fallimento dell’ennesimo tentativo di disfarsi in tempi brevi dell’intero patrimonio immobiliare, la società passò
alla decisione di “cambiare completamente rotta”, sicché è da
escludere che essa abbia rinunciato a far valere gli effetti
del mancato avveramento della condizione.
6. – Per la cessazione della sentenza della Corte d’appello
la Bolognini ha proposto ricorso, con atto notificato il 20
luglio 2007, sulla base di due motivi.
La società SAPEL ha resistito con controricorso.
Memorie illustrative sono state depositate da entrambe le
parti in prossimità dell’udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo, la ricorrente denuncia omessa,
insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione in punto
di ritenuta apposizione di termine per il verificarsi della
condizione al 25 ottobre 1982 e di ritenuta esclusione della

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dei liquidatori, confermata anche dal tenore letterale

rinunzia da parte di SAIPEL alla condizione (se mai la sua
realizzazione fosse sottoposta a termine).
Secondo la ricorrente, la condizione sospensiva non era
correlata ad alcun termine di compimento. La diversa conclu-

propria affermazione apodittica, oltre che in una asserzione
incoerente con le riconosciute circostanze di fatto circa il
comportamento di vendita “pezzo per pezzo” da parte di SAPEL
tenuto già prima di quella lettera di offerta (e poi, anche a
valle di essa, nella successiva assemblea del 29 ottobre
1982). La condizione aveva il solo fine di posticipare il momento dell’effettivo trasferimento ossia dell’esecuzione del
contratto: questo si sarebbe compiuto non se, ma quando tutti
gli immobili, ferma la proposta e le relative accettazioni di
conduttori e soci (e fermi i contratti poi conclusi con eventuali terzi), fossero stati trasferiti agli acquirenti secondo
le determinazioni dei liquidatori. La Corte d’appello non si
sarebbe confrontata con questo senso alternativo della clausola di condizione, l’unico – si sostiene – suggerito dal tenore
testuale dell’offerta e consono alla natura del contratto ed
ai canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362, 1369 e 1371 cod.
civ.
In ordine alla ritenuta esclusione della rinuncia, la sentenza della Corte d’appello si risolverebbe, ad avviso della
ricorrente, in un apodittico ed indimostrato assunto (di “mu-

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sione della sentenza d’appello si risolverebbe in una vera e

tamento di rotta” da parte di SAIPEL solo dopo il 25 ottobre
1982 e di conferimento di “mano libera” ai liquidatori solo
dopo la scadenza del termine erroneamente ritenuto apposto per
il verificarsi della condizione), posto quale unica ragione di

argomentativo caratterizzato da contraddittoria ed omessa motivazione rispetto alle molteplici circostanze fattuali pacifiche e ricordate dalla stessa Corte d’appello nelle premesse
in fatto (ed in specie: la delibera SAPEL del 7 settembre
1981, con autorizzazione già allora di vendite separate; le
stesse clausole dell’offerta del 27 settembre 1982 con quella
delibera coerente; il contegno SAPEL manifestato sia in occasione dell’assemblea del 29 ottobre 1982, coerente a sua volta
con quella che la precedette, senza assunzione di “nuove rotte”, sia immediatamente a seguire, tramite la concreta attività di cessioni separate e neppure più differite svolte dai liquidatori a valle di quest’ultima delibera).
Con il secondo mezzo la ricorrente denuncia la violazione
e falsa applicazione dell’art. 1362, primo e secondo comma,
cod. civ. (principio di esclusione di una ermeneutica meramente letterale, specie se poi si altera la stessa lettera, nonché di necessaria considerazione del comportamento complessivo
anche posteriore alla conclusione del contratto); dell’art.
1363 cod. civ. (principio di attribuzione alle clausole negoziali del senso che risulta dal complesso dell’atto);

