Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16630 del 16/07/2010

Cassazione civile sez. III, 16/07/2010, (ud. 16/06/2010, dep. 16/07/2010), n.16630

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8774/2005 proposto da:

UFFICIO CENTRALE ITALIANO SOCIETA’ CONSORTILE A R.L. in persona del

Presidente del suo C.d.A. Dr. P.R., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA FILIPPO CIVININI 28, presso lo studio

dell’avvocato FANCELLO SERRA Gianfranco, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato CAMPEIS GIUSEPPE giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

T.R., M.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1023/2004 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

Sezione Seconda Civile, emessa il 7/7/2004, depositata il 18/12/2004,

R.G.N. 594/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

16/06/2010 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;

udito l’Avvocato GIANFRANCO FANCELLO SERRA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.1. Con citazione notificata in data 13-2-1992 T.R. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Bergamo l’UCI – Ufficio Centrale Italiano soc. consortile a r.l. (di seguito, brevemente, UCI), nonchè M.C., per sentirli condannare, in solido tra loro, al risarcimento dei danni fisici subiti a seguito di incidente stradale verificatosi il (OMISSIS) in (OMISSIS) (allora (OMISSIS)), allorchè l’auto condotta e di proprietà del M., sulla quale era trasportato, era uscita di strada, causa l’elevata velocità, procurandogli lesioni varie.

Si costituivano entrambi i convenuti, resistendo alla domanda. In particolare l’UCI deduceva – per quanto ancora interessa in questa sede – che, ove si fosse ritenuta sussistente la responsabilità extra-contrattuale del M., difettava la legittimazione passiva di esso UCI, in quanto la “carta verde”, cui accennava l’attore, attestava la copertura assicurativa dell’auto condotta dal M., “in base alla legge jugoslava per sinistri colà verificatisi, nei limiti dei massimali colà vigenti e alle condizioni disciplinate da quella legislazione”; osservava, a tal riguardo, che, trattandosi di sinistro verificatosi in (OMISSIS) non era operante la L. n. 990 del 1969, ma, ex art. 25 preleggi, comma 2, era applicabile la legge jugoslava, la quale non prevedeva la solidarietà dell’assicuratore in materia di illecito extra-contrattuale; di conseguenza l’obbligo di provvedere alla liquidazione dei danni cagionati da veicoli immatricolati in (OMISSIS), durante la circolazione all’estero, gravava sul corrispondente Ufficio centrale dello Stato, in cui il sinistro si era verificato (nella specie l’Udruzenje Osiguravajucich Organizacija Jugoslavije).

Anche il M. – precisato che il sinistro si era verificato durante un trasporto di cortesia – invocava l’applicabilità della normativa in materia di responsabilità extra-contrattuale prevista dalla legge dello Stato in cui il sinistro si era verificato;

chiedeva, in ogni caso, di tener conto nella liquidazione del danno della somma di L. 25.000.000, corrisposta nelle more dall’UCI, in misura corrispondente al massimale per persona vigente in (OMISSIS) e trattenuta dal T. a titolo di acconto.

Con sentenza in data 20-12-2001, il G.O.A., ritenuta l’esclusiva responsabilità del M. nella causazione dell’incidente, lo condannava, in solido con l’UCI, al pagamento della somma di L. 73.831.200 e delle spese del giudizio.

1.2. La sentenza, gravata da appello principale dell’UCI e incidentale del M., era parzialmente riformata dalla Corte di appello di Brescia, la quale con sentenza in data 7-7-2004, determinava la somma complessivamente dovuta a T.R., ai valori dell’epoca dell’impugnata pronuncia, al netto di quanto trattenuto dal T. a titolo di acconto e salvi gli interessi da calcolarsi come in motivazione, in L. 40.831.200, pari a Euro 21.087,00; compensava le spese del grado in ragione della metà, condannando il T. al pagamento della residua metà in favore dell’UCI e dell’appellante incidentale, M.C..

1.3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’UCI, svolgendo tre motivi, illustrati anche da memoria.

Nessuna attività difensiva è stata svolta dagli intimati T. e M., ancorchè sia stato disposto ed eseguito il rinnovo della notificazione nei confronti del primo, già contumace in appello, per essere stato il ricorso erroneamente notificato presso il procuratore costituito in primo grado.

