Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16614 del 03/07/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 16614 Anno 2013
Presidente: CARNEVALE CORRADO
Relatore: CECCHERINI ALDO

SENTENZA

sul ricorso 873-2009 proposto da:
SNAM RETE GAS S.P.A. (c.f. 13271390158), in persona
del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in
ROMA, PIAllA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE

Data pubblicazione: 03/07/2013

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato PARIS’ ACHILLE, giusta procura in calce
2013

al ricorso;
– ricorrente-

793

contro

RUGGERI

SALVATORE,

RUGGERI

GIACOMO,

RUGGERI

A

1

FRANCESCO, RUGGERI NICOLINO;
– intimati –

Nonché da:
RUGGERI NICOLINO (c.f. RGGNLN63R14F147R), RUGGERI
GIACOMO (c.f. RGGGCM68R07F147W), RUGGERI SALVATORE

RGGFNC67A05F1470), elettivamente domiciliati in ROMA,
CORSO TRIESTE 87, presso l’avvocato ANTONUCCI ARTURO,
rappresentati e difesi dall’avvocato SAITTA ANTONIO,
giusta procura a margine del controricorso e ricorso
incidentale;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali contro

SNAM RETE GAS S.P.A. (c.f. 13271390158), in persona
del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE
DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato PARISI ACHILLE, giusta procura in calce
al ricorso principale;

(C.F. RGGSVT71R25F147N), RUGGERI FRANCESCO (c.f.

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 437/2008 della CORTE D’APPELLO
di MESSINA, depositata il 23/07/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/05/2013 dal Consigliere Dott. ALDO
CECCHERINI;

2

udito,

per

i

controricorrenti

e

ricorrenti

incidentali, l’Avvocato ANTONIO SAITTA che ha chiesto
il rigetto del ricorso principale, l’accoglimento
dell’incidentale;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

rigetto del ricorso principale, l’accoglimento
dell’incidentale per quanto di ragione.

Generale Dott. IGNAZIO PATRONE che ha concluso per il

3

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza non definitiva in data 3 aprile
2002, pronunciata nel giudizio per la determinazione
dell’indennità di servitù di metanodotto, instaurato

eredi del proprietario del fondo asservito, Antonino
Ruggeri, nei confronti della SNAM s.p.a., la Corte
d’appello di Messina ha respinto le eccezioni preliminari sollevate dalla società convenuta, in ordine
alla decadenza dall’opposizione.
Assunta una prima consulenza tecnica, dalla quale risultava l’inclusione del terreno asservito in
una zona produttiva di recupero, in cui non era consentito alcun tipo di attività edilizia, la corte,
accogliendo una richiesta degli attori, dispose un
supplemento di consulenza, per accertare se il fondo
avesse natura e consistenza di cava. All’esito di tale adempimento, con la successiva sentenza definitiva
in data 23 luglio 2008, la stessa corte ha determinato l’indennità di asservimento, basandosi sulla relazione di consulenza, che aveva accertato la qualità
di cava del terreno asservito.
2. Per la cassazione delle due sentenza ricorre
la SNAM s.p.a., per cinque motivi.

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con citazione notificata il 23 febbraio 2000 dagli

I proprietari resistono con controricorso e ricorso incidentale per due motivi. Ad esso resiste la
SNAM s.p.a. con controricorso.
La ricorrente principale ha depositato memoria

3.

Con il primo motivo, la società ricorrente

denuncia la violazione dell’art. 19 della legge n.
865 del 1971, avendo la corte territoriale, con la
sentenza non definitiva, rigettato l’eccezione di
tardività dell’opposizione, per l’inesistenza della
notificazione del decreto di asservimento e determinazione dell’indennità al proprietario Antonio Ruggeri, eseguita il 23 dicembre 1999, dopo che questi era
deceduto il 25 aprile 1995. Si deduce che la notifica
era avvenuta a mani del figlio del defunto, Nicolino,
che aveva accettato il plico, omettendo di dichiarare
che il destinatario era deceduto. Si pone il quesito
se il termine di 30 giorni per proporre l’opposizione
alla stima avverso l’indennità di asservimento decorra dalla conoscenza effettiva, pur in difetto di notifica del decreto.
3.1. Al quesito deve darsi risposta negativa. La

nullità della notificazione del decreto di espropriazione, o di asservimento – notificazione che ha carattere sostanziale nell’ambito del procedimento a5