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esclusione della dedotta rinuncia alla stessa, in un contesto

dell’art. 1369 cod. civ. (principio di interpretazione in du-

bio nel senso più conveniente alla natura ed all’oggetto del
contratto); dell’art. 1371 cod. civ. (principio di interpretazione nel senso che realizzi l’equo contemperamento degli in-

dell’art. 1353 cod. civ. (principio di volontarietà e rinunziabilità della condizione).
2. – I due motivi – i quali, stante la loro connessione,
possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.
2.1. – La Corte d’appello si è innanzitutto posta la questione se, nell’offerta di vendita del 27 settembre 1982, il
termine (del 25 ottobre 1982) fissato per l’invio delle accettazioni da parte dei soci fosse da riferire anche alla condizione posta nel successivo paragrafo dell’offerta di vendita;
e l’ha risolta affermativamente, rilevando che la data del 25
ottobre 1982 concerneva non solo l’invio delle offerte, ma anche il loro contenuto, nel senso che le offerte, da far pervenire, appunto, entro il 25 ottobre 1982, dovevano essere “in
numero, modalità e termini tali da ‘coprire’ il complesso nella sua interezza”.
A questa conclusione ermeneutica la Corte territoriale è
giunta prendendo le mosse, da un lato, dal testo letterale
della missiva, nella quale assume significativa rilevanza
l’uso del verbo “pervenire”, sia pure coniugato in due modi
diversi: le determinazioni dei soci dovevano “pervenire” entro

teressi delle parti nei contratti a titolo oneroso); e

il 25 ottobre 1982; ed ogni determinazione del comitato rimaneva subordinata alla condizione che “pervengano”, nel termine
detto (anche se non espressamente ripetuto), accettazioni di
acquisto “in numero, modalità e termini tali da ‘coprire’ il

valorizzato la logica di sistema nel quale si inserisce la
proposta del comitato, sottolineando che il palese intento dei
soci e dei liquidatori era di porre fine alla fase liquidatoria con la vendita di tutta la residua proprietà immobiliare
ed in un arco di tempo il più breve possibile.
La sentenza impugnata ha poi affrontato il secondo dei temi rilevanti, e, una volta stabilito che la condizione sospensiva era soggetta al termine del 25 ottobre 1982, ha escluso
che la società SAPEL avesse rinunciato a far valere gli effetti del mancato avveramento, entro il detto termine, della condizione sospensiva. A tal fine, la Corte di merito ha osservato che, solo dopo il fallimento del tentativo di disfarsi in
tempi brevi dell’intero patrimonio immobiliare, la società è
passata alla decisione di “cambiare completamente rotta”, come
è dimostrato dalle deliberazioni assunte nel corso
dell’assemblea dei soci del 29 ottobre 1982, successiva di pochi giorni alla scadenza del termine entro il quale avrebbe
dovuto verificarsi la condizione. In quella seduta, infatti,
fu stabilito, addirittura con inversione dell’ordine del giorno, di approvare la proposta di aggiornare in aumento, ai sen-

complesso nella sua interezza”. La Corte di Lecce ha altresì

si degli indici ISTAT, i prezzi a suo tempo stimati delle singole porzioni immobiliari, comprese quelle per le quali erano
pervenute accettazioni da parte dei soci; si prese atto che il
25 ottobre 1982 erano cessate la riserva e la prelazione in

prevedendosi che da allora in poi il comitato si sarebbe attenuto alle sole disposizioni di cui alla legge n. 392 del 1978
per gli inquilini; si dette “mano libera” ai liquidatori, da
allora in poi, di operare le vendite come meglio avessero creduto, autorizzandoli a concludere trattative di vendita con
inquilini e soci, anche per persone da nominare.
Ora – posto che l’accertamento della volontà delle parti
in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito (Cass., Sez. II,
31 maggio 2010, n. 13242; Cass., Sez. Il, 29 agosto 2011, n.
17717; Cass., Sez. Lav., 9 ottobre 2012, n. 17168) l’interpretazione della vicenda negoziale data nella specie
dalla Corte di Lecce riposa su una congrua e ponderata valutazione di tutte le risultanze probatorie e risulta immune da
mende giuridiche, come pure da deficienze o contraddittorietà
argomentative.
Sotto il primo profilo (relativo all’apposizione di termine per il verificarsi della condizione), è decisivo considerare che i soggetti titolari del diritto di prelazione erano gli
stessi che dovevano formulare le offerte; che la data del 25

