Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16609 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 05/08/2016, (ud. 11/04/2016, dep. 05/08/2016), n.16609

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13456-2014 proposto da:

D.M.S., D.M.C., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA PANARO 14, presso lo studio dell’avvocato LUIGI DE SISTO,

rappresentati e difesi dall’avvocato ALDO PAPA, giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.C., M.F.M.C., CI.CH.,

elettivamente domiciliate presso la CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA

CAVOUR, ROMA, rappresentate e difese dall’avvocato ANTONIO MARCO DI

SOMMA, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 697/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

07/02/2014, depositata il 17/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza

dell’11/04/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato ANTONIO MARCO DI SOMMA, difensore delle

controricorrenti, che si riporta ai motivi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.M.S., premettendo; di essere proprietario di una parte del fabbricato sito in (OMISSIS) e precisamente di un vano al piano terra e di due appartamenti al primo e al secondo piano; che la restante parte del fabbricato unitamente all’androne e al cortile era di proprietà di M.F.M.C., Ci.Ch. e C.C.; di aver sempre (così come i suoi danti causa). utilizzato sia l’androne del fabbricato che il cortile, per entrare ed uscire dai propri immobili, anche se Il suo vano a piano terra era munito di un varco diretto sulla strada ed aveva sempre utilizzato il cortile per accedere ai “comodi” comuni ivi esistenti; che da qualche anno, le proprietarie confinanti avevano impedito allo stesso ed ai suoi familiari l’utilizzo del portone di ingresso, cambiando la serratura, senza fornire le nuove chiavi; con atto di citazione del 10 settembre 2002, conveniva in giudizio M.F.M.C., Ci.Ch. e C.C., chiedendo che venisse accertato e riconosciuto ai sensi dell’art. 1079 c.c. l’esistenza in favore dell’immobile di sua proprietà di una servitù di passaggio sull’androne e sul cortile dell’immobile di cui si dice, naturalmente attraverso l’ingresso delimitato dal portone.

Si costituivano le convenute chiedendo il rigetto della domanda, precisando che in precedenti giudizi svolti tra le parti l’attore non aveva mai chiesto, pur essendo la domanda deducibile alcuna declaratoria del diritto di servitù a carico dell’androne e del cortile che, pertanto, doveva ormai ritenersi preclusa.

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza n. 819 del 2006, deducendo che con la precedente sentenza n. 1160 del 1993 lo stesso Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva implicitamente affermata la sussistenza della servitù di passaggio dal portone, androne e cortile comune in favore di D.M., al quale era riconosciuto il diritto di usare i comodi comuni, ma non il diritto di proprietà dichiarava l’inammissibilità della domanda per essere la stessa coperta da giudicato, compensava tra le parti le spese di lite.

La Corte di Appello di Napoli, su appello di M.F.M.C., Ci.Ch. e C.C., e su appello incidentale di D.M., con sentenza n. 804 del 2014 accoglieva l’appello principale e rigettava quello incidentale, dichiarando l’inesistenza della servitù di passaggio a favore dei beni di D.M. esercitata attraverso il portone di accesso alla proprietà esclusiva delle parti convenute, condannava il D.M. al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio. Secondo la Corte di appello di Napoli, la questione relativa all’esistenza della servitù di passaggio a favore dei beni di D.M. sull’androne e sul cortile dell’immobile de quo attraverso il portone di accesso all’edificio per uscire sulla strada pubblica ed entrare dalla stessa, non era coperta da precedenti giudicati. Comunque, il d.M. non avrebbe fornito la prova del diritto di servitù che pretendeva gli venisse riconosciuto.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da D.M.S. e D.M.C. con ricorso affidato ad un motivo, illustrato con memoria. M.F.M.C., Ci.Ch. e C.C., hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.= Con l’unico motivo di ricorso D.M.S. e D.M.C. lamentano l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5. Avrebbe errato la Corte distrettuale, secondo i ricorrenti, nel non ammettere la prova testimoniale articolata in primo grado con la memoria ex art. 184 c.p.c. e per non aver valutato adeguatamente le note ex art. 183 c.p.c. dato che le circostanze articolate, non mancavano di specificità rispetto al fatto da provare, cioè, l’avvenuto acquisto per usucapione dell’accesso del portone che presupponeva la prova dell’esercizio di fatto di un potere sulla cosa. Comunque, la motivazione della sentenza in merito non consentirebbe di comprendere il ragionamento in virtù del quale la Corte distrettuale avrebbe ritenuto irrilevanti le circostanze che si chiedevano venissero provate con testi.

1.1.= Il motivo è infondato non solo perchè si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione dei dati processuali acquisiti non proponibile nel giudizio di cassazione se, come nel caso in esame, la valutazione effettuata dalla Corte distrettuale non presenta vizi logici e/o giuridici. Piuttosto, la sentenza impugnata diffusamente, comunque, in modo puntuale, chiarisce le ragioni per le quali la Corte ha ritenuto di non ammettere la prova testimoniale, specificando che i capi di prova, pur dando un esito positivo non avrebbero potuto condurre alla prova del possesso ventennale della servitù della quale si chiedeva l’avvenuta usucapione, perchè i capi di prova facevano riferimento: 1) al solo passaggio sull’androne ed il cortile, non contestato, ma non anche all’accesso dal portone (e non solo dal varco del distinto vano al piano terra); 2) ad un solo episodio isolato e, neppure temporalmente determinato, di un contributo del D.M. alle spese di riparazione del portone, di per sè non sufficiente; 3, 4) agli impedimenti ripetuti nel tempo da parte dei convenuti all’accesso del D.M. attraverso il portone che anzi escludevano la pacificità del preteso possesso; 5) alla circostanza non contestata dell’abitazione del D.M. nel fabbricato de quo.

Per la verità, a fronte delle valutazioni della Corte distrettuale, le parti contrappongono le proprie, ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, nè può il ricorrente pretendere il riesame del merito sol perchè la valutazione delle accertate circostanze di fatto, e del significato delle singole circostante dedotte con l’articolato di prova, come operata dal giudice di secondo grado, non collima con le loro aspettative e convinzioni.

In definitiva, il ricorso va rigettato e i ricorrenti, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91, condannati in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo.

Il Collegio, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti in solido a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali ed accessori come per legge, dichiara che ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera del Consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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