Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16631 del 16/07/2010

Cassazione civile sez. III, 16/07/2010, (ud. 16/06/2010, dep. 16/07/2010), n.16631

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5431/2006 proposto da:

T.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CRESCENZIO 20, presso lo studio dell’avvocato MENICACCI

Stefano, che la rappresenta e difende giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE in persona del legale

rappresentante pro tempore Avv. S.G.P., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17 presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NARDI Manlio,

GAVIOLI GIANNI giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10837/2005 del TRIBUNALE di ROMA, Sezione

Quarta Civile, emessa il 12/5/2005, depositata il 12/05/2005, R.G.N.

32221/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

16/06/2010 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.1. Con ricorso in data 19 aprile 2004 l’avv. T.G. proponeva opposizione avverso l’ordinanza di assegnazione nella procedura esecutiva promossa con il proprio ministero innanzi al Tribunale di Roma nei confronti dell’I.N.P.S., lamentando che il G.E. avesse liquidato per spese di esecuzione in Euro 281,00, anzichè in Euro 391,00 ovvero in misura inferiore ai minimi di legge, quali previsti dal D.M. n. 585 del 1994, art. 4, allora in vigore.

Chiedeva, quindi, la revoca dell’ordinanza di assegnazione limitatamente alla determinazione delle spese di esecuzione con conseguente assegnazione del credito pignorato, relativamente a dette spese, fino alla concorrenza di Euro 391,00, secondo quanto previsto dal tariffario in uso presso la sezione esecuzioni del Tribunale di Roma per le procedure rientranti nello scaglione tra Euro 516,47 ed Euro 1.549,37.

Resisteva l’opposto I.N.P.S., che deduceva, tra l’altro, la tardività dell’opposizione in relazione al termine di cui all’art. 617 c.p.c., comma 2.

Con sentenza in data 12 maggio 2005, il Tribunale di Roma rigettava l’opposizione, condannando l’avv. T.G. al pagamento delle spese di opposizione liquidate in Euro 1.600,00 di cui Euro 500,00 per competenze ed Euro 1.100,00 per onorario, oltre I.V.A. e C.P.A..

1.2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’avv. T.G., svolgendo tre motivi.

Ha resistito l’I.N.P.S, depositando controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. L’I.N.P.S. ha eccepito l’inammissibilità del ricorso ex art. 111 Cost., sotto un duplice profilo, deducendo, in via principale, che in considerazione della qualificazione della domanda da parte del giudice a quo come opposizione all’esecuzione, la sentenza era appellabile e rilevando, in subordine, per il caso di qualificazione della causa come opposizione agli atti esecutivi, che i motivi di ricorso, in quanto riferibili al vizio di erronea e illogica motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non sono consentiti in sede di ricorso straordinario.

L’eccezione svolta in via principale poggia sul rilievo che la sentenza impugnata risulta pronunciata – per quanto si legge nella prima parte dell’epigrafe – nella causa di “opposizione all’esecuzione” iscritta al N.R.G. 32221/2004 del Tribunale di Roma e trascura l’altro dato emergente dalla medesima epigrafe, laddove l’oggetto della stessa causa è indicato come “opposizione agli atti esecutivi”.

Orbene, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere fatta in base al principio dell’apparenza, e cioè facendo riferimento esclusivo alla qualificazione dell’azione proposta effettuata dal giudice a quo, sia essa corretta o meno, e a prescindere dalla qualificazione che ne abbiano dato le parti; con la precisazione che occorre verificare se il giudice a quo abbia inteso effettivamente qualificare l’azione proposta, o se abbia fatto in riferimento ad essa una affermazione meramente generica, in quanto, se si ritiene che il potere di qualificazione non sia stato esercitato dal giudice a quo, esso può essere esercitato dal giudice ad quem, e ciò non solo ai fini del merito, ma altresì dell’ammissibilità dell’impugnazione.

Si tratta di principi costantemente ritenuti applicabili alla materia delle opposizioni esecutive (ex plurimis, Cass. 15/02/2006, n. 3288;

18/04/2005, n. 8006), in relazione ai quali deve ritenersi che nella specie è stato correttamente esperito il rimedio del ricorso straordinario per cassazione. Invero – a prescindere dalle generiche e, peraltro, contrastanti indicazioni contenute nell’epigrafe – ciò che rileva è che la sentenza impugnata è stata pronunciata su ricorso avverso un’ordinanza di assegnazione di somme che il Tribunale, in tanto ha dichiarato ammissibile, in quanto ha verificato la sua proposizione entro il termine di cui all’art. 617 c.p.c., comma 2, dalla comunicazione dello stesso provvedimento, in tal modo qualificando, in termini non equivoci, la relativa domanda come opposizione agli atti esecutivi.

