Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16618 del 11/06/2021

Cassazione civile sez. I, 11/06/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 11/06/2021), n.16618

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13024/2019 R.G. proposto da:

I.I., rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Barone,

con domicilio in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria civile

della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Napoli depositato il 27 marzo

2019.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 27 gennaio

2021 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto del 27 marzo 2019, il Tribunale di Napoli ha rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta da I.I., cittadino del Togo.

Premesso che a sostegno della domanda il ricorrente aveva riferito di essersi allontanato dal Paese di origine per sottrarsi all’arresto e ad eventuali ritorsioni da parte del proprietario di un fondo confinante con quello da lui coltivato, che era rimasto danneggiato da un incendio da lui provocato mediante l’accensione di un fuoco, il Tribunale ha ritenuto non credibile la narrazione, in quanto generica e per alcuni aspetti inverosimile. Ha aggiunto che l’ I. non aveva adempiuto il dovere di cooperazione posto a suo carico, non essendo comparso in udienza per rendere i necessari chiarimenti, osservando comunque che dalla vicenda riferita non emergeva il rischio di sotto-posizione ad atti persecutori nè quello di un danno grave. Ha richiamato inoltre le informazioni desunte da fonti internazionali, da cui emergeva che il Togo si trova in una situazione politica di relativa calma, rilevando che nel Paese si registrano gravi violazioni dei diritti umani, ma precisando che nessuno degli aspetti critici segnalati era riferibile al ricorrente. Ha pertanto rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, ritenendo altresì insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, in quanto il ricorrente non aveva allegato particolari motivi di vulnerabilità.

2. Avverso il predetto decreto l’ I. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi. Il Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e art. 27, comma 1-bis, osservando che il Tribunale ha fondato il proprio convincimento esclusivamente sulla credibilità delle dichiarazioni da lui rese e sull’insussistenza del rischio di persecuzione, senza esercitare i propri poteri officiosi di indagine per acquisire un’adeguata conoscenza della situazione socio-politica ed economica e delle disposizioni legislative e regolamentari del suo Paese di origine.

1.1. Il motivo è infondato.

In tema di protezione internazionale, il dovere, posto a carico del giudice dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, di acquisire informazioni in ordine alla reale ed attuale situazione del Paese di origine dello straniero non sorge per il solo fatto che sia stata proposta una domanda di protezione, postulando invece che il richiedente abbia adempiuto l’onere di allegazione dei fatti costitutivi del diritto azionato, mediante l’esposizione di una vicenda personale non solo intrinsecamente attendibile e plausibile sul piano razionale, ma anche idonea a giustificare il timore, da lui prospettato, di restare esposto, in caso di rimpatrio, ad atti persecutori, da intendersi nel senso di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8, o ad un danno grave, nel senso di cui all’art. 14 del medesimo Decreto. Le dichiarazioni rese dallo straniero, se non suffragate da prove, devono essere infatti sottoposte, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ad un controllo di credibilità, avente ad oggetto da un lato la coerenza interna ed esterna delle stesse, ovverosia la congruenza intrinseca del racconto e la sua concordanza con le informazioni generali e specifiche di cui si dispone, dall’altro la plausibilità della vicenda narrata, che deve risultare attendibile e convincente sul piano razionale, non comportando tale verifica un aggravamento della posizione del richiedente, il quale beneficia anzi di un’attenuazione dell’onere della prova, ricollegabile al dovere del giudice di acquisire d’ufficio il necessario materiale probatorio ed al potere di ritenere provate circostanze che non lo sono affatto, ferma restando, per l’appunto, la necessità che i fatti narrati superino il predetto vaglio di logicità (cfr. Cass., Sez. I, 4/11/2020, n. 24575; 7/08/2019, n. 21142). L’esito negativo del predetto controllo consente di escludere la necessità di approfondimenti istruttori ulteriori in ordine alla situazione in atto nel Paese di origine del richiedente, dal momento che il dovere di cooperazione istruttoria officiosa posto a carico del giudice dall’art. 8, comma 3, cit. non opera laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass., Sez. I, 12/ 06/2019, n. 15794; Cass., Sez. VI, 20/12/2018, n. 33096; 19/02/2019, n. 4892).

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 7, 8 e 11 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, sostenendo che, nel rigettare la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, il decreto impugnato ha escluso la credibilità della vicenda personale da lui narrata, senza tener conto della concordanza della stessa con le informazioni generali relative al suo Paese di origine. Precisato di essersi allontanato dal Togo per sfuggire al pericolo di attacchi terroristici, afferma che in caso di rimpatrio rischia di subire atti di violenza fisica e psichica, nei confronti dei quali le autorità statali non sono in grado di fornire protezione.

