Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16629 del 11/06/2021

Cassazione civile sez. I, 11/06/2021, (ud. 25/02/2021, dep. 11/06/2021), n.16629

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14904/2019 proposto da:

B.M.A., elettivamente domiciliato in Roma Via Cassiodoro

6, presso lo studio dell’avvocato Costa Maria Rosaria, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Gurrado Vincenzo, del

foro di Matera;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale per il Riconoscimento Della Protezione

Internazionale Bari, Ministero Dell’Interno (OMISSIS), Procura

Repubblica Tribunale Potenza;

– intimato –

e contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di POTENZA, depositato il

28/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/02/2021 da Dott. GORJAN SERGIO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.M.A. – cittadino della Guinea – ebbe a proporre ricorso avanti il Tribunale di Potenza avverso la decisione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bari, che aveva rigettato la sua istanza di protezione in relazione a tutti gli istituti previsti dalla relativa normativa.

Il ricorrente deduceva d’essersi dovuto allontanare dal suo Paese poichè la madre era morta di ebola e per paura delle conseguenti misure di profilassi anti contagio verso le persone che ebbero contati con l’ammalata decise d’espatriare. Sempre davanti alla Commissione il B. aggiungeva che la decisione d’espatriare era anche dovuta alla circostanza che era ricercato dalla Polizia per aver partecipato a manifestazione politica, in cui erano morte delle persone, oltre che per la vergogna sociale, in quanto ai funerali della madre aveva saputo che era nato fuori dal matrimonio.

Il Tribunale lucano ha rigettato il ricorso ritenendo non sussistenti ragioni per accogliere la sua domanda afferente la protezione internazionale poichè non credibile il racconto reso dal B., tenuto anche conto che il ricorrente appositamente convocato in udienza per chiarire il suo racconto non s’era presentato; ritenendo non concorrente in Guinea una situazione socio-politica connotata da violenza diffusa e non dedotti i dati fattuali atti a fondare l’accoglimento della domanda di protezione umanitaria.

Il B. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto emesso dal Collegio lucano articolato su quattro motivi.

Il Ministero degli Interni, ritualmente citato, s’è costituito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso svolto dal B. appare inammissibile a sensi dell’art. 360 bis c.p.c. – siccome la norma è stata ricostruita ex Cass. SU n. 7155/17 -.

Con la prima doglianza il B. lamenta violazione del disposto D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 3 e 5, in relazione alla Convenzione di Ginevra con conseguente nullità del decreto impugnato, posto che il Collegio lucano non ha applicato il principio dell’onere probatorio attenuato e non ha proceduto a valutare la sua credibilità secondo i parametri legislativamente fissati.

Con il quarto mezzo d’impugnazione il ricorrente denuncia illogicità della motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, poichè il Tribunale ha tratto argomento dalla sua mancata comparizione all’udienza fissata, non già, appositamente per la sua audizione, bensì per la sua “eventuale” audizione. Inoltre egli non aveva alcunchè da aggiungere a quanto già illustrato in sede amministrativa, sicchè la sua mancata comparizione non poteva assumere rilievo di comportamento significativo.

Posto che le due censure appaiono collegate vanno esaminate unitariamente e sono inammissibili.

L’argomentazione critica della prima censura proposta appare astratta e scollegata rispetto alla motivazione sul punto illustrata nel decreto impugnato. Difatti, unitamente al richiamo ad arresti di legittimità, il ricorrente lamenta che il Tribunale non abbia colmato, mediante l’utilizzo del suo potere officioso di indagine, le lacune del suo narrato e che lo stesso sia stato ritenuto non credibile benchè egli avesse fatto ogni sforzo per circostanziarlo.

Mentre la critica portata con la quarta ragione di doglianza appare inammissibile posto che mediante il vizio di omesso esame di un fatto storico si veicola una critica circa l’utilizzo di un elemento di valutazione e deduce un supposto vizio di motivazione, all’evidenza, ambedue situazioni nemmeno astrattamente rientranti nel vizio di legittimità disciplinato ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Inoltre l’argomentazione critica svolta nel quarto mezzo d’impugnazione nemmeno appare sviluppare confronto con la motivazione sul punto illustrata nel decreto impugnato.

Invece il Collegio lucano ha esaminato la credibilità del B. alla luce di tutti gli elementi all’uopo utili presenti in causa, compresa la sua condotta processuale di reiterata non comparizione alle udienze fisaste per la sua audizione, incombente che non solo è preordinato acchè il richiedente asilo esponga completamente le sue argomentazioni, ma anche utile al Giudice per assumere ulteriori elementi di giudizio.