MOTIVI DELLA DECISIONE

blativo nonostante l’assoggettamento alle regole di
notificazione proprie delle citazioni – impedisce il
decorso del termine di decadenza per l’opposizione
alla stima, senza che possa assumere rilievo la cir-

dell’interessato, non potendo trovare applicazione,
data la natura non processuale della detta notificazione, il principio della sanatoria della nullità per
il raggiungimento dello scopo (Cass. 20 marzo 1990 n.
2318; conformi n. 5588/83, n. 5487/79). Nella fattispecie, peraltro, la notificazione alla parte deceduta non era nulla ma radicalmente inesistente, e non
poteva avere alcuna rilevanza la conoscenza di fatto
di altri soggetti non destinatari della notificazione, ancorché eredi.
4. Con il secondo motivo, denunciando la viola-

zione della stessa disposizione, si deduce che nelle
date 21, 22 e 23 dicembre 1999 il decreto era stato
notificato agli altri comproprietari del fondo oggetto di opposizione. Si pone il quesito se nel caso di
comproprietari, la corretta notifica del decreto nei
confronti di alcuni degli aventi diritto determini la
decorrenza del termine di opposizione anche per gli
altri contitolari nei cui confronti non sia stata eseguita la notifica.

6

costanza che l’atto sia comunque venuto a conoscenza

4.1. Anche a questo quesito deve darsi risposta

negativa. E’ opportuno, a questo proposito, premettere che il termine di trenta giorni per la proposizione dell’opposizione alla stima decorreva, secondo

foglio degli annunzi legali della Provincia (F.A.L.)
della relazione della Commissione Provinciale, sul
presupposto che essa costituisse l’atto finale del
procedimento espropriativo, in quanto preceduta, oltre che dal deposito nella segreteria del Comune della stessa relazione della Commissione, dalla notifica
ai proprietari delle indennità definitive e, ovviamente, del decreto di esproprio, dovendosi interpretare detto art. 19 in correlazione con il precedente
art. 15. Qualora invece, per inosservanza del modello
procedimentale, la pubblicazione nel F.A.L. abbia
preceduto una o più delle sopra indicate formalità, è
dalla notifica dell’ultima di esse che decorre il
termine breve, trovando applicazione, in mancanza, la
prescrizione ordinaria decennale (tra le molte, Cass.
15 luglio 2004 n. 13111). In altre parole, nel disegno della legge, ispirato allo scopo di assicurare
l’unicità del giudizio di opposizione, il termine in
questione decorre per tutti gli interessati unitariamente (cfr. Cass. 15 marzo 2001 n. 3749; conforme 20

.

7

previsione originaria di legge, dall’inserzione nel

aprile 2006 n. 9315), sicché è escluso che, dopo la
pubblicazione sul F.A.L., il decreto possa essere utilmente notificato ad alcuni soltanto dei comproprietari, facendo decorrere il termine anche per gli

5. Con il terzo motivo si denuncia la violazione

degli artt. 1100 ss. c.c., 1314 c.c., 19 legge n,.
865 del 1971. Si censura l’affermazione della corte
territoriale, secondo la quale, nell’ipotesi di espropriazione di un bene in comunione, l’opposizione
del singolo partecipante alla comunione estende i
suoi effetti nei confronti dei proprietari non opponenti, sicché deve determinarsi l’indennità per
l’intero bene asservito, permanendo la comunione sul
vincolo fino allo svincolo.
5.1. Il motivo è infondato, essendosi il giudice

di merito uniformato alla consolidata giurisprudenza
di legittimità. Secondo l’insegnamento delle sezioni
unite di questa corte, nell’ipotesi di espropriazione
di un bene indiviso spettante in proprietà a più soggetti, l’opposizione proposta dal singolo comproprietario avverso la stima amministrativa estende i suoi
effetti, necessariamente unitari, anche nei confronti
dei comproprietari non opponenti o rimasti estranei
al giudizio promosso dal comproprietario diligente,

8

altri.

del quale, peraltro, essi non sono litisconsorti necessari (Cass. sez. un. 15 giugno 1993 n. 6635).
6. Con il quarto motivo si denuncia la violazio-

ne dell’art. 5 bis d.l. n. 333/92 e dell’art. 40 t.u.

levanza alla natura del terreno, che ne consente lo
sfruttamento come cava, si obietta che nell’alternativa tra terreni edificabili e terreni non edificabili, indennizzabili come terreni agricoli, non è previsto dal sistema vigente un

tertium genus,

quale la

cava.
6.1.

