Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16614 del 15/07/2010

Cassazione civile sez. I, 15/07/2010, (ud. 22/06/2010, dep. 15/07/2010), n.16614

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Gabriella – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.C., domiciliato in Roma, Via Virgilio 38, presso

l’avv. L. Ranieri, rappresentato e difeso dall’avv. FALZONE L., come

da mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.G., domiciliata in Roma, piazza Martiri di Belfiore

2, presso l’avv. G. Alessi, rappresentata e difesa dall’avv. RABIOLO

P., come da mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 237/2006 della Corte d’appello di

Caltanissetta, depositata il 28 giugno 2006;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Aniello Nappi;

Udite le conclusioni del P.M., Dr. CENICCOLA Raffaele, che ha chiesto

il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Caltanissetta si è pronunciata nel giudizio di separazione personale tra i coniugi C.C. e D.G..

I giudici d’appello hanno così deciso:

a) hanno ribadito il rigetto della domanda di addebito della separazione alla moglie, ritenendo che l’allontanamento della moglie dalla casa coniugale era stato conseguenza e non causa della rottura del rapporto tra i coniugi;

b) hanno confermato l’assegnazione alla moglie della casa coniugale, nella quale la donna convive con la figlia maggiorenne e non ancora autosufficiente, oltre che di un assegno mensile di duecento Euro.

Contro questa sentenza ricorre ora per cassazione C. C. e propone quattro motivi d’impugnazione, cui resiste con controricorso D.G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 143 c.c., comma 2 e art. 151 c.c., comma 2, in relazione all’art. 2697 c.c. e all’art. 115 c.p.c., lamentando che i giudici del merito abbiano erroneamente negato rilevanza alla violazione dell’obbligo di coabitazione da parte di D.G..

Sostiene che manchi la prova di un logoramento del rapporto preesistente all’abbandono della casa coniugale da parte di D. G., non potendo in tal senso valutarsi la deposizione lacunosa e generica della figlia C.. E si duole che i giudici del merito abbiano omesso di valutare la mancata contestazione da parte della moglie della deduzione relativa al suo allontanamento dalla casa coniugale.

Il motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa corte, infatti, nella separazione personale “la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri posti dall’art. 143 c.c., a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare se tale violazione, lungi dall’essere intervenuta quando era già maturata e in conseguenza di una situazione di intollerabilità della convivenza, abbia, viceversa, assunto efficacia causale nel determinarsi della crisi del rapporto coniugale. L’apprezzamento circa la responsabilità di uno o di entrambi i coniugi nel determinarsi della intollerabilità della convivenza è istituzionalmente riservato al giudice di merito e non può essere censurato in sede di legittimità in presenza di una motivazione congrua e logica” (Cass., sez. 1^, 28 aprile 2006, n. 9877, m. 588786).

Nel caso in esame dunque non è in discussione l’allontanamento di D.G. dalla casa coniugale, che, come il ricorrente ricorda, non è stato mai contestato dalla donna. Ciò che rileva è se l’intollerabilità della convivenza tra i coniugi abbia in tale allontanamento la sua origine. E questo rapporto di causalità è stato del tutto plausibilmente escluso dai giudici del merito, anche sulla base della deposizione della figlia C., rivelatrice di per sè di una situazione ormai degradata già da tempo.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 155 c.c., comma 4, in relazione all’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., censurando l’assegnazione della casa coniugale alla moglie.

Lamenta che i giudici del merito abbiano giustificato la propria decisione con riferimento alle condizioni economiche di D. G., anzichè alle esigenze della figlia, la cui mancanza di indipendenza economica non risulta dimostrata.

Aggiunge che la moglie e la figlia, abbandonando spontaneamente l’abitazione familiare, hanno già dimostrato di non avervi interesse; mentre egli vi ha trasferito la propria attività economica.

Il motivo è infondato.

Come già l’art. 155 c.c., comma 4, nel suo testo previgente e nell’interpretazione propostane dalla giurisprudenza (Cass., sez. 1^, 22 marzo 2007, n. 6979, m. 595757), anche l’art. 155 quater c.c., prevede ora che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”, benchè prescriva che dell’assegnazione il giudice tenga conto “nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà”.

Nel caso in esame i giudici del merito hanno confermato l’assegnazione della casa coniugale a D.G., in ragione della sua convivenza con la figlia C., maggiorenne e non ancora indipendente economicamente.

La considerazione per le condizioni economiche della donna, disoccupata, ha solo supportato la giustificazione riferita all’interesse della figlia convivente.

Il ricorrente, sulla base della deposizione della ragazza, contesta che la figlia non sia economicamente autosufficiente. Ma è evidente che un reddito inferiore a Euro 170,00 mensili percepito come apprendista non può essere considerato tale da assicurare autonomia economica.

3. Il terzo e il quarto motivo del ricorso attengono al riconoscimento di un assegno di mantenimento in favore di D. G..

Con il terzo motivo il ricorrente deduce omessa motivazione in ordine al comportamento della moglie, decisivo ai fini del riconoscimento dell’assegno di mantenimento. Sostiene infatti che la donna, non avendo mai posto in esecuzione la sentenza che le riconosceva crediti pregressi nè proposto alcuna azione a tutela dei suoi crediti, ha dimostrato di non essere in stato di bisogno.

Con il quarto motivo il ricorrente deduce omessa motivazione in ordine al mutamento delle sue condizioni economiche, lamentando che i giudici del merito abbiano erroneamente valutato la documentazione fiscale prodotta e abbiano apoditticamente ritenuto inveritiera la sua affermazione di aver cessato l’attività commerciale.

I motivi sono entrambi inammissibili, perchè sono formulati in violazione dell’art. 366 bis c.p.c., e comunque propongono censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata con riferimento a una ragionevole valutazione della situazione economica delle parti.

Secondo la giurisprudenza di questa corte in tema di assegno di mantenimento e di concreta determinazione del relativo ammontare, infatti, è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice di merito formulato in maniera non illogica sulla base delle informazioni ritenute significative (Cass., sez. 1^, 3 agosto 2007, n. 17055, m. 599718).

Nel caso in esame i giudici del merito, escludo che D. G. abbia un qualsiasi reddito, hanno ritenuto che C. C., seppur gravato dei debiti propri di ogni attività di impresa, continui nella sua attività commerciale, come dimostrato tra l’altro proprio dalla documentazione dei suoi debiti tributari. E questa ricostruzione dei fatti non è certamente censurabile nel giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della resistente, liquidandole in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2010

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