Rettamente dunque il Collegio ha valutato le sue dichiarazioni – plurime versioni, anche con particolari rilevanti tra loro incompatibili, per giunta prive di dati fattuali caratterizzanti ed estremamente generiche – e la sua condotta processuale – non s’è reso disponibile alla collaborazione per chiarire le discrasie del suo narrato – in quanto appunto applicata la procedura prescritta delle norme dedotte siccome violate.

Inoltre è insegnamento di questo Supremo Collegio che l’onere della collaborazione istruttoria può sorgere in capo al Giudice solo in presenza di un racconto ritenuto credibile – Cass. sez. 1 n. 10286/20.

Con la seconda ragione di doglianza il B. rileva la – generica – violazione dei D.Lgs. n. 251 del 2007 e D.Lgs. n. 25 del 2008, nonchè vizio di motivazione circa la situazione socio-politica della Guinea, poichè il Collegio lucano non ha tenuto conto del suo racconto in ordine a detta problematica e malamente ha valutato la stessa, sulla scorta di fonti non specialistiche, posto che detta situazione in base alle informazioni disponibili è connotata da violenza diffusa.

La censura appare inammissibile poichè generica e priva di effettivo confronto con la motivazione sul punto resa dal Tribunale.

Difatti il ricorrente, sulla scorta dell’evocazione d’arresti giurisprudenziali, si è nuovamente limitato a denunziare l’erronea valutazione della sua credibilità e l’erroneo apprezzamento della situazione socio-politica generale della Guinea, poichè anche effettuato in forza di consultazione di fonti internazionali non qualificate all’uopo bensì a fornire informazioni ai viaggiatori.

Viceversa il Collegio lucano non solo, come visto dianzi ha puntualmente motivato le ragioni della non credibilità del racconto reso dal B. – soprattutto in relazione alla sua asserita persecuzione per ragioni politiche -, ma ha pure valutato la situazione socio-politica della Guinea sulla scorta di rapporti resi da Organizzazioni internazionali autorevoli ed all’uopo preposte – puntualmente indicati nel decreto, tra le quali rapporti Amnesty pure utilizzati dal ricorrente – e concluso che, pur in presenza di una situazione dei diritti umani connotata da difficoltà, non concorre una situazione connotata da violenza diffusa secondo l’accezione data a tale concetto dalla Corte Europea.

A questa puntuale motivazione il ricorrente contrappone argomentazione critica generica fondata su affermazioni apodittiche senza confronto con alcuna delle questioni esaminate dal Tribunale.

Con la terza ragione d’impugnazione il B. denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 ed D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 34, in quanto il Collegio lucano non ha esaminato la sua posizione con specifico riguardo alla domanda di protezione umanitaria proposta, limitandosi ad affermare l’inesistenza di condizioni di vulnerabilità senza considerare i fatti narrati, la documentazione afferente il suo percorso di integrazione in Italia e le sue difficoltà a nuovamente reinserirsi, stante il tempo scorso dal suo allontanamento, nel proprio Paese.

La censura appare generica in quanto apodittica e scollegata rispetto alla motivazione illustrata dal Tribunale.

Difatti il Collegio lucano ha puntualmente esaminato i dati fattuali addotti dal B. in causa a sostegno della sua domanda afferente la protezione umanitaria – situazione socio-politica del suo Paese – e rilevato come non risultava lumeggiata alcuna sua situazione di vulnerabilità nè oggettiva nè soggettiva. E ciò e per la non credibilità del suo narrato ed in dipendenza della situazione interna della Guinea.

L’argomentazione critica svolta si riduce alla reiterata contestazione apodittica circa la valutazione di non credibilità del narrato ed altrettanto apodittica affermazione, non meglio illustrata se non con il cenno alla frequenza di un corso propedeutico di lingua italiana, di aver seguito un percorso di integrazione senza però un fattuale e specifico confronto con l’accertamento operato dal Collegio lucano che non risulta provata in causa alcuna sua condizione di vulnerabilità. Anzi il ricorrente conferma un tanto, ma reputa che la sua domanda doveva essere esaminata in forza della nuova prospettazione correlata alla sua – affermata – difficoltà di reinserimento sociale in Patria a cagione della sensibile durata della sua assenza, senza una miglior illustrazione di detta conseguenza prospettata, che dunque si palesa siccome argomentazione generica (Cass. n. 18805/20).

Alla declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità in favore dell’Amministrazione resistente, tassate in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Concorrono in capo al ricorrente le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il B. a rifondere all’Amministrazione degli Interni le spese di questo giudizio di legittimità liquidate in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza in Camera di consiglio, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021

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