Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16612 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 05/08/2016, (ud. 06/07/2016, dep. 05/08/2016), n.16612

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARIENZO Rosa – Presidente –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2222-2015 proposto da:

G.R.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI

ROBECCHI BRICHETTI N. 10, presso lo studio dell’avvocato ANGELO

PIAZZA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FEDERICO COCCHI, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 816/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del

22/05/2014, depositata il 17/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/07/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato la domanda proposta da G.R.A. tesa ad ottenere la condanna del Ministero della Salute alla corresponsione dell’indennizzo L. n. 210 del 1992, ex art. 1 e 2 avendo rilevato che la patologia da cui era affetta la ricorrente, pur causalmente derivante da emotrasfusione, non era tuttavia riconducibile – pur alla stregua di un mero canone di equivalenza e non già secondo un criterio di rigida corrispondenza tabellare – ad alcuna delle infermità classificate in una delle otto categorie di cui alla tabella B annessa al testo unico approvato con D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, come sostituita dalla tabella A allegata al D.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834.

Per la cassazione della sentenza ricorre G.R.A. sulla base di due motivi con i quali denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e la violazione ed errata applicazione della L. n. 210 del 1992, artt. 1, 2 e 3.

Tanto premesso va rilevato in via del tutto assorbente che il ricorso è manifestamente infondato.

Da un canto con il primo motivo di ricorso si pretende dalla Corte, inammissibilmente, una diversa e più favorevole valutazione delle emergenze istruttorie acquisite al processo.

Ed infatti la Corte, sulla base delle considerazioni espresse dal consulente anche in grado di appello, con valutazione propria in questa sede incensurabile poichè non trascura alcun fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ha ritenuto che il danno lamentato dall’appellante ed accertato dal consulente, anche in applicazione di criteri di equivalenza, non rientra in nessuna delle otto categorie di cui alla Tabella A allegata al D.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834.

Non risulta pertanto omesso l’esame di alcun “fatto storico” decisivo ed oggetto di discussione tra le parti ma piuttosto proprio in esito all’esame dei fatti si è pervenuti ad una conclusione diversa rispetto a quella auspicata.

Quanto al secondo motivo di appello questo è infondato poichè la Corte si è attenuta esattamente ai principi dettati dalla Cassazione che a sezioni unite ha stabilito che la L. 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1, comma 3, letto unitamente al successivo art. 4, comma 4, deve interpretarsi nel senso che prevede un indennizzo in favore di coloro che presentino danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali sempre che tali danni possano inquadrarsi, pur alla stregua di un mero canone di equivalenza, e non già secondo un criterio di rigida corrispondenza tabellare, in una delle infermità classificate in una delle otto categorie di citi alla tabella B annessa al testo unico approvato con D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, come sostituita dalla tabella A allegata al D.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834, rientrando nella discrezionalità del legislatore, compatibile con il principio di solidarietà (art. 2 Cost.) e con il diritto a misure di assistenza sociale (art. 38 Cost.), la previsione di una soglia minima di indennizzabilità del danno permanente alla salute nel caso di trattamenti sanitari non prescritti dalla legge o da provvedimenti dell’autorità sanitaria (cfr. Cass. s.u. n. 8064 e 8065 del 2010 ed altre successive).

In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

La mancata costituzione del Ministero esime dal provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.

Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del cit. D.P.R., art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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