Peraltro – trattandosi di sentenza emessa prima del 2 marzo 2006, in relazione alla quale occorre fare applicazione del testo dell’art. 360 c.p.c., anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 – il ricorso per cassazione, per violazione di legge deve ritenersi ammissibile, ai sensi dell’art. 111 Cost., per effetto del disposto dell’art. 618 c.p.c., commi 2 e 3 (che riconosce a tali pronunce il carattere della non impugnabilità), ma il sindacato della Corte sarà esercitabile (oltre che per i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 1, 3 e 4) esclusivamente con riferimento alla ipotesi di mancanza assoluta di motivazione.

In definitiva il ricorso supera il preventivo vaglio di ammissibilità limitatamente alle censure di violazione di legge.

1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e del D.M. n. 127 del 2004, art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Al riguardo parte ricorrente osserva che, pur in mancanza della nota-spese in sede di esecuzione, il G.E. avrebbe dovuto motivare sullo scostamento dai minimi tariffari e che, in ogni caso, una volta adito in sede di opposizione, lo stesso giudice avrebbe dovuto prendere atto dei minimi tariffari; lamenta, dunque, l'”estrema genericità” della motivazione nel punto in cui ha affermato la non ripetibilità di alcune voci, quali quelle di “fascicolazione”, “disamina ordinanza”, “esame dichiarazione del terzo e della procura dello stesso” e deduce che – contrariamente a quanto (avrebbe) affermato dal Tribunale – sono dovute anche le spese di dattilografia e videoscrittura.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione del D.M. n. 585 del 1994, art. 4, L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 4, art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Al riguardo parte ricorrente lamenta che vi sia contraddittorietà tra la parte della motivazione dove si assume che la liquidazione è conforme ai minimi tariffari (“se agli importi relativi a tali voci si aggiungono IVA, CPA e spese generali dovute sui diritti si può concludere che correttamente il giudice dell’esecuzione ha liquidato l’importo di Euro 281,00”) e quella dove si assume che il G.E. era autorizzato a scendere al di sotto dei limiti minimi in virtù del disposto del D.M. n. 585 del 1994, art. 4, nel caso di manifesta sproporzione rispetto alle prestazioni;

lamenta, inoltre, che il Giudice dell’opposizione abbia del tutto omesso di motivare sull’eccezionalità della fattispecie, che autorizzava l’applicazione di tale norma.

2. I due motivi, che per le evidenti connessioni si possono esaminare congiuntamente, ad onta della conclamata autosufficienza, si rivelano, per buona parte, privi di specificità, per difetto di correlazione con le ragioni della decisione impugnata, la quale si incentra sui seguenti passaggi argomentativi: a) non vi era obbligo di analitica motivazione da parte del G.E. in ordine alla liquidazione delle spese, dal momento che non era stata depositata alcuna nota-spesa da parte della creditrice (nè una nota di tal fatta era stata depositata in sede di opposizione); b) in ogni caso l’attività svolta era stata “minima”, perchè simile ad altre esecuzioni contemporaneamente promosse dallo stesso legale per il recupero di un credito di “lavoro” e tenuto conto, altresì, che l’avv. T. aveva agito in proprio; c) peraltro, reclamando l’importo di Euro 391,00, l’avv. T. pretendeva voci, quali “consultazione” e “carteggio”, che non erano dovute, avendo la parte agito in proprio ex art. 86 c.p.c., o quella di “fascicolazione”, che non era prevista nel processo esecutivo ovvero, ancora, duplicate, come quelle di “esame ordinanza” ed “esame dichiarazione terzo”.

2.1. Orbene – esclusa l’ammissibilità del vizio motivazionale – gli argomenti svolti nella decisione impugnata resistono alla censura di violazione di legge.

Innanzitutto, in tema di liquidazione delle spese processuali, la giurisprudenza di questa Corte è costante nel rapportare l’onere di motivazione da parte del giudice del merito alla presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, escludendo che in quest’ultimo caso si possa dar luogo ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, in misure inferiori a quella esposta e richiedendo, dunque, adeguata motivazione della eliminazione o della riduzione di voci operata, allo scopo di consentire l’accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe, in relazione alla inderogabilità dei relativi minimi.