In esito al rinnovo della notificazione del ricorso e della precedente memoria nei confronti del T. il ricorrente ha depositato nuova memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La decisione impugnata poggia – per quanto qui interessa – su due principali argomenti e cioè: A) il rilievo dell’applicabilità alla fattispecie (da inquadrarsi nell’ambito dell’illecito extracontrattuale, per essere rimasto privo di conforto probatorio, l’assunto dell’UCI, secondo cui il sinistro era avvenuto nell’esecuzione di un contratto di trasporto) della legge italiana:

tanto in quanto “si tratta di controversia tra cittadini italiani riferita a violazioni di loro diritti soggettivi”, con conseguente riferimento alle regole procedurali vigenti all’epoca dell’instaurazione del giudizio e, segnatamente, “all’art. 2 cod. proc. civ., che individuava, ovviamente, nel giudice italiano l’autorità inderogabilmente competente a conoscere della composizione autoritativa della lite” e correlativa inapplicabilità della legge sostanziale jugoslava “cui nè T., nè M., nè, infine, l’UCI sono soggetti”; B) l’affermazione della responsabilità (solidale) dell’Ufficio Centrale Italiano in considerazione del rilascio di “una carta internazionale di assicurazione veicoli a motore sottoscritta, quale assicuratore dall’UCI, ivi qualificatosi rappresentante de le imprese assicuratrici”. In particolare la Corte di appello ha evidenziato che, in base alla “carta verde”, “per eventuali danni che M. avesse cagionato a terzi durante la circolazione del veicolo ivi indicato in (OMISSIS) per il periodo (OMISSIS), l’UCI garantiva esservi copertura assicurativa da parte de “le imprese assicuratrici da esso rappresentati”, con la conseguenza che, mentre “eventuali danneggiati jugoslavi avrebbero potuto …rivolgersi al bureau della propria nazione il quale avrebbe trattato il sinistro con il bureau della nazione del danneggiante quale garante dell’esistenza di idonea copertura assicurativa”, il trasportato italiano, qual era il T., poteva rivolgere “le pretese direttamente all’assicuratore UCI, tale qualificatosi nella carta verde (nonchè nella lettera 14 maggio 1992 in atti di M., ove l’UCI si qualifica Ufficio Nazionale d’Assicurazione per i veicoli a motore in circolazione internazionale) in quanto rappresentante delle imprese assicuratrici e garante dell’esistenza di idonea copertura” (cfr. pag. 9 e 10 della sentenza impugnata).

I tre motivi di ricorso – ferma la ritenuta qualificazione della responsabilità come extracontrattuale – si incentrano sugli argomenti sopra esposti, ribadendo l’applicabilità alla fattispecie della normativa jugoslava e il difetto di titolarità passiva dell’UCI anche con riferimento alla normativa italiana.

1.1. In particolare con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) delle disposizioni di diritto internazionale privato, in ordine alla legge applicabile; con particolare riferimento all’art. 25 preleggi in relazione alla L. n. 218 del 1995, art. 72. A tal riguardo parte ricorrente rileva che alla Corte di appello è sfuggito che la fattispecie presentava un elemento di estraneità, rappresentato dal fatto che il sinistro si era verificato nella ex Jugoslavia, con conseguente applicabilità – in base al disposto dell’art. 25 comma secondo cit. (applicabile ratione temporis) della lex loci commissi delicti e, quindi, non già dell’art. 2043 c.c. o dell’art. 2054 c.c., ma di “ignota legge jugoslava”. Con più specifico riferimento alla posizione dell’assicuratore, l’UCI afferma che “il diritto jugoslavo non conosce la responsabilità patrimoniale in azione diretta da danneggiato da sinistro stradale nè dell’assicuratore (specie italiano, estero in generale) nè del Bureau (specie italiano o estero in generale)”.

