Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16625 del 11/06/2021

Cassazione civile sez. I, 11/06/2021, (ud. 25/02/2021, dep. 11/06/2021), n.16625

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9995/2019 proposto da:

M.J., rappresentato e difeso dall’avv. Antonino Novello, del

foro di Catania elettivamente domiciliato presso il suo indirizzo di

posta elettronica ex art. 366 c.p.c., come da precisazione in

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CALTANISSETTA, depositato il

08/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/02/2021 da Dott. GORJAN SERGIO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.J. – cittadino del Pakistan – ebbe a proporre ricorso avanti il Tribunale di Caltanissetta avverso la decisione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Trapani, che aveva rigettato la sua istanza di protezione internazionale in relazione a tutti gli istituti previsti dalla relativa normativa.

Il ricorrente deduceva d’aver dovuto lasciare il suo Paese poichè accusato di aver bruciato la bandiera del suo Paese durante una manifestazione politica nel (OMISSIS), riferiva inoltre d’esser stato arrestato nel (OMISSIS) e rilasciato dopo ammonimento. Sentito in udienza ha pure aggiunto d’esser stato arrestato anche nel (OMISSIS) e che il processo per il vilipendio – corruzione – della bandiera era ancora in corso.

Il Tribunale nisseno ebbe a rigettare il ricorso poichè ritenne non credibile il racconto reso dal richiedente asilo a giustificazione del suo espatrio; ritenne insussistenti in concreto, con specifico riguardo alla zona di provenienza del ricorrente, le condizioni previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c ed il pericolo di subire una pena abnorme per il reato commesso a tenor del codice penale pakistano; mentre in relazione alla domanda di protezione umanitaria riteneva non fornito elemento alcuno atto a lumeggiare la concorrenza di condizione di vulnerabilità e di apprezzabile inserimento sociale.

Il richiedente protezione ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto reso dal Collegio nisseno articolato su tre motivi.

Il Ministero degli Interni, benchè ritualmente evocato, ha depositato solo nota ex art. 370 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso svolto dal M. appare inammissibile a sensi dell’art. 360 bis c.p.c. – siccome la norma è stata ricostruita ex Cass. SU n. 7155/17 -.

Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, poichè il Collegio nisseno non ha valutato le sue dichiarazioni circa le ragioni dell’espatrio secondo i parametri legislativi stabiliti al riguardo.

Difatti il suo narrato era verosimile e correlato alle notizie circa la situazione interna del Pakistan gravemente deficitaria in relazione al rispetto dei diritti umani, alla protezione offerta ai propri cittadini dalla Polizia ed all’imparzialità dei Tribunali al di là delle pene edittali previste, come desumibile dai rapporti redatti da Organizzazioni internazionali all’uopo preposte.

Con la seconda ragione di doglianza il M. deduce violazione del disposto D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), posto che il Tribunale non ha valutato pienamente la fonte utilizzata per trarre le informazioni sulle quali ha basata la sua valutazione della situazione socio-politica del Kashmir, che in effetti appare connotata da attentati terroristici e violenza diffusa, stante il permanente stato di guerra tra India e Pakistan per il controllo della regione, siccome desumibile dai passi di altri rapporti, redatti da affidabili Organizzazioni internazionali, partitamente ritrascritti nel motivo di censura.

Le due ragioni d’impugnazione – come anche sottolineato dal ricorrente – sono strettamente connesse tra loro, sicchè possono esser esaminate unitariamente ed appaiono inammissibili.

La critica mossa appare generica – in entrambe le censure – posto che si limita ad apodittica contestazione delle statuizioni adottate dal Tribunale senza un effettivo confronto con la motivazione illustrata nel decreto impugnato.

Difatti il Collegio nisseno ha puntualmente indicato le ragioni, in forza delle quali ha ritenuto non credibile il racconto reso dal richiedente asilo – specie la mutazione delle dichiarazioni, l’incongruenza e la genericità del suo racconto su particolari rilevanti -, con anche specifico riguardo alla pena irrogata dal codice penale pakistano per il delitto di “corruzione” della bandiera, non punito con la pena di morte come affermato dal M..

Tale analitico accertamento operato dal Tribunale non viene attinto da specifica contestazione, limitandosi il ricorrente a proporre mera ricostruzione dogmatica astratta dell’istituto ed a lamentare genericamente che i parametri di valutazione della sua credibilità non erano stati applicati senza anche, in concreto, illustrarne la ragione fondante tale sua asserzione.

Con relazione, poi, alla situazione socio-politica del Kashmir, il Collegio nisseno ha puntualmente richiamato un passo al riguardo presente nel rapporto Easo del 2018 e valutato la specifica situazione della zona di residenza del richiedente asilo – lontana dalla linea di demarcazione tra India e Pakistan – siccome stabile e non connotata da atti di conflitto armato tra le due Nazioni nè da particolari atti di violenza interna.

Sulla scorta di dette precise informazioni attagliate sulla specifica condizione del richiedente asilo, il Collegio nisseno ha concluso che in detta zona la situazione socio-politica non appare connotata da violenza diffusa secondo l’accezione data a tale concetto dalla Corte Europea.

A fronte di detta puntuale motivazione, il ricorrente si limita a riportare passi di rapporti internazionali che lumeggiano l’esistenza, in altre zone del Pakistan, di momenti di criticità in relazione ad atti di violenza e terrorismo, anche a sfondo religioso, per quindi concludere che in generale nel Paese concorre situazione che rientra nella previsione D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c).

Tuttavia la conclusione del Tribunale non risulta incisa dalla mera contestazione mossa dal ricorrente poichè rimasta allo stato di tesi meramente alternativa fondata su dati di fatto non attinenti alla specifica situazione personale del ricorrente, sicchè nemmeno viene operato confronto specifico con la motivazione illustrata dal Tribunale.

Con la terza ragione di impugnazione il ricorrente deduce violazione della norma ex art. 112 c.p.c. ed D.P.R. n. 286 del 1998, art. 19 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, con riguardo al diniego della protezione umanitaria, in quanto il Collegio nisseno avrebbe valutato la questione solo alla luce degli elementi valutati in relazione alle altre forme di protezione, benchè i medesimi elementi possono esser valutati in modo diverso in relazione alla domanda di protezione umanitaria.

L’argomentazione critica esposta si compendia nella ricostruzione dogmatica dell’istituto e nell’apodittica affermazione che il Tribunale ha rigettato la domanda sulle base delle medesime argomentazioni utilizzate per disattendere le istanze afferenti le altre forme di protezione.

Al contrario, il Tribunale ha partitamente esaminato la concorrenza di condizioni di vulnerabilità, escludendo ciò sulla scorta della non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente asilo circa la sua vicenda personale, e delle sue condizioni vita in Patria, sulla scorta delle argomentazioni illustrate in occasione dell’esame delle altre forme di protezione chieste, quindi operando apposita valutazione di detti elementi rilevanti ai fini della specifica statuizione.

Il Tribunale siciliano ha, poi, rilevato come il ricorrente non presenta patologie e nemmeno ha fornito elemento alcuno al fine di valutare il suo inserimento sociale in Italia – ha documentato solo partecipazione a corso d’alfabetizzazione effettuando anche la comparazione in ordine alle condizioni di vita e di rispetto dei diritti fondamentali in Patria.

Alla declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione non segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità stante che l’Amministrazione resistente non s’è regolarmente costituita.

Concorrono in capo al ricorrente le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza in Camera di consiglio, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021

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