Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16633 del 22/07/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 16633 Anno 2014
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO

SENTENZA

sul ricorso 9570-2011 proposto da:
ESPOSITO MARCO C.E. SPSMRC65M11F839S, VOLPE DANIELA
C.E. VLPDNL70D49F839Z, elettivamente domiciliati in
ROMA,

VIA DEI FAGGELLA 4/D,

dell’avvocato

BENEDETTA

presso lo studio
PELLEGRINO

COCCHI,

rappresentati e difesi dall’avvocato PELLEGRINO ROCCO,
2014

giusta delega in atti;
– ricorrente –

1242

contro

LOMBARDI DOMENICO C.F.

LMBDNC41S28F601A,

LOMBARDI

MARCO C.F. LMBMRC44D25F601P, nonche’ delle sigg.re

Data pubblicazione: 22/07/2014

VEGLIANTE GERARDINA, MANGANELLI MARIAROSARIA C.F.
MNGMRS56L48F839W, in proprio e quale procuratrice
generale della sig.ra MANGANELLI ANTONELLA C.F.
MNGNNL60D66E839Z, MANGANELLI ORNELLA C.E.
MNGALL66D67F839X,

queste

ultime

quali

eredi

domiciliati in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO 18, presso lo
studio dell’avvocato RIZZO NUNZIO, che li rappresenta
e difende giusta_ delega in atti;
– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1135/2010 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 20/04/2010 r.g.n. 9561/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/04/2014 dal Consigliere Dott. FEDERICO
BALESTRIERI;
udito

l’Avvocato

PELLEGRINO STEFANO per delega

PELLEGRINO ROCCO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine rigetto.

dell’avvocato Manganelli Benito, elettivamente

Svolgimento del processo
Con sentenza del 25.10.2005, il Tribunale di Napoli respinse le
domande proposte da Esposito Marco e Volpe Daniela tese ad
ottenere, previo accertamento della natura subordinata del
rapporto di lavoro intercorso con Manganelli Benito, Lombardi
Domenico e Lombardi Marco, titolari di una associazione
professionale, il pagamento della retribuzione minima

somme per permessi r.o.l. e ferie, nonché l’indennità sostitutiva
del preavviso. A sostegno delle loro pretese i ricorrenti avevano
esposto di aver lavorato, L’Esposito dall’1.10.1991 al 4.12.97, e la
Volpe dal 18.3.91 al 4.12.1997, alle dipendenze dei convenuti
con mansioni di gestione clienti, preparazione atti, vacazione
presso uffici ed altro.
Il primo giudice negò l’esistenza di un rapporto di lavoro
subordinato, sulla base delle seguenti considerazioni: a) non
risultava sottoscritto tra le parti alcun contratto di lavoro; b) non
era emerso che i ricorrenti fossero, nello svolgimento del loro
lavoro, sottoposti all’eterodirezione datoriale; c) gli obblighi
professionali degli istanti si erano risolti nella garanzia di un
risultato professionale, di un `opus’ ben definito e predeterminato
e non, invece, nella mera messa a disposizione di energie
lavorative nel tempo; d) i ricorrenti erano stati essenzialmente
liberi nella organizzazione del lavoro; e) non era risultato che i
titolari dello studio avessero esercitato un assiduo e puntuale
potere di controllo sull’esecuzione del lavoro dei ricorrenti con
l’applicazione di eventuali conseguenti sanzioni; f) in caso di
assenza non era stata mai fornita o richiesta alcuna
giustificazione dell’impedimento a lavorare ma solo, talvolta, un
preavviso; g) non erano emersi precisi orari di lavoro, essendo
piuttosto i ricorrenti liberi di iniziare e terminare il lavoro quando
volevano, non esistendo alcun tipo di controllo in merito; h) non

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contrattuale, la retribuzione per lavoro straordinario, il t.f.r., le

erano state mai adottate sanzioni; g) non era emersa alcuna
fissità e periodicità dei compensi.
A corroborare, poi, la soluzione che l’Esposito e La Volpe fossero
professionisti autonomi legati eventualmente da rapporti di
parasubordinazione con il datore, il Tribunale evidenziava ulteriori
circostanze come: 1) la comprovata apertura da parte
dell’Esposito nel 1994 di uno studio professionale personale; 2)

