Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16608 del 11/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 11/06/2021, (ud. 30/03/2021, dep. 11/06/2021), n.16608

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3530-2020 proposto da:

T.G.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE

BALENIERE 98, presso lo studio dell’avvocato STENTELLA ALESSANDRA,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO BOSCO;

– ricorrente –

contro

UNIVERSITA’ POPOLARE DEGLI STUDI DI (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

QUINTO AURELIO SIMMACO 7, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI

NERI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4205/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 18/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 30/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

con sentenza resa in data 18/10/2019, la Corte d’appello di Milano, in accoglimento dell’appello proposto dall’Università Popolare degli Studi di (OMISSIS), e in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da T.G.S. diretta, per quel che rileva in questa sede, alla condanna dell’Università Popolare degli Studi di (OMISSIS) al risarcimento dei danni asseritamente subiti dall’attrice a seguito dell’inadempimento della convenuta, consistito nel mancato rilascio, in favore della T.G., di un diploma di laurea munito di valore legale riconoscibile nell’ordinamento italiano, in contrasto con quanto originariamente promesso in sede contrattuale all’atto dell’iscrizione presso l’Istituto universitario convenuto;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come, sulla base degli accordi contenuti nel contratto concluso tra le parti, fosse emersa la piena riconoscibilità dell’originario impegno assunto dall’Università convenuta di rilasciare, all’odierna ricorrente, un titolo legale ai sensi della Convenzione di Lisbona, nella specie consistente in un titolo parificabile a quelli rilasciati dagli istituti universitari stranieri collegati con l’Università Popolare degli Studi di (OMISSIS), ed essendo altresì emersa la piena riconoscibilità contrattuale dell’inidoneità del titolo accademico promesso a legittimarne l’accettazione “per bandi e concorsi pubblici, albi o riconoscimenti da parte di istituzioni, enti pubblici o privati, enti universitari o altro”;

ciò posto, avendo l’Università convenuta rilasciato all’odierna ricorrente un titolo di studio effettivamente corrispondente a quello promesso (sia pure di valore legale più circoscritto rispetto a quello preteso dalla T.G.), il giudice d’appello ha positivamente escluso il ricorso di alcun inadempimento contrattuale dell’Università convenuta;

avverso la sentenza d’appello, T.G.S. propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi d’impugnazione;

l’Università Popolare degli Studi di Milano resiste con controricorso;

a seguito della fissazione della camera di consiglio, il ricorso è stato trattenuto in decisione sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per difetto di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi sull’eccezione di inammissibilità (ai sensi dell’art. 342 c.p.c.) dell’appello proposto dall’Università Popolare di (OMISSIS), tempestivamente sollevata dall’appellata;

il motivo è manifestamente infondato;

osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, deve escludersi la configurabilità del vizio di omesso esame di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva), di un’eccezione di nullità o (come nel caso di specie) di inammissibilità (ritualmente sollevata o sollevabile d’ufficio), quando debba ritenersi che tali questioni o eccezioni siano state esaminate e decise implicitamente; peraltro, il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione puramente processuale non può dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte (Sez. 1, Sentenza n. 7406 del 28/03/2014, Rv. 630315 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 13649 del 24/06/2005, Rv. 582099 – 01);

ciò posto, manifestamente infondato deve ritenersi, in relazione alla censura in esame, il richiamo a un preteso difetto di motivazione valutabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, attesa la limitata rilevanza di tale ultima norma al solo omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, attenendo, l’odierna doglianza della ricorrente, non già all’omissione rilevante ai fini dell’art. 360, n. 5 cit., bensì al preteso mancato esame, da parte del giudice di una questione puramente processuale implicitamente superata dal giudice a quo;

con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, per avere la corte d’appello erroneamente attribuito valore dirimente, ai fini della decisione, alla comunicazione del 14/10/2011 con la quale il Ministero dell’Università e della Ricerca (MIUR) aveva riconosciuto la legittimazione dell’Università Popolare di (OMISSIS) a rilasciare titoli accademici per conto delle università con sede in Burkina Faso e in Costa d’Avorio, secondo quanto previsto dalla Convenzione di Lisbona, senza tener conto della diversa comunicazione del 5/3/2015 con la quale lo stesso MIUR aveva escluso la legittimazione dell’Università Popolare di (OMISSIS) a rilasciare titoli accademici aventi valore legale pari a quelli rilasciati dalle università italiane statali e non statali legalmente riconosciute;