Anche in questo caso il motivo si pone in

contrasto con la consolidata giurisprudenza di questa
corte, per la quale l’indennizzo per l’espropriazione
delle miniere o delle cave, da considerare entità
fruibili direttamente in termini di appropriazione
materiale e non reversibile né rinnovabile – ovvero
in un contesto di utilizzazione e consumo che sfugge
alla logica che, nell’ottica dell’art. 5 bis del d.l.
11 luglio 1992, n. 333, convertito in legge 8 agosto
1992, n. 359, presiede alla valutazione delle aree si sottrae alla rigida dicotomia normativa tra suoli
agricoli e suoli edificatori, onde va determinato in
modo da apprestare un serio ristoro per l’ablazione
di tali beni e, quindi, sulla base del razionale ri-

9

espropri. Avendo la corte territoriale attribuito ri-

ferimento ai proventi che l’espropriato sarebbe stato
in grado di ricavare, in una libera contrattazione,
per effetto dell’esercizio dell’attività estrattiva
(Cass. 25 luglio 2006 n. 16983).

ne della medesima norma, perché il fondo, in atto e
come risultava alla consulenza d’ufficio, non era utilizzato ai fini dello sfruttamento della cava.
7.1.

Sul punto l’insegnamento di questa corte

non è univoco. Il ricorrente richiama infatti un indirizzo giurisprudenziale, per il quale, ai fini della liquidazione dell’indennità di espropriazione di
una cava secondo il criterio del valore venale ai
sensi dell’art. 39 legge n. 2359 del 1865, è necessario che il bene espropriato costituisca effettivamente una cava, e non un mero giacimento non ancora coltivato (in questo senso la corte si è pronunciata con
le sentenze 13 gennaio 2004 n. 268, e 9 gennaio 2009
n. 272). Al tempo stesso, tuttavia, questa corte ha
ripetutamente affermato anche il principio che la cava, pur in mancanza di autorizzazione amministrativa
all’esercizio dell’attività, viene in considerazione
come strumento di produzione del reddito correlato
all’estrazione del materiale, e tale reddito costituisce il razionale riferimento per la determinazione

10

7. Con il quinto motivo si denuncia la violazio-

dell’indennità di espropriazione dovuta (Cass. 23 novembre 2012 n. 20760), e questo insegnamento è stato
anche fatto proprio dalle sezioni unite (Cass. sez.
un. 16 marzo 2010 n. 6309).

rebbe contraddizione, perché la stima del valore venale della cava, ai fini della determinazione
dell’indennità di espropriazione, non è influenzata
dalla circostanza che – in ipotesi- l’attività estrattiva abbia avuto inizio in assenza di autorizzazione, e quindi in violazione di una norma amministrativa, che è comportamento sanzionato su un piano
diverso. Ma la rilevanza di tale distinzione (che
porterebbe confermare la giurisprudenza invocata dalla ricorrente) appare contraddetta dalla motivazione
della già citata sentenza delle sezioni unite, laddove si osserva che il valore venale dell’immobile, costituente il parametro legale della determinazione
dell’indennità di espropriazione, deve essere calcolato in relazione alle capacità estrattive della cava, secondo le potenzialità materiali ed economiche
della stessa: tali potenzialità, infatti, prescindono
non solo dall’esistenza di un’autorizzazione, ma anche dalla circostanza che l’attività estrattiva sia
già cominciata. In questa prospettiva, l’indirizzo

11

In linea teorica, tra i due indirizzi non vi sa-

precedente,

che

ai

fini

della

determinazione

dell’indennità di espropriazione valorizzava la cava
come attività estrattiva invece che come giacimento
di materiale minerario, non può essere mantenuto,

cava, ai fini della determinazione dell’indennità di
asservimento, richieda che l’attività estrattiva abbia già avuto inizio.
Vero è, piuttosto,

che nel caso in cui

l’attività estrattiva non sia stata autorizzata e non
abbia ancora avuto inizio, la stima del valore venale
del fondo – espropriato o, come in questo caso, asservito – come cava suppone che l’attività estrattiva
possa essere autorizzata; e cioè, posto che in materia di cave e miniere la potestà legislativa è attribuita alle regioni, è necessario che lo sfruttamento
della cava, nel sito in cui si trova il fondo, non
sia vietata dalla legislazione regionale. Sotto questo profilo, tuttavia, la decisione del giudice di
merito si sottrae a censure di legittimità, non essendo stato allegato che lo sfruttamento come cava
del fondo asservito fosse vietata dalla legislazione
regionale, e apparendo anzi una tale ipotesi smentita
dagli accertamenti svolti dal consulente tecnico, e
riportati nella motivazione dell’impugnata sentenza,

