Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16628 del 04/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 04/08/2020, (ud. 18/09/2019, dep. 04/08/2020), n.16628

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto ai n. 27717-2013 R.G. proposto da:

C.P., in proprio e n.q. di amm.re-legale rapp.te della

Co.Fi. srl rappresentato e difeso dall’avv.to Elisa Pepe

elettivamente domiciliato in Roma via Cassiodoro 19 presso lo studio

dell’avv. G. Torre.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato con domicilio in Roma via dei Portoghesi n. 12;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania n. 14″ /18/13 depositata il 17 aprile 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 settembre

2019 dal Consigliere Catello Pandolfi.

 

Fatto

RILEVATO

C.P., in proprio e quale amministratore e legale rappresentante della società CO.FI. srl, ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione Regionale della Campania n. 141/18/2013, depositata il 17 aprile 2013.

La vicenda tra origine dalla notifica di due avvisi dia accertamento, uno alla società e l’altro al C. in proprio, con i quali l’Ufficio ha contestato una maggior imposta per l’anno 2004.

Il ricorrente ha impugnato entrambi gli avvisi di accertamento con separati ricorsi, che la CTP di Napoli ha deciso con le sentenze n. 578/8/2011 e n. 579/8/20111 Queste sono state appellate e la CTR, dopo averle riunite, ha rigettato il gravame con la pronuncia impugnata in questa sede.

Il ricorso è basato su quattro motivi, di seguito esaminati.

Non ha resistito l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente, e ritenuti infondati, tenuto conto che entrambi assumono violato un generale obbligo di contraddittorio endo-procedimentale ritenuto immanente nell’ordinamento processuale tributario.

Un generale principio siffatto è, invece, da escludere, salvo i soli casi in cui una disposizione normativa espressamente lo preveda.

Questa Corte, infatti, ha più volte affermato che: “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito. (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 27421 del 29/10/2018).

E’, pertanto, da escludere che esso possa essere invocato in caso di accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, qual è quello in esame.

E’ del pari improprio il richiamo alla L. n. 146 del 1998, art. 10, che il ricorrente, con il secondo motivo ritiene violato, giacchè la disposizione si riferisce alla diversa ipotesi dell’accertamento basato sugli studi di settore.

Il terzo motivo, secondo cui la decisione sarebbe affetta da violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), per non aver fatto corretto uso degli artt. 2727 e 2729 c.c., va invece dichiarato inammissibile.

Il ricorrente censura infatti una valutazione di merito operata dal giudice territoriale, nel senso che non avrebbe tenuto conto di circostanze proprie del periodo in cui la verifica è stata effettata, nel valutare la congruità delle percentuali di ricarico.

In particolare non avrebbe considerato, o non in misura adeguata, aspetti quali: il periodo di saldi durante il quale le merci sono vendute a prezzi di realizzo; il fatto che la società operava con due esercizi nella stesso Comune, uno dei quali in forte perdita e da sostenere con prezzi particolarmente invitanti; il fatto che il campione di merci, considerate dai verificatori a campione in sede di accertamento, non sarebbe sufficientemente significativo. In altri termini, opponeva, in sede di legittimità, una propria valutazione, delle circostanze di fatto, diversa da quella, di esclusiva competenza., del giudice di merito, secondo il quale le deduzioni giustificative del contribuente, tenute ben presenti, erano già state adeguatamente considerate dall’Ufficio, tanto che, proprio in ragione delle circostanze addotte, era stata, cautelativamente, applicata dall’Ufficio la percentuale di ricarico del 65%, in luogo di quella dell’85%, inizialmente ritenuta congrua.

Invero, il terzo motivo, pur se riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sembra piuttosto incentrato sull’asserita insufficienza della motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per la scarsa valutazione delle ragioni addotte dal ricorrente. Ma anche in tal senso, il motivo è inammissibile poichè non mirato a censurare l’omesso esame di uno specifico fatto, inteso in senso storico naturalistico, decisivo ai fini del decidere, come richiesto dalla novella dell’art. 360, comma 1, n. 5, di cui al D.L. n. 83 de 2012, quanto la inadeguata considerazione di una argomentazione defensionale.

Va, infine, ritenuto infondato il quarto motivo secondo il quale la sentenza sarebbe censurabile per la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 41 e 42, e dell’art. 2727 c.c.. Infatti/la presunzione dell’attribuzione all’unico socio dei maggiori utili non contabilizzati, non incorre nel divieto di argomentazione mediante una doppia presunzione.

Questa Corte ha più volte affermato, e si ribadisce, che “In materia di imposte sui redditi, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, è ammessa la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili, che non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria. (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 1947 del 24/01/2019). Prova contraria che nel caso in esame non è stata addotta.

Ne discende il rigetto del ricorso. Nulla sulle spese stante la mancata costituzione dell’Agenzia delle Entrate. Sussistono le condizioni per il versamento del c.d. doppio contributo.

PQM

Rigetta il ricorso/nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2020

 

 

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