Nel caso di specie, peraltro, è la stessa T. a riconoscere di non avere depositato alcuna nota-spese nel processo di esecuzione;

inoltre la ricorrente, sebbene abbia riportato nel ricorso per cassazione un “prospetto” di spese, diritti e onorari per complessivi per complessive Euro 326,32 (asserendo di averlo già esposto nel ricorso ex art. 617 c.p.c., con il quale aveva, comunque, reclamato il diverso importo di Euro 391,00), non solo non ha specificamente contestato il punto della decisione dove si rimarca il mancato deposito di una nota di tal fatta anche nel giudizio di opposizione, ma ha altresì omesso di fornire precise indicazioni sull’attività effettivamente svolta in sede di esecuzione, con ciò impedendo un controllo autosufficiente – cioè fondato sul solo contenuto del ricorso – sull’effettiva spettanza degli importi indicati e sulla violazione del principio di inderogabilità della tariffa. Va anzi osservato che proprio la rilevata divergenza tra l’importo di Euro 326,32 indicato nel “prospetto” riportato nel ricorso per cassazione e quello di Euro 391,00, reclamato in sede di ricorso ex art. 617 c.p.c. – unitamente ad altre indicazioni assolutamente incongruenti (si veda, ad es. a pag. 3 dello stesso ricorso, il riferimento alle doglianze di tale “sign.ra S.”, che non risulta essere parte del giudizio di opposizione) – inducono legittimamente a dubitare della riferibilità dello stesso “prospetto” alla procedura esecutiva di cui trattasi.

2.2. A margine delle osservazioni che precedono occorre aggiungere che – come emerge dalla breve sintesi sopra riportata – il giudice dell’opposizione ha fornito una motivazione che non può tacciarsi di implausibilità, sì da potere essere parificata alla motivazione inesistente, sul punto dell’adeguatezza della liquidazione operata in sede esecutiva e che, per converso, gli argomenti di segno contrario svolti in ricorso si rivelano non specifici e, comunque, privi di fondamento, tenuto conto che: a) la voce “fascicolo esecuzione” effettivamente non è compresa nella tabella B – voci 46 e segg.

relative al processo di esecuzione; b) non è esatto che le voci “disamina ordinanza” o “disamina dichiarazione terzo” non sono state riconosciute, essendosi il Tribunale limitato a rilevare la loro duplicazione; c) contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente non si rinviene nella decisione impugnata alcuna statuizione negativa in ordine al rimborso di spese borsuali per dattilografia e videoscrittura; donde l’inammissibilità della censura per la sua novità.

In definitiva entrambi i motivi all’esame vanno rigettati.

3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., D.M. n. 585 del 1994, art. 5 (rectius D.M. n. 127 del 2004) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Al riguardo parte ricorrente deduce che le spese del giudizio di opposizione sono liquidati in misura eccessiva; in particolare la somma di Euro 1.100,00 liquidata per onorario risulterebbe ben oltre il doppio superiore al massimo applicabile, dovendo effettuarsi la liquidazione “a stralcio” prevista per le controversie del valore compreso nello scaglione fino a Euro 600,00 e non essendo state indicate le circostanze di “particolare importanza” che consentono il raddoppio dei massimi applicabili; mentre i diritti di procuratore sarebbero stati pari a Euro 230,50, anzichè a Euro 500.00, come riconosciuti.

2.2. Il motivo non merita accoglimento.

Si rammenta che costituisce costante orientamento di questa Corte (cfr., ex pluribus, sentt. nn. 3536 del 2000 e 3467 del 2001) integralmente condiviso dal Collegio, quello, secondo cui la parte che lamenti con ricorso per Cassazione l’onerosità della liquidazione delle spese e la violazione della tariffa forense ha l’onere di specificare, a pena di inammissibilità, gli errori commessi dal giudice, precisando ciò che ritiene non dovuto o liquidato in eccesso e, in particolare, le voci per le quali vi sarebbe stato il superamento dei massimi della tariffa stessa.

Nel caso di specie, la ricorrente, per consentire il controllo in sede di legittimità, ha riportato nel ricorso un prospetto di spesa asseritamente conforme a tariffa, ma ha omesso di fornire indicazioni precise sull’attività effettivamente svolta (data delle udienze, contenuti delle difese, ecc.). Peraltro lo stesso prospetto contiene “voci” (quale “esame documentazione di c.t.p.” “precisazioni conclusioni c.t.p.”) che non appaiono riferibili al presente giudizio di opposizione ed è sicuramente errato laddove indica come onorario “massimo” quello di Euro 190,00, posto che la liquidazione “a stralcio” di cui fa menzione parte ricorrente (min. Euro 55,00, mass. Euro 190,00) riguarda le cause innanzi al giudice di pace.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 700,00 (di cui Euro 200,00 per spese) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2010

 

 

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