Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16619 del 03/07/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 16619 Anno 2013
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: LAMORGESE ANTONIO PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 11715-2006 proposto da:
RETE

FERROVIARIA

ITALIANA

S.P.A.

(c.f.

01585570581), già denominata Ferrovie dello Stato
s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

Data pubblicazione: 03/07/2013

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI
PORTA PINCIANA 6, presso l’avvocato D’AMELIO PIERO,
2013
897

che la rappresenta e difende, giusta procura a
margine del ricorso;
– ricorrente –

I,

contro

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COMUNE DI FIRENZE, RENZI MARIA ELSA, RENZI MARIA
GLORIA;
– intimati –

avverso la sentenza n.

703/2005 della CORTE

D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 16/05/2005;

pubblica udienza del 21/05/2013 dal Consigliere
Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato C. SPAGNOLO,
con delega, che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per
il rigetto, in subordine accoglimento del solo
terzo motivo.

udita la relazione della causa svolta nella

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Svolgimento del processo
1.- Nel mese di ottobre 1995 le sig.re Maria Elsa Renzi e
Maria Gloria Renzi convenivano in giudizio il Comune di
Firenze e la società Ferrovie dello Stato (oggi Rete
Ferroviaria Italiana spa – RFI) per sentirli condannare al

pagamento delle indennità di cui all’art. 46 della legge
25 giugno 1865 n. 2359, per le conseguenze provocate dalla
costruzione del tracciato ferroviario in sopraelevata
della linea Firenze-Empoli e di una strada destinata ad
asse di scorrimento Firenze-Pistoia-Prato, consistenti
nella diminuzione del valore commerciale di due immobili
di loro proprietà, siti in Firenze, loc. Peretola, esposti
a inquinamento acustico e ambientale, a perdita di aria,
luce e panoramicità.
2.- Il Tribunale di Firenze, con sentenza del 18 marzo
1998, accoglieva la domanda contro il Comune di Firenze,
che condannava a pagare l’importo di £. 80.600.000, oltre
interessi, e rigettava la domanda contro le Ferrovie per
difetto di titolarità passiva del rapporto, in quanto le
pretese delle attrici dovevano essere indirizzate nei
confronti della società concessionaria COGEI, tenuto conto
del contenuto di una convenzione con la quale la COGEI
teneva indenne le Ferrovie da ogni forma, diretta o
indiretta, di responsabilità verso i terzi derivante dalla
progettazione e realizzazione della linea ferroviaria.

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3.- L’appello proposto dalle sig.re Renzi veniva accolto
dalla Corte di appello di Firenze che, con sentenza 16
maggio 2005, condannava le Ferrovie a pagare la somma di C
73.229,46, oltre interessi, e alle spese di entrambi i
gradi di giudizio, e confermava la statuizione di condanna

del Comune. La corte riteneva che il danno in questione
fosse stato prodotto da un fatto riconducibile non alla
progettazione esecutiva o all’esecuzione dei lavori
commissionati, cui si riferiva la convenzione, ma alla
localizzazione dell’opera, cioè alla (legittima) decisione
di costruire l’opera con quelle caratteristiche e in un
luogo prossimo agli immobili delle sig.re Renzi, cioè ad
un fatto precedente ed esterno al contenuto della
convenzione. Ogni pretesa delle Ferrovie ad essere tenuta
indenne dalla COGEI, in forza di accordi inter partes, non
era opponibile ai terzi danneggiati e poteva consentire
solo una chiamata in causa in garanzia impropria del
concessionario che non era stata effettuata.
4.- La RFI propone ricorso per cassazione affidato a tre
motivi illustrati da memoria. Le sig.re Renzi non hanno
svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1.- Nel primo motivo si imputa alla corte territoriale
vizio di motivazione e violazione di legge (artt. 46 legge
n. 2359/1865 e 1322, 1367 c.c.) per avere ritenuto che

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alla concessionaria COGEI fosse stata affidata soltanto la
progettazione esecutiva mentre, al contrario, come
stabilito nella convenzione stipulata con Ferrovie, le era
stata affidata la progettazione di massima, definitiva,
esecutiva e particolareggiata dell’opera, con il potere di

individuare il tracciato (in relazione alle
caratteristiche del territorio) e di proporre eventuali
soluzioni alternative e migliorative; il difetto di
legittimazione passiva in capo alla RFI si evincerebbe
anche dalla circostanza che la COGEI si era assunta totale
responsabilità verso i terzi per ogni pretesa
riconducibile all’opera “quale unico legittimato a
costituirsi e a resistere in giudizio” anche nelle
vertenze connesse alle procedure espropriative.
1.1.- Il motivo è infondato.
Il principio di diritto che la ricorrente assume violato,
a proposito della dedotta esclusiva legittimazione passiva
del concessionario, è stato espresso da numerose decisioni
di questa Corte (alcune richiamate nel ricorso: tra le
altre v. la n. 17881/2004, cui si può aggiungere la n.
19959/2011) che però si riferiscono alla particolare
fattispecie di delega conferita al concessionario per la
realizzazione delle opere relative all’attuazione di
programmi straordinari di edilizia residenziale nell’area
metropolitana di Napoli, la quale, per espressa