il motivo è inammissibile;

osserva il Collegio come la ricorrente abbia prospettato il vizio in esame senza cogliere in modo specifico la ratio individuata dal giudice a quo a sostegno della decisione assunta;

sul punto, varrà richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 c.p.c. (Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564 – 01);

nella specie, avendo la corte territoriale disatteso la domanda della T.G. sul presupposto che, sulla base degli accordi contenuti nel contratto concluso tra le parti, fosse emersa la piena riconoscibilità dell’originario impegno assunto dall’Università convenuta di rilasciare, all’odierna ricorrente, un titolo legale ai sensi della Convenzione di Lisbona (nella specie consistente in un titolo parificabile a quelli rilasciati dagli istituti universitari stranieri collegati con l’Università Popolare degli Studi di Milano), ed essendo altresì emersa la piena riconoscibilità contrattuale dell’inidoneità del titolo accademico promesso a legittimarne l’accettazione “per bandi e concorsi pubblici, albi o riconoscimenti da parte di istituzioni, enti pubblici o privati, enti universitari o altro”, l’odierna censura della ricorrente, nel riproporre la questione del contenuto asseritamente dirimente della c:omunicazione del 5/3/2015, con la quale il MIUR aveva escluso la legittimazione dell’Università Popolare di Milano a rilasciare titoli accademici aventi valore legale pari a quelli rilasciati dalle università italiane statali e non statali legalmente riconosciute, dimostra di non essersi punto confrontata con la decisione impugnata, avendo il giudice a quo (non già negato il valore di tale specifica attestazione del MIUR, bensì) propriamente ribadito come tale dato non contraddicesse in alcun modo il contenuto degli impegni contrattuali vicendevolmente assunti dalle parti (viceversa riferiti a un titolo di studio di più circoscritta rilevanza rispetto a quello preteso dalla T.G.), con la conseguente inammissibilità della censura per le specifiche ragioni in precedenza indicate;

con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, per avere la corte territoriale erroneamente attribuito valore dirimente alla clausola contrattuale con la quale l’Università Popolare degli Studi di Milano aveva dichiarato la propria inidoneità a garantire l’accettazione del proprio titolo accademico “per bandi e concorsi pubblici, albi, o il riconoscimento da parte di istituzioni, enti pubblici o privati, enti universitari o altro”, attesa l’evidente ambiguità ed equivocità di tale clausola, in ogni caso contraria a buona fede ex art. 1366 c.c.;

il motivo è inammissibile;

al riguardo, varrà sottolineare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione degli atti negoziali deve ritenersi indefettibilmente riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità unicamente nei limiti consentiti dal testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ovvero nei casi di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3;

in tale ultimo caso, peraltro, la violazione denunciata chiede d’essere necessariamente dedotta con la specifica indicazione, nel ricorso per cassazione, del modo in cui il ragionamento del giudice di merito si sia discostato dai suddetti canoni, traducendosi altrimenti, la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti, in una mera proposta reinterpretativa in dissenso rispetto all’interpretazione censurata; operazione, come tale, inammissibile in sede di legittimità (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 17427 del 18/11/2003, Rv. 568253);

nel caso di specie, l’odierna ricorrente si è limitata ad affermare, in modo inammissibilmente apodittico e dunque in assenza di alcuna adeguata articolazione argomentativa, la pretesa violazione, da parte del giudice a quo, del canone interpretativo della buona fede contrattuale, orientando l’argomentazione critica rivolta nei confronti dell’interpretazione della corte territoriale, non già attraverso la prospettazione della rilevabilità ictu oculi di un’interpretazione contraria a buona fede del testo contrattuale esaminato, bensì attraverso l’indicazione degli aspetti della ritenuta non condivisibilità della lettura interpretativa criticata, rispetto a quella ritenuta preferibile, in tal modo travalicando i limiti propri del vizio della violazione di legge (ex art. 360 c.p.c., n. 3) attraverso la sollecitazione della corte di legittimità alla rinnovazione di una non consentita valutazione di merito;