favore dei soci, espresse dall’assemblea del 7 settembre 1981,

ottobre 1982 non solo era unica ed espressamente indicata nella comunicazione ai soci del 27 settembre 1982, ma riguardava
le offerte, che dovevano pervenire ed essere esaminate, a condizione che fossero tali da coprire il “complesso nella sua

l’indizione dell’assemblea per i giorni 28-29 ottobre 1982,
segno che il negozio esigeva la fissazione di un termine entro
il quale la condizione avrebbe dovuto avverarsi.
Sotto il secondo aspetto, preme rilevare che le circostanze valorizzate dalla Corte d’appello (l’approvazione della
proposta, nell’assemblea del 29 ottobre 1982, di aggiornare in
aumento i prezzi a suo tempo stimati delle singole porzioni
immobiliari, aumento riguardante tutte le unità, anche quelle
per le quali erano pervenute accettazioni; ancora,
l’approvazione della proposta, sempre in quella seduta, di dare “mano libera” ai liquidatori di operare come meglio avessero creduto, superando l’intento fino ad allora seguito, che
era quello di vendere il complesso nella sua interezza, in
blocco o per singole unità, tenuto conto del fatto che
nell’assemblea del 7 settembre 1981 solo in via subordinata ed
in caso di esito negativo era stata contemplata la possibilità
dà vendere per singole porzioni; l’indicazione delle nuove
qualità che avrebbero dovuto avere le persone da nominare) sono inconciliabili con la dedotta volontà di rinunciare alla
sopravvenuta inefficacia del contratto per il mancato avvera-

interezza”; e che la detta comunicazione conteneva anche

mento della condizione sospensiva, perché, a tacer d’altro, in
caso contrario si sarebbero mantenute ferme le precedenti condizioni oggettive e soggettive.
L’interpretazione seguita, sotto l’uno e l’altro aspetto,

visti dagli artt. 1362 e seguenti del codice civile, avendo la
Corte d’appello basato la propria decisione non solo sul tenore letterale della comunicazione del 27 settembre 1982, ma anche sul comportamento complessivo della società, sia anteriore
che posteriore alla predetta comunicazione ed alla offerta
della socia Marta Bolognini.
Nel contestare le conclusioni della vicenda negoziale alle
quali è pervenuto il giudice del merito, la ricorrente, pur
lamentando formalmente una plurima violazione di legge e un
decisivo difetto di motivazione, finisce per proporre una critica che si sostanzia, in realtà, nella mera contrapposizione
di una diversa interpretazione; senza considerare che, per
sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice
del merito non deve essere l’unica interpretazione possibile,
e neppure la migliore in astratto, ma una delle possibili, e
plausibili, interpretazioni, sicché, quando di un negozio sono
possibili due o più interpretazioni (possibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice del merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass., Sez.

dalla sentenza impugnata è conforme ai canoni ermeneutici pre-

I, 2 maggio 2006, n. 10131; Cass., Sez. I, 22 febbraio 2007,
n. 4178; Cass., Sez. III, 20 novembre 2009, n. 24539; Cass.,
Sez. III, 25 settembre 2012, n. 16254).
3. – Il ricorso è rigettato.

spositivo, seguono la soccombenza.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso e

condanna

la ricorrente al

rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi euro 4.200, di
AML

44OV

cui

euro

,J

4.000 per compensi, oltre
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 15
maggio 2013.

17/1-1.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da di-

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