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disposizione normativa (art. 81 della legge 14 maggio 1981
n. 219), riveste caratteri di tale ampiezza da far
identificare nel concessionario stesso il soggetto tenuto
a rispondere dei danni procurati a terzi e delle
obbligazioni strumentalmente preordinate all’esecuzione

dell’opera pubblica. A tale fattispecie non è assimilabile
quella in esame, nella quale l’esecuzione dell’opera
pubblica è stata realizzata dal concessionario sulla base
di uno specifico atto convenzionale stipulato con
l’Amministrazione concedente, al quale i terzi danneggiati
sono rimasti estranei e la cui valutazione (incensurabile
in sede di legittimità) compete al giudice di merito. Il
ricorrente si è limitato a prospettarne una diversa
interpretazione senza indicare specificamente né la
violazione dei canoni ermeneutici legali che si assumono
violati né la presenza di vizi logici nella motivazione
della decisione impugnata.
La decisione della corte territoriale è in linea con la
giurisprudenza di legittimità la quale, nel caso di danni
derivanti dall’esecuzione di un’opera pubblica affidata in
concessione, ha ritenuto che la domanda risarcitoria vada
proposta nei confronti del concedente, senza che rilevi
l’obbligo di manleva assunto dal concessionario con
espressa disposizione contrattuale; quest’ultima non è
opponibile al terzo pregiudicato dall’attività legittima

6

dell’Amministrazione,

salvo

il

potere

di

rivalsa

separatamente azionabile nei confronti del concessionario,
senza che ciò comporti un mutamento della legittimazione
passiva dell’Amministrazione nei confronti del terzo
(Cass. n. 21427/2007); in particolare, è stata

riconosciuta la responsabilità della P.A. concedente nel
caso in cui l’attività di localizzazione dell’opera
pubblica e di predisposizione del relativo progetto abbia
comportato per il privato un pregiudizio indennizzabile ai
sensi dell’art. 46 della legge n. 2359 del 1865 (Cass. n.
3585/2010, n. 14312/1999).
2.- Nel secondo motivo si imputa alla sentenza impugnata
omessa motivazione e violazione di legge per avere
liquidato l’indennizzo

ex

art. 46 cit. in mancanza di

accertati pregiudizi al nucleo essenziale del diritto
dominicale, sulla base soltanto di un danno estetico per
la perdita della panoramicità degli immobili e di una
situazione di degrado ambientale, peraltro esclusa dal
c.t.u.
2.1.- Il motivo è infondato.
Si deve premettere in fatto che la corte territoriale ha
accertato l’esistenza di una situazione di inquinamento
acustico (oltre il limite della normale tollerabilità)
causato dall’aumento del traffico sulla strada realizzata
dal Comune di Firenze contestualmente alla costruzione

7

della linea ferroviaria sopraelevata, sorretta da piloni
in cemento armato, fronteggiante gli immobili delle
resistenti (ad un’altezza di circa cinque-sei metri). Essa
ha riconosciuto l’indennizzo anche in considerazione della
pregiudicata fruibilità (per la perdita di aria e luce)

degli immobili e per l’alterazione del paesaggio (che la
corte definisce come danno estetico). Questa motivazione,
che è sufficiente e immune da vizi logici, non è scalfita
dal riferimento della corte ad una situazione di degrado
ambientale delle aree al di sotto della sopraelevata
ferroviaria di cui, invece, il c.t.u. avrebbe accertato la
riduzione in corso di causa.
2.2.- La ricorrente, inoltre, contesta in radice la
sussistenza dei presupposti richiesti dall’art. 46 della
legge n. 2359/1865 per il riconoscimento dell’indennità ai
proprietari dei fondi (non espropriati) i quali
dall’esecuzione dell’opera di pubblica utilità “vengano a
soffrire un danno permanente derivante dalla perdita o
dalla diminuzione di un diritto”, da intendere con
esclusivo riferimento ai sacrifici che si traducano in
pregiudizi gravi al nucleo essenziale del diritto di
proprietà del privato, mai ravvisabili nella sottrazione
di vedute, luce e aria di cui il proprietario poteva prima
beneficiare, trattandosi di interessi privi di rilevanza
giuridica autonoma.

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Queste osservazioni meritano una riflessione, essendo
l’indennizzo stato riconosciuto dalla corte territoriale
sul duplice presupposto che si trattasse di immissioni
acustiche intollerabili e che, per effetto della
costruzione della linea ferroviaria, le sig.re Renzi

avessero visto limitato il godimento dei loro immobili
(che si trovavano a ridosso dell’opera pubblica) quanto a
panoramicità e luminosità.
2.3.- Alcune decisione di questa Corte sono infatti nel
senso che l’indennizzo in questione spetta se l’opera
pubblica abbia realizzato un’apprezzabile compressione o
riduzione del diritto di proprietà inciso, ma “ciò non si
verifica ove siano interessate quelle utilità marginali
che non trovano tutela nell’ordinamento come diritti
soggettivi autonomi o come attributi caratteristici e
qualificanti del diritto di proprietà quali l’insolazione,
l’areazione, l’ampiezza della veduta panoramica. La
sensibile compressione delle obiettive possibilità di
utilizzazione del fabbricato può invece verificarsi (ed è
quindi dovuto l’indennizzo) nel caso di riduzione della
capacità abitativa, o nel pregiudizio subito dall’immobile
per effetto di immissioni di rumori, vibrazioni, gas di
scarico e simili, quando (e solo se) le stesse per la loro
continuità ed intensità superino i limiti della normale
tollerabilità, da apprezzarsi con i criteri posti

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dall’art.