personali anche durante l’attività di collaborazione coi convenuti;
3) l’utilizzazione da parte dei ricorrenti di un loro personale
‘computer; 4) la mancata richiesta, durante tutto il corso del
rapporto, di un regolare inquadramento come lavoratori
dipendenti; 5) la loro piena assimilazione, per il pubblico
esterno, ad altri collaboratori pacificamente autonomi.
Avverso detta pronuncia proponevano appello l’Esposito e la
Volpe.
Resistevano al gravame Manganelli Benito, Lombardi Domenico e
Lombardi Marco.
Con sentenza depositata il 20 aprile 2010, la Corte d’appello di
Napoli rigettava il gravame.
Per la cassazione propongono ricorso gli originari attori, affidato
ad unico motivo, poi illustrato con memoria.
Resistono Marco e Domenica Lombardi, nonché gli eredi di Benito
Manganelli, nelle more deceduto, con controricorso.
Motivi della decisione
1.-I ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione,
anche sotto il profilo della omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo della
controversia, in particolare sulla sussistenza di un loro rapporto di
lavoro subordinato i ed insufficiente esame delle risultanze
processuali, degli artt. 36 Cost.; 2070, 2094, 2099 e 2697
cod.civ.; 116, 132, 409 e 416 c.p.c., in relazione all’art. 360,
comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c.
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l’assistenza sempre da quest’ultimo assicurata a propri clienti

Lamentano che la Corte territoriale confermò la sentenza
impugnata aderendo alle considerazioni svolte dal primo giudice,
contestate dagli appellanti, con valutazione delle circostanze di
fatto caratterizzanti la fattispecie non condivisibili e contrastanti
con le deposizioni testimoniali assunte. In particolare deducevano
che dalle risultanze istruttorie era emerso che tra le parti si era
instaurato un ordinario rapporto di lavoro subordinato, con

lavoro e remunerazioni fisse, con soggezione al potere direttivo e
disciplinare dei componenti dell’associazione professionale.
2.-Il ricorso è inammissibile.
Ed invero i ricorrenti richiedono a questa S.C. semplicemente ed
unicamente una rivalutazione delle circostanze di fatto che
caratterizzarono il rapporto in questione, risolvendo così la
censura in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni
e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta
diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea
alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione
Deve al riguardo rimarcarsi che il controllo di logicità del giudizio
di fatto, ivi compreso quello denunciato sub violazione
dell’art.115 (e\o 116) c.p.c. (cfr. Cass. n. 12362\06), non
equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia
dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una
determinata soluzione della questione esaminata, posto che una
simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di
fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova
formulazione, contrariamente alla funzione assegnata
dall’ordinamento alla Corte di cassazione; ne consegue che risulta
del tutto estranea al giudizio di legittimità ogni possibilità di
procedere ad un nuovo esame di merito attraverso una
autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa. Del
resto, anche l’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. non conferisce alla
Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito

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obbligazione di mezzi e non di risultato, con orario, presenze al

della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logicoformale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione
operata dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare
le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le
prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra
le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare
i fatti in discussione. (Cass. 6 marzo 2006 n. 4766; Cass. 25

19 dicembre 2006 n. 27168; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4500;
Cass. 26 marzo 2010 n. 7394; Cass.5 maggio 2010 n.10833).
È dunque inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il
quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di
motivazione, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., qualora
esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti
operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della
parte che, in particolare, prospetti un preteso migliore e più
appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali
aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di
valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti,
attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili
vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi
della disposizione citata (Cass. n. 7394\10).
2.1- Non risultano neppure adeguatamente chiarite le doglianze
inerenti la violazione delle numerose norme di legge denunciate,
in realtà solo a supporto descrittivo della diversa qualificazione
del rapporto, salva la dedotta violazione dell’art. 416 c.p.c. (per
non avere la Corte di merito considerato la non contestazione
degli originari resistenti circa la dedotta percezione di una
retribuzione mensile fissa), censura, tuttavia, parimenti
inammissibile per difetto di autosufficienza, non risultando
prodotti, o riprodotti nell’attuale ricorso, i relativi atti processuali
di primo grado, con la conseguenza di precludere a questa Corte

maggio 2006 n. 12445; Cass. 8 settembre 2006 n. 19274; Cass.

anche l’esame diretto degli stessi (Cass. sez. un. 22.5.12 n.
8077).
Per completezza espositiva deve infine considerarsi che, in tema
di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste
nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del
provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da
una norma di legge e quindi implica necessariamente un

un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle
risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della
norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di
merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto
l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra
ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea
ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea
applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria
ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che
solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla
contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 16 luglio
2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).
3.- Il ricorso è pertanto inammissibile. Le spese di lite seguono la
soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che
liquida in E.100,00 per esborsi, E.3.700,00 per compensi, oltre
accessori di legge.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’8 aprile 2014
Il Consigliere est.

Il Presidente

problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di

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