Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16623 del 08/08/2016


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Cassazione civile sez. I, 08/08/2016, (ud. 27/06/2016, dep. 08/08/2016), n.16623

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

MOLISERB s.r.L., in persona del l.r.p.t., rappr. e dif. dall’avv.

Egidio Iannucci, elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’avv. Antonello Ierardi, in Roma, via Crescenzio n. 25, come da

procura in calce all’atto

– ricorrente –

contro

Fallimento Trasformazione piante officinali s.c.a r.l., in persona

del curatore fallim. p.t., rappr. e dif. dall’avv.

C.V.A., elett. dom. presso lo studio del dott. Luca Centra, in

Roma, piazza Grati, n.20;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto Trib. Latino 24.11.2010, RGAC 252/2010,

2089 Cron., 521 Rep.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 27 giugno 2016 dal Consigliere relatore dott. Massimo Ferro;

uditi per il controricorrente l’avv. V. Centra;

udito il P.M. in persona del sostituto procuratore generale dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso ex art. 372 c.p.c. sul primo motivo, la inammissibilità o

manifesta infondatezza del ricorso; con condanna aggravata alle

spese.

Fatto

IL PROCESSO

La società Moliserb s.r.l. impugna il decreto Trib. Larino 24.11.2010 (n. 2089 Cron., 521 Rep.) che ebbe a rigettare la sua opposizione avverso il decreto del giudice delegato del Fallimento Trasformazione Piante Officinali s.c.a r.l. (TPO) denegativo dell’ammissione al passivo del proprio credito.

Secondo il tribunale, premessa l’ammissibilità della produzione documentale effettuata dalla curatela in sede di costituzione nel procedimento di reclamo, andava condiviso il diniego di prova della pretesa insinuata, poichè da un lato apparivano insufficienti i bonifici bancari e le contabili allegati a giustificare il titolo del credito vantato, nemmeno indicato nella specifica fonte contrattuale su cui si voleva appoggiato; dall’altro lato, nessun accertamento era contenuto nella sentenza emessa dallo stesso ufficio giudiziario, avendo anzi quel giudice respinto la domanda riconvenzionale spiegata dalla parte ivi resistente. Nessun accesso poteva poi disporsi alla c.t.u., sollecitata con finalità esplorative e alla richiesta di acquisizione dei bilanci, ben producibili in proprio dall’opponente e oltretutto generica quanto agli anni di riferimento.

Il ricorso è affidato a tre motivi ed è resistito con controricorso dal fallimento.

Diritto

I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deducono la violazione di legge e il vizio di motivazione quanto alla “valutazione” della sentenza n. 1007/06 del Trib. Larino, per la parte in cui essa, rigettando una domanda di sequestro svolta dalla società TPO (poi fallita) riconosceva crediti della Moliserb nei suoi confronti.

Con il secondo motivo si deducono la violazione di legge e il vizio di motivazione quanto alla “mancata valutazione” del materiale probatorio, consistente in documenti bancari (distinte, contabili) che avrebbero invece ricostruito il credito.

Con il terzo motivo si deducono la violazione di legge e il vizio di motivazione quanto a “mancata acquisizione” di materiale probatorio e “mancata predisposizione” di c.t.u.

1. Il ricorso, previa trattazione congiunta dei motivi stante la loro connessione, è inammissibile, per plurimi profili. Vi fa invero ed innanzitutto difetto, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti su cui il ricorso si fonda, non avendo parte ricorrente provveduto ad individuare in modo puntuale l’ambito processuale di produzione dei documenti ora invocati a sostegno del credito e a censura del provvedimento impugnato, nè la tempestività della inserzione nel rispettivo procedimento. La genericità qualifica in modo assoluto le distinte e le contabili bancarie, nemmeno menzionate nei propri dati storici o comunque oggetto di ripresa testuale, mentre i verbali assembleari di approvazione del bilancio (riportati per passi) non costituiscono documenti apprezzati nel contraddittorio davanti al giudice di merito: questi avendo motivatamente escluso la loro rilevanza per genericità della indicazione, la ricorrente non ha superato il deficit di puntualità che avrebbe dovuto connotarne l’allegazione al fine di ricostruire la decisività del loro esame, in alternativa plausibile all’accertamento mancato del credito. Ed invece, anche dai passi di tali verbali, non si evince un preciso riferimento del credito insinuato, nonchè dei suoi elementi storici essenziali, quali l’importo, il titolo, la data d’insorgenza. Nè può dirsi pertanto rispettato, a pena d’inammissibilità del ricorso, oltre all’onere di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, anche quello dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (Cass. 23575/2015).

2. La complessiva genericità delle censure si riflette altresì nell’aver esse non ottemperato al principio per cui il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ex art. 360 c.p.c., n. 3, ricorre (o non ricorre) a prescindere dalla motivazione posta dal giudice a fondamento della decisione (id est del processo di sussunzione), rilevando solo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata male applicata, poichè il ricorrente è tenuto, in ogni caso, a prospettare l’erronea interpretazione di una norma da parte del giudice che ha emesso la sentenza impugnata e ad indicare, a pena d’inammissibilità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, i motivi per i quali chiede la cassazione (Cass. 26307/2014). In effetti nessuno dei tre “motivi” individua con chiarezza l’errore di diritto che il giudice di merito avrebbe compiuto, già omettendo di precisare la norma violata e, quanto al vizio di motivazione concomitantemente aggiunto, le formule sbrigativamente rinvianti all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 non permettono di dar conto delle illogicità o carenze del quadro giustificativo rappresentato nel decreto, così da manifestarne la plausibile sovversione nella riconsiderazione di fattori istruttori non o male esaminati. Invero va ripetuto che, in tema di ricorso per cassazione, il ricorrente che denunci, quale vizio di motivazione, l’insufficiente giustificazione logica dell’apprezzamento dei fatti della controversia o delle prove, non può limitarsi a prospettare una spiegazione di tali fatti e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa, pur in possibile o probabile corrispondenza alla realtà fattuale, poichè è necessario che tale spiegazione logica alternativa appaia come l’unica possibile (Cass. 25927/2015). Nella complessiva censura la radicale assenza di menzione di uno specifico titolo del credito vantato esclude qualsiasi confronto con la dedotta erroneità della motivazione del giudice di merito, non aggirabile sul punto mediante la mera invocazione del lamentato e generico limite della sua attività istruttoria.

Il ricorso va dunque rigettato, con condanna alle spese in favore del controricorrente, liquidate secondo la regola della soccombenza e meglio determinate in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, liquidate in Euro 13.200 (di cui 200 per esborsi), oltre alla somma a forfait del 15% sui compensi ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 agosto 2016

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