1.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) della L. n. 990 del 1969, art. 6, della L. 7 agosto 1990, n. 242, art. 3 e del D.M. 26 maggio 1971, D.M. 12 ottobre 1991 e D.M. 9 febbraio 1994; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo prospettato e deviazione dello standard logico prescelto dai giudici di merito per supportare il proprio convincimento fattuale rispetto agli standards logici vigenti (art. 360 c.p.c., n. 5). A tal riguardo parte ricorrente – premesso che la Corte di appello non individua la norma da cui discenderebbe la responsabilità dell’UCI – osserva che esso Ufficio non ha assunto la veste di garante ex lege n. 1990 del 1969, tantomeno di assicuratore obbligatorio; precisa che l’auto del M. era assicurata dalla SARA con copertura assicurativa valida in Italia e nei paesi della comunità europea L. n. 990 del 1969, ex artt. 1 e 1 bis, ma non per la Jugoslavia, con la conseguenza che alla frontiera era stata rilasciata la “carta verde”, sulla base della quale il Bureau iugoslavo, che era tenuto a liquidare il danno in Jugoslavia, sarebbe stato tenuto indenne dall’UCI L. n. 242 del 1990, ex art. 3 e giusta accordi inter bureaux e, per esso, dalle compagnie di assicurazione che lo stesso UCI rappresentava. Nella diversa prospettiva assunta con la decisione impugnata la Corte di appello sarebbe, dunque, incorsa in un duplice vizio e, precisamente:

nel vizio della violazione di legge, perchè l’UCI non è assicuratore, ma svolge le funzioni di garante legale in Italia per i sinistri verificatisi in Italia, nei limiti e alle condizioni di cui alla L. n. 990 del 1969, art. 6 e in base alla L. n. 242 del 1990, garantisce gli altri bureaux per i sinistri verificatisi all’estero;

nonchè nel vizio logico, perchè la funzione di “assicuratore” dell’UCI non poteva essere desunta dalla affermata qualità di rappresentante delle imprese assicuratrice e perchè è stata affermata l’esistenza di un “fantomatico rapporto contrattuale di assicurazione” al terzo danneggiato, senza precisare il fondamento dell’azione diretta riconosciuta allo stesso.

1.3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) della L. n. 990 del 1969, artt. 1 e 1 bis, 6, 7, 10, 11 e 18. Al riguardo parte ricorrente rileva che la Corte di appello affermando la titolarità passiva del rapporto in capo all’UCI per sinistri stradali avvenuti all’estero e ritenendo esperibile nei suoi confronti l’azione diretta L. n. 990 del 1969, ex art. 18 – ha, nella sostanza, ipotizzato che la legge cit. avesse un ambito eccedente quello territoriale, nonostante l’illecito e le sue conseguenze dovessero essere regolate dalla lex loci commissi delicti; rileva, inoltre, che – anche a voler prescindere dall’applicabilità della legge straniera – la L. n. 990 del 1969, non prevede una responsabilità di tal fatta, limitando il ruolo dell’UCI ai sinistri che accadono in (OMISSIS).

2. I suddetti motivi, che, per la stretta connessione delle questioni proposte, vanno esaminati congiuntamente, non meritano accoglimento, ancorchè la decisione impugnata imponga ex art. 384 c.p.c., u.c., alcune rettifiche e/o precisazioni.

2.1. Va, innanzitutto, precisato che al presente giudizio, iniziato (come risulta dalla parte espositiva della decisione impugnata) in data 14 febbraio 1992 e, quindi, in epoca anteriore alla data del 1 settembre 1995 di entrata in vigore della L. 31 maggio 1995, n. 218, non si applica l’art. 62, comma 2 della stessa L. n. 218 (al quale i giudici a quibus sembrano avere fatto implicito riferimento), secondo cui “qualora il fatto illecito coinvolga soltanto cittadini di un medesimo Stato in esso residenti, si applica la legge di tale Stato”, occorrendo, piuttosto, fare riferimento (ex artt. 72 e 74 della medesima legge) al previgente art. 25 preleggi, comma 2, il quale stabiliva la regola della lex loci.

Ciò premesso, occorre dire che, effettivamente, nella decisione impugnata si ravvisa una certa confusione tra la questione della giurisdizione (che risultava regolata dall’art. 2 c.p.c., e segg., nel testo allora vigente) e quella della legge applicabile, posto che nei giudizi promossi in epoca precedente alla data sopra indicata, la residenza in Italia del convenuto consentiva al giudice italiano di decidere la controversia risarcitoria per un illecito extracontrattuale verificatosi all’estero, mentre la materia risultava regolata ex art. 25 cit. dalla legge del luogo in cui si è verificato il fatto illecito.