sul punto, è appena il caso di rilevare come la corte territoriale abbia proceduto alla lettura e all’interpretazione delle dichiarazioni negoziali in esame nel pieno rispetto dei canoni di ermeneutica fissati dal legislatore, non ricorrendo ad alcuna attribuzione di significati estranei al comune contenuto semantico delle parole, nè spingendosi a una ricostruzione del significato complessivo dell’atto negoziale in termini di palese irrazionalità o intima contraddittorietà sulla base di un’ipotetica lettura macroscopicamente contraria ai canoni della buona fede o della convenienza oggettiva, per tale via giungendo alla ricognizione di un contenuto negoziale sufficientemente congruo, rispetto al testo interpretato, e del tutto scevro da residue incertezze, sì da sfuggire integralmente alle odierne censure avanzate dalla ricorrente in questa sede di legittimità;

con il quarto motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte d’appello totalmente ignorato le risultanze dell’istruttoria condotta in primo grado, con particolare riguardo alla deposizione testimoniale resa dal teste N.;

il motivo è inammissibile;

osserva il Collegio come al caso di specie (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (quale risultante dalla formulazione del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modif., con la L. n. 134 del 2012), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830);

dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, l’odierna doglianza del ricorrente deve ritenersi inammissibile, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360, n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;

con il quinto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 101 c.p.c., comma 2, per avere la corte territoriale erroneamente interpretato la comunicazione del MIUR del 5/3/2014, disattendendo la chiara affermazione, ivi contenuta, circa la mancanza di alcuna legittimazione dell’Università Popolare di (OMISSIS) a rilasciare titoli accademici aventi valore legale in Italia, giungendo, attraverso la diversa interpretazione attribuita a tale atto, ad emettere una pronuncia non richiesta dall’Università nei propri motivi d’appello e, pertanto, oltre i limiti imposti dal parametro normativo richiamato, senza alcun previo confronto tra le parti;

il motivo è manifestamente infondato;

osserva il Collegio come, in relazione alla censura in esame, trovi applicazione il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale il dovere imposto al giudice di non pronunciare oltre i limiti della domanda, nè di pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti, non comporta l’obbligo di attenersi all’interpretazione prospettata dalle parti in ordine ai fatti, agli atti ed ai negozi giuridici posti a base delle loro domande ed eccezioni, essendo, la valutazione degli elementi documentali e processuali necessaria per la decisione, pur sempre devoluta al giudice, indipendentemente dalle opinioni, ancorchè concordi, espresse in proposito dai contendenti. Al riguardo non è configurabile alcun vizio di ultrapetizione, potendo ravvisarsi tale ultimo vizio unicamente nel caso in cui il giudice attribuisca alla parte un bene non richiesto, o maggiore di quello richiesto (Sez. 1, Sentenza n. 15086 del 10/09/2012; Sez. 3, Sentenza n. 702 del 04/03/1968, Rv. 331920 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 2874 del 04/12/1967, Rv. 330478 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 1608 del 22/06/1966, Rv. 323196 – 01);

allo stesso modo, deve ritenersi manifestamente infondata la prospettata violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, atteso che l’obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio sulle questioni rilevate d’ufficio, rafforzato dall’aggiunta all’art. 101 c.p.c. del comma 2 ad opera della L. n. 69 del 2009, deve ritenersi esteso alle sole questioni di fatto che richiedono prove dal contenuto diverso rispetto a quelle chieste dalle parti, o alle eccezioni rilevabili d’ufficio, e non anche ad una diversa valutazione del materiale probatorio già acquisito (Sez. L, Sentenza n. 10353 del 19/05/2016, Rv. 639999 – 01);

sulla base delle argomentazioni indicate, rilevata la complessiva manifesta infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna della ricorrente al rimborso, in favore dell’Università controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo;

dev’essere, infine, attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 30 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021

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