12

sicché deve escludersi che la stima dell’area come

che riferiva essere in atto lo sfruttamento a cava di
grande parte di tutto il territorio limitrofo e circostante il terreno asservito degli attori.
8. Il motivo di ricorso, pertanto, deve essere

diritto:
ai fini della liquidazione dell’indennità di espropriazione di terreno, nei cui sottosuolo esista
un giacimento naturale, la determinazione del suo valore venale come cava non esige né che l’attività estrattiva abbia già avuto inizio né che essa sia stata autorizzata, richiedendosi soltanto che nel caso
concreto essa possa essere autorizzata, non essendo
vietata dalla legislazione regionale.
9. Occorre ora passare all’esame del ricorso incidentale. Con il primo motivo si denuncia un vizio
di motivazione, non avendo la corte del merito raccolto un’indicazione della relazione di consulenza
tecnica, circa la possibile rilevanza, ai fini
dell’indennità di espropriazione, dell’eventuale reddito risultante da ricolmamento dello scavo una volta
esso effettuato, con materiale proveniente da altri
scavi (utilizzazione, cioè, dello scavo come discarica), stima non eseguita dal consulente sol perché
sembrava “esulare dal mandato specifico ricevuto”.

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rigettato in applicazione del seguente principio di

9.1.

Questa corte ha già avuto occasione di af-

fermare il principio che, ove il terreno sia utilizzato come cava e l’indennità di espropriazione sia
parametrata al valore dell’intero materiale estraibi-

proprietario, altrimenti conseguendosi l’effetto di
duplicare in tutto o in parte il valore suddetto; e
che d’altra parte neppure l’indennità di occupazione
può essere determinata in base al valore del suolo,
avendo lo stesso proprietario privilegiato quello più
vantaggioso del valore dei prodotti della cava: altrimenti liquidandosi due distinte indennità per lo
stesso immobile. La scelta del proprietario di privilegiare il reddito ricavabile dall’attività estrattiva, o la liquidazione dell’indennizzo da parte del
giudice secondo siffatto criterio perché ritenuto più
favorevole, comporta – si è osservato – l’applicazione delle limitazioni e delle preclusioni insite nello
stesso meccanismo di stima, nonché nella sua ragion
d’essere (Cass. 2 agosto 2012 n. 13911, in motivazione).
9.2. Il motivo è dunque infondato. La determina-

zione del valore venale di un immobile non può essere
fatta che unitariamente: quale che sia il metodo con
il quale la stima è fatta, e anche se essa sia fatta

14

le, nessun’altra indennità può essere attribuita al

in modo analitico, mediante capitalizzazione del reddito che esso può produrre alla data del decreto di
asservimento del fondo, nel valore di mercato così
determinato confluiscono necessariamente tutte le u-

parole, chi acquista una cava, nella prospettiva di
utilizzarla come tale, sa sempre che, esaurito il
giacimento, l’area potrebbe essere utilizzata altrimenti, e il valore venale, quantunque determinato capitalizzando l’impiego più vantaggioso (secondo la
prospettazione dello stesso proprietario), include
sempre gli impieghi minori consentiti, che pertanto
non giustificano un aumento del valore venale della
cava come tale.
10. Con il secondo motivo del ricorso incidentale si denuncia un altro vizio di motivazione della
sentenza impugnata, avendo la corte territoriale ritenuto di dover decurtare il valore estrattivo della
cava sottraendo le spese di produzione del reddito,
delle quali il consulente avrebbe tenuto già conto.
10.1. Il motivo è inammissibile, perché manca la
specifica indicazione prescritta dall’art. 366 n. 6
c.p.c. Qualora, come sembra, il motivo poggi interamente su un passo della consulenza tecnica – il cui
significato, estrapolato dal contesto, appare peral-

15

tilizzazioni economiche dello stesso bene. In altre

tro ambiguo e pertanto non decisivo – riportato, si
osserva che il ricorrente non è dispensato dalla specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art.
366, n. 6, c.p.c., non soltanto degli atti e dei do-

degli stessi (Cass. Sez. un. 3 novembre 2011 n.
227269.
11.

In conclusione entrambi i ricorsi devono es-

sere rigettati. Le spese devono essere poste a carico
della ricorrente principale, maggiormente soccombente, in ragione di due terzi, mentre la parziale soccombenza reciproca giustifica la compensazione tra le
parti del residuo terzo. Le spese medesime sono liquidate, per il loro intero ammontare, come in dispositivo.
P. q. m.

Rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura
dei due terzi e compensa tra le parti il residuo terzo. Liquida le spese del giudizio di legittimità, per
l’intero, in E 10.200,00, di cui E 10.000,00 per compenso, oltre agli accessori di legge.

16

cumenti, ma altresì dei dati necessari al reperimento

Così deciso a Roma, nella camera di consiglio
della Prima Sezione Civile della Corte suprema di

cassazione, il giorno 8 maggio 2013.

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