2.1. Il motivo è inammissibile.

In tema di protezione internazionale, la valutazione in ordine alla credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente, da condursi sulla base dei criteri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, costituisce un apprezzamento di fatto, rimesso al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto che abbia costituito oggetto del dibattito processuale e risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, ovvero ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per mancanza assoluta, mera apparenza, perplessità o grave contraddittorietà della motivazione (cfr. Cass., Sez. I, 2/07/2020, n. 13578; 7/08/2019, n. 21142; Cass., Sez. III, 19/06/2020, n. 11925). Tali vizi nella specie non sono stati neppure dedotti, essendosi il ricorrente limitato a far valere il vizio di violazione di legge, in relazione all’omessa valutazione della situazione generale esistente nel suo Paese di origine, sulla base peraltro di una ricostruzione dei fatti completamente diversa da quella fornita nel giudizio di merito: come si evince dal decreto impugnato, rimasto incensurato sul punto, nel colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale l’ I. non ha fatto alcun cenno al rischio di rimanere coinvolto in attentati terroristici, avendo riferito di essersi allontanato dal Togo per il timore di essere arrestato o di subire ritorsioni ad opera del proprietario di un fondo confinante con quello da lui coltivato, rimasto danneggiato a causa di un incendio da lui provocato.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), rilevando che, nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, il decreto impugnato non ha tenuto conto dell’attuale situazione del Togo, caratterizzata da problematiche razziali, di opinione, di appartenenza a gruppi sociali e religiosi diversi, che possono condurre a persecuzioni, maltrattamenti e violenze. Ribadisce di essere fuggito dal suo Paese per sottrarsi al rischio di un danno grave derivante da attacchi terroristici che determinano una situazione di violenza indiscriminata, aggiungendo di aver manifestato, nel corso della sua permanenza presso il centro di accoglienza, tendenze omosessuali, che in Togo costituiscono reato e danno luogo a persecuzioni.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Ai fini dell’esclusione della configurabilità della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il Tribunale ha correttamente adempiuto il dovere di cooperazione istruttoria previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, avendo richiamato informazioni tratte da una pluralità di fonti internazionali autorevoli ed aggiornate, da cui ha desunto che in Togo non esiste una situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato, essendo il Paese caratterizzato da una condizione politica di relativa calma, conseguente allo svolgimento delle più recenti elezioni politiche, e registrandosi soltanto violazioni di diritti umani, limitate però a categorie alle quali non appartiene il ricorrente. Tale apprezzamento, anch’esso riservato al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità esclusivamente nei limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (cfr. Cass., Sez. II, 29/10/2020, n. 23942; 15/07/2020, n. 15047; Cass., Sez. I, 21/11/2018, n. 30105), non risulta nella specie validamente censurato, essendosi il ricorrente limitato a far valere il vizio di violazione di legge, insistendo peraltro sulla propria esposizione, in caso di rimpatrio, al rischio di attentati terroristici, specificamente escluso dalla Corte di merito, nonchè sul rischio di persecuzioni collegate alla sua condizione di omosessuale, non menzionata nel decreto impugnato, senza neppure specificare in quale fase ed in quale atto del giudizio di merito la stessa è stata fatta valere.

4. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, censurando il decreto impugnato per aver rigettato la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, senza tener conto della condizione di vulnerabilità da lui rappresentata, del rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti e della situazione d’instabilità politica e sociale del Togo, caratterizzata da gravi violazioni dei diritti umani.

4.1. Il motivo è inammissibile, in quanto, postulando l’omesso esame da parte del Tribunale degli elementi di fatto addotti a sostegno della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, non attinge la ratio decidendi del decreto impugnato, che ai fini del rigetto della predetta domanda ha rilevato la mancata allegazione da parte del ricorrente di particolari motivi di vulnerabilità personale, tra i quali deve comprendersi anche l’appartenenza ad una delle categorie esposte alle violazioni dei diritti umani in atto nel Togo, la cui allegazione è stata specificamente esclusa ai fini del rigetto della domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria.

Tali rilievi si pongono in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di protezione umanitaria, secondo cui la verifica da parte del giudice dell’esistenza di seri motivi che impongano di offrire tutela a situazioni di vulnerabilità individuale è subordinata all’allegazione dei fatti costitutivi del diritto azionato, vale a dire all’indicazione di elementi idonei a far ritenere che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dello esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (cfr. Cass., Sez. I, 2/07/2020, n. 13573). Anche ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, come accade per le altre forme di protezione cd. maggiori, l’attenuazione del principio dispositivo, derivante dalla previsione del potere-dovere di cooperazione istruttoria officiosa da parte del giudice, si colloca infatti esclusivamente sul versante della prova, restando invece estraneo a quello dell’individuazione dei fatti che giustificano il riconoscimento della misura, la cui allegazione resta a carico del richiedente (cfr. Cass., Sez. II, 14/08/2020, n. 17185; Cass., Sez. I, 3/02/2020, n. 2355; 21/11/2018, n. 30105).

5. Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione dell’intimato.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021

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