Detto ciò, occorre però aggiungere che dall’inapplicabilità della L. n. 218 del 1995, consegue anche l’inapplicabilità dei principi, stabiliti dagli artt. 14 e 15 della medesima legge, per cui il giudice italiano accerta d’ufficio la legge straniera e la applica secondo i criteri d’interpretazione propri della medesima. In altri termini, per i giudizi iniziati, come il presente, in epoca antecedente alla vigenza della suddetta legge, continua a trovare applicazione il principio secondo cui, qualora una parte invochi in suo favore l’applicazione di una legge straniera, deve provvedere ad indicarla esattamente e ad attivarsi per renderla nota al giudice, al fine di porlo nella condizione di formare il proprio convincimento in ordine all’applicazione della diversa disciplina. In difetto di tale allegazione, se il giudice non sia stato in grado di conoscere la normativa straniera sulla base degli elementi acquisiti agli atti o per propria nozione, non può rigettare la domanda in mancanza di prova circa un elemento costitutivo dell’azione, nè tantomeno ricorrere ad un non liquet, ma deve far riferimento alle leggi italiane (ex plurimis Cass. nn. 14031/2007; 7250/2006, 111/2004, 7365/2001; contra, isolatamente, Cass. n. 17388/2003).

Orbene l’odierno ricorrente si limita a ipotizzare l’applicazione di una “ignota legge jugoslava”, con ciò implicitamente riconoscendo che il giudice del merito non è stato posto in grado di conoscere detta normativa. Sotto questo profilo i motivi di ricorso si rivelano privi di specificità, posto che, quanto all’affermazione della responsabilità del M. non sono corredati dall’indicazione del diverso principio applicabile in luogo di quelli di cui agli artt. 2043 e 2054 c.c., e, quanto all’affermazione di responsabilità solidale dell’UCI, ignorano (o almeno travisano) la ratio decidendi, che – come si andrà a vedere di seguito – ha ancorato la responsabilità solidale dell’odierno ricorrente agli impegni contrattualmente assunti all’atto del rilascio della c.d. carta verde. Inoltre nessun riscontro risulta essere stato dato dall’UCI in ordine al “sistema croato” in base al quale lo stesso UCI formulò la proposta transattiva di L. 25.000.000 (v. pag. 11 della sentenza impugnata), poi effettivamente erogata dall’odierno ricorrente al T..

2.2. Venendo, dunque, al tema centrale del ricorso, che è quello della legittimazione passiva dell’UCI rispetto all’azione del T., occorre innanzitutto precisare che al sinistro verificatosi in data (OMISSIS) non si applica – vuoi ratione loci, vuoi ratione temporis – la L. n. 990 del 1969, art. 1 bis (introdotto dalla L. n. 142 del 1992, art. 29, in attuazione della direttiva CEE 90/232) che prevede la copertura assicurativa per danni causati nel territorio degli Stati membri della Comunità Europea.

Nella soluzione della questione non può tenersi conto neppure del tenore della stessa L. n. 990 del 1969, art. 6, posto che la norma (prima modificata dal D.L. 23 dicembre 1976, n. 857, art. 1 e poi sostituita dalla L. 7 agosto 1990, n. 242, art. 1, peraltro entrata in vigore, successivamente al sinistro di cui trattasi) disciplina l’ipotesi per così dire “speculare” rispetto a quella di cui trattasi, e cioè dei veicoli (e natanti) di cui agli artt. 1 e 2, immatricolati o registrati in Stati esteri e che circolino temporaneamente nel territorio (o nelle acque territoriali) della Repubblica.

Nè è corretto il richiamo di parte ricorrente alla L. 7 agosto, n. 242, art. 3, che disciplina l’emissione da parte dell’UCI dei certificati internazionali di assicurazione richiesti per la circolazione all’estero di veicoli a motore immatricolati in Italia, prevedendo che lo stesso assuma “nei confronti dei corrispondenti enti costituiti in Stati esteri le obbligazioni che il rilascio di tali certificati comporta”. Detta legge, infatti, pubblicata su G.U. 20 agosto 1990, n. 193, non era entrata in vigore al momento del sinistro di cui trattasi.

Infine è privo di specificità, in relazione al canone dell’autosufficienza, il richiamo ad accordi che sarebbero stati assunti inter bureaux e, per esso, dalle compagnie di assicurazione che lo stesso UCI rappresentava; mentre non è pertinente il principio, affermato da questa Corte con sentenza n. 20667 del 25 settembre 2009, (secondo cui “l’UCI non è un assicuratore, ma un garante ex lege, con la conseguenza della non applicabilità tout court, nei suoi confronti, della normativa riferibile all’assicuratore”), giacchè la pronuncia richiamata da parte ricorrente si riferisce all’ipotesi che definita “speculare” rispetto a quella all’esame.