844

cod.

civ.”

(Cass.

n.

26261/2007,

n.

12213/2012 in motiv.; la riduzione della capacità
abitativa è considerata rilevante solo nei casi di
peggioramento delle condizioni materiali di accesso
all’immobile privato: v. Cass. n. 12146/1990 in motiv.).

2.4.- Condivisibile è il riferimento, da intendersi in via
analogica, all’art. 844 c.c., nel senso che un diritto
all’indennizzo non sorge se le immissioni sono tollerabili
(al pari di quanto avviene nei rapporti tra privati). Meno
condivisibile è la radicale affermazione della
insussistenza del diritto all’indennizzo nelle situazioni
in cui, in mancanza di immissioni in senso stretto, la
presenza dell’opera pubblica provochi di per sé una
limitazione delle facoltà di godimento da parte del
proprietario per la riduzione di luce, aria e veduta
dell’immobile.
Infatti la posizione soggettiva cui si deve avere riguardo
non è quella del proprietario rispetto alla pubblica
strada o allo spazio aereo che circonda la propria
abitazione, ma quella che deriva dal rapporto tra lo
stesso soggetto e l’immobile di sua proprietà. E non può
esservi dubbio che, per effetto della legittima
costruzione di un’opera pubblica, il proprietario può
essere privato di utilità che, lungi dall’essere
“marginali”,

ineriscono giuridicamente al contenuto

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intrinseco della sua proprietà, quali la luminosità, la
panoramicità (cfr. Cass. n. 8412/1990, n. 6581/1991) e, in
definitiva, la godibilità dell’immobile, con conseguente
diminuzione della capacità abitativa che si traduce in una
riduzione dell’appetibilità e quindi del suo potenziale

valore commerciale.
Con ciò non si vuol dire che la P.A., quando ricorrano le
condizioni di pubblico interesse previste dalla legge, non
possa privare il proprietario di queste utilità e facoltà,
ma implica soltanto l’obbligo di indennizzarlo per le
privazioni impostegli, dalle quali è derivata, per usare
la stessa terminologia adoperata dal legislatore del 1865,
una “diminuzione del diritto” di proprietà o, a norma
dell’art. 44 del d. lgs. 8 giugno 2001 n. 327, una
“ridotta possibilità di esercizio del diritto di
proprietà”, con conseguente verosimile “diminuzione del
valore venale del bene” (Cass. n. 2366/1988, n.
7224/1995), purché “economicamente apprezzabile”, anche
considerando l’eventuale vantaggio che al fondo sia
derivato dalla vicinanza dell’opera pubblica (Cass. n.
24266/2010). Ciò in virtù di un principio di giustizia
distributiva che vuole che le conseguenze economiche
pregiudizievoli causate da opere dirette al conseguimento
di vantaggi pubblici non ricadano su un solo privato o su
una ristretta cerchia di privati ma siano sopportate dalla

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collettività

(è questo

il

significato del

“salvo

indennizzo” di cui all’art. 42, comma 3, Cost.).
2.5.- Dev’essere dunque affermato il principio di diritto
secondo cui, in tema di espropriazione, l’indennizzo di
cui agli artt. 46 della legge n. 2359 del 1865 e 44 del d.

lgs. n. 327 del 2001 spetta se l’opera pubblica abbia
realizzato una compressione del diritto di proprietà
conseguente alla riduzione della capacità abitativa, che
può verificarsi sia per effetto di immissioni
intollerabili di rumori, vibrazioni, gas di scarico e
simili, sia in tutti i casi in cui il bene subisca
un’oggettiva e apprezzabile riduzione della luminosità,
panoramicità e godibilità dell’immobile, purché idonea a
tradursi in una oggettiva riduzione del suo valore
economico.
3.- Nel terzo motivo la sentenza è censurata per omessa
motivazione e violazione di legge (artt. 62, 115, 116
c p c ) quanto al calcolo del danno che la corte avrebbe
effettuato senza tenere conto che le tecnologie
costruttive adottate per la costruzione della linea
ferroviaria erano mirate all’abbattimento delle emissioni
di vibrazioni e del rumore.
3.1.- Il motivo è inammissibile, in quanto mira a una
rivisitazione delle questioni di fatto in senso difforme
dalla valutazione MI=;:g:IMILA.,1 giudice di merito,

12

senza lo svolgimento di argomentate e condivisibili
critiche alla logicità delle ragioni della decisione
impugnata.
4.- Il ricorso è rigettato.

La Corte rigetta il ricorso.
Roma, 21 maggio 2013.

P.Q.M.

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