2.3. Così delineato l’ambito normativo di riferimento, il Collegio ritiene che nell’ipotesi di cui trattasi di sinistro causato all’estero da veicolo immatricolato ed assicurato in (OMISSIS) verificatosi in data anteriore alla L. 19 febbraio 1992, n. 142 (che ha esteso, come si è detto, la copertura dell’assicurativa di cui alla L. n. 990 del 1969, art. 1, almeno ai sinistri verificatisi negli altri stati dell’Unione) il quesito, se il danneggiato italiano possa esperire nei confronti della impresa assicuratrice l’azione diretta per il risarcimento del danno ai sensi della medesima L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 18, debba avere risposta negativa, atteso che l’obbligo di assicurazione ai sensi della L. n. 990 del 1969, art. 1, sussiste per i veicoli circolanti nel territorio dello Stato e che questa limitazione è del tutto coerente con il sistema e la finalità della legge volta a coprire nell’interesse della collettività nazionale i rischi connessi alla circolazione nel territorio dello Stato (così Cass. 20/03/2006, n. 6110). Tuttavia occorre rilevare – in conformità a quanto affermato nella cit.

sentenza n. 6110, relativa ad una fattispecie analoga – che detto principio non può trovare applicazione qualora il giudice del merito abbia ritenuto che le parti hanno previsto con patto espresso che l’assicurazione, stipulata in conformità con la L. n. 990 del 1969, e, quindi, con previsione per lo meno implicita dell’azione diretta nei confronti dell’impresa assicuratrice, copra i sinistri che si verificano fuori del territorio dello Stato italiano, con la conseguenza che in tal caso deve ritenersi che il terzo danneggiato sia abilitato a esercitare detta azione.

Ed è ciò che, per l’appunto, hanno ritenuto i giudici a quibus, allorchè – come emerge dalla sintesi sopra riportata – hanno riconosciuto all’UCI il ruolo di “assicuratore” per i sinistri verificatosi all’estero sulla base della “carta verde” rilasciata al M., nonchè della lettera 14 maggio 1992 (ove l’UCI si qualificava “Ufficio Nazionale d’Assicurazione per i veicoli a motore in circolazione internazionale”, cfr. pag. 10 della sentenza impugnata) con conseguente possibilità del terzo danneggiato di agire direttamente nei suoi confronti.

2.4. Ma allora tutte le censure si trasferiscono sul piano dell’interpretazione dei contenuti della richiamata “carta verde”, nonchè della lettera citata, riguardando un’attività di stretto merito, le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimità, a un sindacato che è limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e al controllo di una motivazione coerente e logica. Sotto questo profilo le stesse censure si rivelano carenti di autosufficienza, posto che il ricorrente non riproduce il contenuto (nè tantomeno allega copia) della documentazione che assume essere stati malamente intesa ovvero non esaminata adeguatamente.

Valga in particolare considerare che i giudici a quibus hanno focalizzato l’indagine interpretativa, condotta alla stregua del prioritario canone letterario, sulla qualifica di “assicuratore” espressamente assunta dall’UCI e che, dal canto suo, il ricorrente non contesta la correttezza del dato, emergente dal testo della “carta verde” e convalidato dai contenuti della lettera del 14 maggio 1992, limitandosi a lamentare l’illogicità della lettura, alla stregua di una contraddizione, che sussisterebbe tra il ruolo di “assicuratore” e la qualità di “rappresentante delle imprese assicuratrici”, riconosciuta dalla stessa sentenza all’UCI. Senonchè l’argomento non individua alcuna obiettiva deficienza o contraddittorietà del ragionamento del giudice, ma, piuttosto, ne distorce la portata, che è quella di riconoscere la responsabilità dell’UCI, “come se fosse” l’assicuratore, in luogo e per conto delle singole compagnie di assicurazione, della cui copertura assicurativa l’odierno ricorrente si era reso garante nei confronti dei terzi danneggiati.

In definitiva nessuna delle censure coglie nel segno, per cui il ricorso va rigettato.

Nulla deve disporsi in ordine alle spese del giudizio di legittimità non avendo parte intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2010

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